Casa Pavarotti. Modena. Un tavolo lunghissimo pieno di dolci e pietanze salate divide una grande sala arredata con eleganza. I due tenori si guardano e l’ospite dalla voce squillante dice: «Vieni qua, assaggia questo Lambrusco». L’esimio collega declina gentilmente confessando di essere a dieta. Ma Pavarotti è irrefrenabile, non c’è scusa o motivazione che tenga: «Ma quale dieta, tieni, assaggia». Luciano Pavarotti amava il Lambrusco e non c’era niente che potesse fermarlo dall’offrirlo a chi frequentava le sue mura. «Mi chiese cosa ne pensavo». Fa una pausa, allarga il sorriso: «Maestro, questo è un ottimo vino per due cose: per fare l’aceto balsamico o per lavare le ruote della macchina quando sono pieno di fango». Ride nostalgico Andrea Bocelli che di Pavarotti era molto amico. Il tenore emiliano un po’ si arrabbiò, borbottò qualcosa sui vini toscani “pesanti”, poi ci risero su. Bocelli lo racconta seduto a uno dei tavoli del ristorante nel suo stabilimento balneare di Forte dei Marmi, Alpemare, frequentato da calciatori, attori, politici, a pochi passi da casa sua, una placida villa dalle mura rosa. È seduto al ristorante per un pranzo, sua moglie Veronica Berti, gentile ed elegante, chiacchiera vivacemente dall’altra parte della tavolata. «Non so cosa c’è dopo ma io andrei direttamente al gelato», dice al cameriere con un sorriso. Bocelli ama il gelato. E tra uno spaghetto senza glutine e un cucchiaio di dolce al pistacchio, il tenore italiano racconta l’altro Bocelli, il maestro legato alla campagna, amante dei cavalli, produttore di vino, una miriade di aneddoti fuori dai palchi dove abbiamo imparato a conoscerlo.
Andrea Bocelli con l’amico Giorgione a Lajatico
Viva la campagna… Andrea Bocelli a Lajatico
All’inizio ci fu Lajatico, un piccolissimo comune nell’entroterra della provincia di Pisa: «“Se vuoi goder la vita, vieni quaggiù in campagna!”, cantava Beniamino Gigli. E diceva bene la canzone, perché l’uomo è stato creato per vivere in campagna». E lui in campagna c’è nato e cresciuto, insieme al fratello Alberto, architetto prestato alla vigna, che oggi si prende cura più da vicino dell’azienda agricola: Bocelli 1831. La famiglia ha radicate origini contadine, «fin dai tempi dei principi Corsini», fino dal diciottesimo secolo. È l’antenato Gaspero Bocelli a racimolare un po’ di soldi, «non si sa bene come», per affrancarsi da colono e diventare un piccolo proprietario terriero acquisendo per mille scudi il Podere Poggioncino. Anno 1831. La prima proprietà dei Bocelli. I nonni prima e i genitori poi hanno vissuto in quelle terre; producevano carri, poi avviarono un’officina e col tempo diventarono commercianti di macchine agricole. Cosa le manca della campagna? «Mi manca tutto. Era un altro mondo». I ricordi vanno al periodo della trebbiatura, «rimane indimenticabile», alla cena finale quando tutti i contadini della zona si radunavano intorno a un unico grande tavolo di legno per mangiare. Il grano era raccolto, serviva un momento di festa. E a quella celebrazione ancestrale erano ammessi anche i più giovani, «da ragazzi cercavamo di aiutare, portavamo i covoni del grano per fare le “barche”, si chiamavano così». Era un mondo con una vicinanza diversa rispetto alla quotidianità. Bocelli all’epoca era un ragazzino. Ma quindi anche lei si dava da fare? «No, in realtà io davo perlopiù fastidio», dice divertito. «Ero molto vivace, quindi a volte ero una preoccupazione». Manca il pollo arrosto con le patate della signora Delfina che aiutava i Bocelli con gli impegni domestici, «era il suo piatto forte». Insieme a Delfina ricorda Oriana: «a lei tutt’oggi sono affezionato, è stata la mia prima tata e ci ha cresciuti».
“Poca Toscana, amo i bolliti e la Carbonara”
Un piatto toscano che porterebbe ovunque? «Toscano?». Si esatto toscano. «Non sono affezionato alla cucina toscana». Piatti italiani? «Il carrello dei bolliti. Dovremmo mangiare in Emilia-Romagna, bere e condire in Toscana». Ride, poi confessa di non saper cucinare. «Ho imparato a fare pochissime cose quando da ragazzo mi mantenevo con il piano bar la sera. Tornavo a casa tardi e per non morire di fame preparavo la pasta al burro o all’olio. Anche la carbonara, l’unica cosa elaborata che so fare».
Andrea Bocelli con il fratello Alberto cge segue più da vicino il vino
“Il Brunello di Soldera e lo Chardonnay di Gravner”
I Bocelli da decenni coltivano cereali, grano, avena, orzo, producono olio. Vino incluso. Quello di suo nonno era buono? «No, era il vino che si faceva a quei tempi lì, il vino del contadino. Si puntava alla quantità più che alla qualità, ma tra i viticoltori dell’epoca il babbo lo faceva un pochino più buono degli altri. Aveva già l’enologo».
Non basterebbe un articolo per raccontare la carriera di Andrea. Sanremo lo ha incoronato nel 1994 con Il mare calmo della sera. È diventato uno dei cantanti italiani più venduti e apprezzati al mondo. «Quando è iniziata la mia avventura artistica ho smesso di bere vino. Studiavo canto e non volevo che l’alcol inficiasse in qualche modo. Ero maniacale. Però ricordo un concerto ad Anversa, in Belgio. Io ero chiuso in camera, il mio pianista incontrò un importatore di vini italiani e lo invitò al concerto; lui ci propose di assaggiare dei “vini buonissimi” al termine dello spettacolo». E così è stato. «Quella sera, dopo due anni che non bevevo, feci il pieno. Stappammo bottiglie meravigliose, ricordo il Brunello di Soldera e un Gaja & Rey; poi aprì un vino che mi colpì moltissimo: lo Chardonnay di Josko Gravner, indimenticabile». Erano gli anni Novanta.
La promessa al padre: “Farò grande il nostro vino”
Dopo quel concerto è tornato a casa e ha deciso che era il momento di incoraggiare il padre a cambiare. «Gli dissi che avevo assaggiato dei vini che con il nostro non c’entravano nulla, ma che erano straordinari». Il messaggio di sottofondo era: usciamo dal gusto contadino, impariamo dai migliori. La replica: «Vogliono farti montare la testa, il nostro è il miglior vino, è sano, è un vino fatto con l’uva», disse il padre. «Ascolta babbo, ti prometto che quando saremo io e Alberto a occuparci delle vigne renderemo il tuo un grande vino». È sulla scia di questo scambio che ha messo le radici l’azienda gestita oggi dai Bocelli. Quando nel 2000 papà Alessandro è venuto a mancare, Alberto e Andrea hanno apportato diversi cambiamenti. «Ora abbiamo un enologo serissimo», Luca D’Attoma, «che sta facendo un grande lavoro, soprattutto sui rossi». Il Sangiovese prende il nome di Terre di Sandro, è una dedica al babbo. Il Cabernet invece Alcide, «come il nonno». Alberto – «a scuola era un fenomeno, sempre il primo della classe», vive più da vicino l’azienda agricola. Ama il vino, lo beve, lo produce. Per entrambi il legame con la terra è viscerale, «non si può cancellare». Non è solo amare il vino o il cibo, «è il legame con quel posto in cui sei nato e cresciuto che è indissolubile». Una delle poesie scritte da adolescente è dedicata alle campagne di Lajatico. Versi e rime. Certo, l’idea romantica del contadino sparisce sotto il peso della burocrazia e le regole europee. «Oggi l’agricoltore deve essere un avvocato».
L’ultima novità è la collaborazione con il gruppo ZONIN1821, «abbiamo realizzato tre nuovi vini a marchio Bocelli 1831», prodotti con il supporto enologico della famiglia veneta Zonin: un prosecco Doc, un bianco Igt Toscana, con uve Viognier e Vermentino, e un Rosso Igt Toscana, con uve Sangiovese, Merlot, Syrah e Cabernet Sauvignon. «È una collaborazione molto stimolante».
L’amicizia con Giorgione e le cantate insieme
Vini preferiti? «I vini buoni». Soprattutto strutturati e corposi. «C’è un vino marchigiano che mi piace molto, si chiama Kurni. In generale amo i vini di Bolgheri… Messorio, Scrio, Paleo delle Macchiole. Bevo con piacere Gaja, mi piace il Verdicchio di Gaiospino. E poi ci sono i vini siciliani: Planeta e Tasca d’Almerita fra tutti». Anche i californiani sono nel cuore del maestro. «Nella Napa Valley si fanno dei gran vini. Mi piacciono quelli di Caymus». E i vini naturali? «Non li bevo». Bocelli è un equilibrista della gradazione alcolica. Quattordici, quindici, quindici e mezzo. «È così che deve essere un vino». Ama i superalcolici? «Mai bevuti in vita mia». Il Sagrantino l’ha assaggiato da Giorgione, «mi è piaciuto molto». Con l’oste più amato d’Italia, volto del Gambero Rosso Tv, è nata di recente una bella amicizia. «C’è un mio assistente che vedeva sempre le sue ricette su YouTube, l’ho conosciuto così, mi faceva ridere. E allora un giorno sono andato in Umbria al suo ristorante». Non è finita lì. «L’ho invitato anche a casa mia, dove è venuto insieme a due dei suoi figlioli, ha cucinato per tutti da noi in campagna, ci siamo divertiti». Fa una pausa, sorride, e aggiunge: «Poi per un giorno e mezzo non ho toccato cibo. Incredibile». Che ne pensa della sua cucina? «Non è dietetica, ma è buonissima. Ogni tanto si può mangiare. Ha dei gusti meravigliosi».
“Con l’olio non si scherza: è un mio grande amore”
A Lajatico hanno anche una piccola fattoria dove allevano animali per la sussistenza domestica. «Abbiamo qualche maiale, polli, faraone. Produciamo uova e miele, oltre il vino e l’olio». Per quest’ultimo ha amore infinito, «il nostro è buonissimo». Un prodotto semplice che nasce dalla raccolta manuale, spremitura a freddo, pochi e semplici passaggi. Col tempo l’azienda si è dotata di un piccolo frantoio per poter lavorare subito le olive. «Me lo porto con me in tutti i concerti all’estero». E perché? «Quello che si trova fuori fa schifo». Non usa mezzi termini, lo dice ridendo, e poi confessa: «Soffro di nostalgia di casa, avere le mie cose, come l’olio, mi aiuta a non sentirmi troppo lontano».
Ristoranti e sabilimenti: i dubbi di Bocelli sulla Bolkestein
La famiglia Bocelli ha all’attivo anche tre ristoranti. Uno a Lajatico (Officine Bocelli, «lì dove la mamma e il babbo hanno lavorato per anni») e due a Forte dei Marmi. Oltre alla tavola di mare tradizionale, dall’estate scorsa lo stabilimento ha ospitato Nobu, un’insegna prestigiosissima della cucina giapponese fondata da Nobu Matsuhisa, Robert De Niro e Meir Teper. Lo stabilimento, come tutti gli altri in Italia, potrebbe essere soggetto alla messa a gara delle concessioni, imposta dalla Direttiva Bolkestein, su cui il governo Meloni ha delegato i comuni. «Succeda quel che succeda, del domani non c’è certezza». Non avete timore per lo stabilimento? «No, non ho timori. Certo è che la maggior parte delle coste italiane sono libere, anziché mettere le mani su stabilimenti che hanno già proprietari che si sono sacrificati tutta la vita, si può anche pensare di alzare i prezzi delle concessioni ma non di toglierle. È una legge strana. E non parlo di me, ma di gente che svolge quell’attività da generazioni».
Trump, Putin, Berlusconi e l’amicizia con Meloni
Bocelli è un’icona. Nella sua carriera ha collaborato con tante celebrità, ha stretto mani su mani, Berlusconi era un suo amico, Trump gli chiese di cantare al suo primo insediamento, e in precedenza «quando non era ancora presidente degli Stati Uniti» gli prestò il suo aereo privato per un tour in America. Ha conosciuto Bill Clinton e Joe Biden. E Giorgia Meloni? «Siamo amici». Adora parlare di politica. «Ma non ho mai avuto tessere di partito», tiene a precisare. Ha conosciuto pure Vladimir Putin una sera a cena nella casa sarda del fondatore di Forza Italia, l’iconica villa Certosa. L’ex premier aveva organizzato i fuochi d’artificio al termine del pasto. Gli invitati si radunarono su una delle terrazze, ma uno dei fuochi va dritto su Veronica e le colpisce una gamba. Il vestito inizia a prendere fuoco. Il presidente russo, a due metri da lei, si lancia e con le mani spegne l’incendio. Finisce lì con molta paura e un aneddoto incredibile da poter raccontare.
Il suono del cibo: “Sbagliato sentire musica a tavola”
Il paradosso arriva quando si inizia a parlare di musica. Cibo e musica. «Bisognerebbe imparare dai frati che mangiavano in silenzio. In molti ristoranti c’è la musica, nulla di più sbagliato». Certo, detto da un grande cantante è strano. «Quando si mangia, bisognerebbe ascoltare il nostro corpo, apprezzare il gusto. E bisogna che il cervello sia libero per fare questo. Se metti la musica una parte del cervello la segue, non c’è niente da fare».
Ma insieme alla musica il vino rimane una sua grande passione. «Purtroppo, devo stare mesi interi senza toccare vino. Il vino fa cantare, ma male nel mio caso, quindi devo astenermi. Ormai sono abituato». Le manca poter vedere quello che mangia e beve? «No, assolutamente no. Riesco a percepire tutto di quello ho davanti, forse anche meglio».
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