Trump ribalta Zelensky facendo dissolvere la falsa coscienza dal capitalismo “liberale”

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C’è un passaggio del violentissimo post di Donald Trump contro Volodymyr Zelensky che sembra sia sfuggito a molti. Il neo-presidente statunitense ha sottolineato con forza il fatto che Zelensky abbia convinto Joe Biden a spendere 350 miliardi di dollari “senza garanzie”.

Ora, al di là dell’indicazione di una cifra chiaramente superiore alla realtà, il vero tema contenuto in queste parole è costituito proprio dal riferimento all’assenza di “garanzie”. Il messaggio di Trump è molto esplicito: gli Stati Uniti non possono “spendere senza garanzie” che sono individuabili nella fornitura di materie prime, a cominciare da quelle più strategiche, come le terre rare, dall’importazione di prodotti americani, dall’uso del dollaro come valuta di riferimento, dall’accettazione della penetrazione dei capitali americani e dalla destinazione dei risparmi nazionali verso le società e il debito Usa.

Trump in meno di una riga definisce e riassume la dottrina che gli Stati Uniti hanno seguito per anni, nascondendola dietro il fariseismo del capitalismo liberale. Come ha dichiarato il suo vice, J. D. Vance, c’è un nuovo sceriffo in città che intende fare a meno della fin troppo a lungo coltivata finzione delle regole.

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Nella stessa direzione si muove uno dei modelli delle destre globali. Il presidente argentino Javier Milei ha generato una improvvisa bolla finanziaria su una criptovaluta, che ha fortemente sponsorizzato sul social di Elon Musk, definendola uno strumento di libertà (“Viva la libertà” è il nome della cripto), finalizzato a raccogliere risorse per le piccole imprese argentine.

La cripto in questione si è così impennata per alcune ore arrivando a valere quattro miliardi di dollari e poi è miseramente crollata, cancellando per intero quel valore. Dunque, un capo di Stato pubblicizza una criptovaluta che consente l’immediato arricchimento dei suoi amici, messi al corrente dell’iniziativa e dunque in grado di comprarla a prezzi bassi per rivenderla poco dopo a prezzi molto più alti, arricchendosi e rovinando chi aveva creduto a Milei che, in maniera davvero singolare, dopo aver celebrato la cripto come strumento patriottico si è giustificato sostenendo la piena consapevolezza dei compratori di entrare in “un casinò”: mettere insieme patria e casinò finanziario sembra essere la formula migliore per descrivere l’attuale stato del capitalismo delle destre.

Del resto, Milei in un anno ha falcidiato la spesa sociale del suo Paese riducendola del 30% in termini reali, abbattendo così il deficit e raffreddando l’inflazione attraverso l’immiserimento di fasce enormi di popolazione.

Davvero un bel modello che non a caso piace molto alla vasta gamma dei “liberali” per i quali le disuguaglianze sono l’espressione della società “aperta”. Anche da questo punto di vista la falsa coscienza è finita.

Ma c’è una altro esempio, meno gridato, di questo mutamento. L’intervento di Mario Draghi di fronte al Parlamento europeo a febbraio ha sintetizzato infatti una visione già espressa nel suo “Rapporto”, se possibile radicalizzandola ancora di più. Per l’ex presidente della Banca centrale europea è necessario creare un debito europeo per finanziare la spesa destinata al riarmo, all’innovazione tecnologica e all’Intelligenza artificiale.

Tale debito dovrebbe essere sottoscritto dal risparmio degli europei e non dalla Bce che dovrebbe tornare ad essere pienamente “rigorista”, non sostenendo né il debito comune né tantomeno i debiti dei singoli Stati. Peraltro i singoli debiti nazionali non saranno certo agevolati dalla creazione di debito comune e, dunque, costeranno di più. In estrema sintesi il debito comune non ridurrà affatto l’austerità ma servirà solo a pagare meno i risparmiatori impegnati nel sottoscrivere il debito per finanziare un sistema produttivo molto orientato verso settori che, paradossalmente, nota lo stesso Draghi, non sono neppure in grado di mettere pienamente a frutto tali capitali.

Secondo l’ex presidente del Consiglio poi occorrono la creazione di un mercato dei capitali europeo e l’abolizione dei dazi interni all’Unione. Sul primo punto è necessario rilevare che l’eventuale creazione di un unico mercato potrebbe attrarre il capitale dei grandi fondi Usa in questo momento confusi dalla “eversiva” politica di Trump, destinata a generare nuove volatilità; ma tale attrazione sta traducendosi nella crescente partecipazione azionaria degli stessi fondi nelle società europee, a cominciare dalle banche, che finiranno per diventare, in larga misura, “americane”.

Quindi il mercato unico rischia di essere lo strumento di un’ulteriore colonizzazione, soprattutto se poi le banche e le assicurazioni europee, oggetto delle acquisizioni azionarie, continueranno a comprare titoli Usa. In merito al secondo punto, è molto probabile che l’abbattimento dei dazi “nazionali” generi uno spostamento delle fasi produttive dove il costo della manodopera è più basso, secondo una logica tipica delle esternalizzazioni.

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In sostanza, Mario Draghi, di fronte a quello che lui stesso definisce un cambiamento dei tempi, radicalizza quelle formule che hanno generato l’approfondirsi delle disuguaglianze e hanno bruciato il potere d’acquisto degli europei, facendoli dipendere solo dalle esportazioni e privandoli con estrema rapidità dell’indispensabile Stato sociale. La falsa coscienza dal capitalismo liberale si è esaurita anche in Europa.

Alessandro Volpi è docente di Storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Si occupa di temi relativi ai processi di trasformazione culturale ed economica nell’Ottocento e nel Novecento. Il suo ultimo libro è “Nelle mani dei fondi” (Altreconomia, 2024)

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