La brillante definizione di “fonti che non costano nulla ma che si fanno pagare tanto” racchiude in sé la contraddizione insita in queste forme di energia non programmabili, sussidiate in tutti i modi possibili, che consentono extraprofitti stellari alle principali utility italiane a spese, “ça va sans dire”, di Pantalone. L’origine dei nostri costi energetici attuali parte da lontano, dal Nord Europa, dove un fenomeno atmosferico noto come Dunkelflaute provoca una situazione tipica degli anticicloni freddi con numerose giornate senza vento e basse temperature che, oltre ad aumentare la domanda, rende inutile l’enorme potenziale eolico e fotovoltaico tedesco scatenando periodicamente la caccia disperata, a qualsiasi costo, all’energia elettrica prodotta dagli impianti tradizionali dell’intera Europa, che in questo modo recuperano i ricavi compromessi dalla concorrenza sleale di quelle fonti la cui intermittenza pone a rischio la produzione di energia e la stabilità delle reti.
Ma il vero problema è che la Dunkelflaute colpisce l’intero sistema europeo poiché, dopo aver smantellato tutte le sue centrali nucleari, alla Germania rimane ben poca energia di base e quindi importa energia da altri Paesi creando un conseguente aumento dei prezzi. La situazione è arrivata ad un punto tale che paesi vicini come la “verde” Norvegia avviano una campagna per smantellare i cavi elettrici sottomarini con l’Europa continentale. I due collegamenti elettrici tra la Norvegia e Danimarca e Germania che arriveranno al termine della loro vita utile tecnica nel 2026 e nel 2027 sono oggi oggetto di pressioni politiche perché non vengano ripristinati nel tentativo di ridurre i prezzi dell’energia elettrica locale ed evitare di esporsi alle turbolenze del mercato energetico tedesco. Furiosi con Berlino anche gli svedesi che devono pagare 5 dollari per una doccia di 10 minuti: durante i giorni della Dunkelflaute i picchi dei prezzi, in alcune parti della Scandinavia si aggiravano tra i 700 e i 900 euro per 1 megawattora. Nel frattempo, nel Belpaese in materia di energia, tutti procedono alla cieca. Gli unici che procedono a vele spiegate sono gli sviluppatori dell’eolico che grazie agli “extraprofitti” dispongono di un’enorme liquidità che consente un “extra-attivismo” su tutto il territorio nazionale. Favoriti da un governo che continua a disinteressarsi alla creazione di un proprio “centro di ricerca” autonomo ed indipendente per l’energia preferendo ascoltare le ricette del delegato del presidente di Confindustria per l’energia che continua costantemente, nelle audizioni in Parlamento, a reclamare aiuti statali per tutti, ovvero per tutti i rinnovabilisti e le grandi imprese energivore, da spalmare sulle bollette elettriche degli italiani. Sussidi che potrebbero ulteriormente materializzarsi attraverso la concessione di una garanzia pubblica per i Ppa, quella tipologia di contratti a medio-lungo termine di acquisto dell’energia, sul libero mercato, che un acquirente offre al produttore al fine di ottenere alcuni vantaggi reciproci.Un pozzo senza fondo, analogo a quanto avvenne con la garanzia pubblica per i certificati verdi (CV) a vantaggio della produzione di energia elettrica da fonte eolica che ancora oggi stiamo pagando. Abilitare il Gestore dei servizi energetici (Gse) alla gestione del sistema dei Ppa, otterrebbe i soli effetti di incrementare i costi in bolletta per la grandissima parte dei clienti finali e privare della concorrenza il mercato libero.
Oggi da più parti si levano sollecitazioni alle istituzioni comunitarie per invertire il percorso di politiche europee dettate dall’ecologismo il cui effetto è solo quello di penalizzare i più deboli ma resta molto difficile comprendere come sia possibile che questo avvenga attraverso le medesime persone e partiti che hanno pensato di fare la “rivoluzione verde” con un occhiuto controllo dirigistico dell’economia. Una “inversione a U” comporterebbe inevitabilmente il sacrificio di qualche capro espiatorio poiché è assolutamente impensabile che l’Unione europea venga “riportata in carreggiata” da chi, sia pure implicitamente, ammette di averla fatta finire nel fosso.
Giovanni Brussato
ingegnere minerario
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