Suicidio assistito? «La sanità cattolica sceglie cura e coscienza»

Effettua la tua ricerca

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#finsubito

Dilazione debiti

Saldo e stralcio

 




Una suora in una struttura sanitaria cattolica – Foto Romano Siciliani

Conto e carta

difficile da pignorare

 

L’Aris – Associazione religiosa istituti socio-sanitari – è pronta ad accogliere nei suoi hospice quanti, avvicinandosi la fine della loro vita, intendono concludere serenamente il proprio percorso terreno, offrendo fraterna assistenza e cure palliative per lenire le loro sofferenze. Le strutture della rete Aris vuole dare seguito al messaggio con il quale i vescovi italiani hanno espresso nei giorni scorsi la posizione della Chiesa in risposta alla recente legge sul fine vita approvata dalla Regione Toscana, in particolare là dove auspicano «interventi che tutelino nel miglior modo possibile la vita, favoriscano l’accompagnamento e la cura nella malattia, sostengano le famiglie nelle situazioni di sofferenza », e affermano con forza che le cure palliative «devono essere garantite a tutti, in modo efficace e uniforme in ogni Regione, perché rappresentano un modo concreto per alleviare la sofferenza e per assicurare dignità fino alla fine, oltre che un’espressione alta di amore per il prossimo», sottolineando infine che «la dignità non finisce con la malattia o quando viene meno l’efficienza. Non si tratta di accanimento, ma di non smarrire l’umanità».

Quella di Aris è, in sostanza, una risposta “operativa”, non solo teorica, in perfetta linea con l’esortazione della Conferenza episcopale italiana che nel suo messaggio mette in guardia affinché, in materia di fine vita, la scelta non sia ideologica e, tantomeno, politica ma solo ed esclusivamente umana, e non diventi un tema politicamente orientato o sottoposto a polarizzazioni e giochi al ribasso. Quanto alle cure palliative, siamo pronti a metterci in gioco con tutti i mezzi di cui dispongono le strutture associate ad Aris, in particolare le 46 Rsa, la maggior parte delle quali dispongono di reparti hospice e, laddove non esistono, offrono lo stesso tipo di assistenza con cure palliative a domicilio. Facendo nostre le indicazioni dei vescovi, esprimiamo dunque un forte e deciso “no” sia all’accanimento terapeutico che alla morte procurata e, di conseguenza, un “no” fermo e irrinunciabile all’eutanasia.

Ma diciamo anche un altrettanto forte e deciso “sì” all’idratazione e all’alimentazione artificiali fino a quando la pratica non dovesse procurare sofferenze aggiuntive o risultare ormai completamente inutile. E soprattutto il nostro è un “sì” alla libertà delle istituzioni sanitarie gestite da enti e congregazioni religiose, seppure convenzionate con il pubblico, di seguire le proprie motivazioni etiche e i propri princìpi nel rispetto delle finalità delle strutture. In merito alla recente legge approvata dalla Regione Toscana, in tema di fine vita si va profilando un percorso che tra le prestazioni sanitarie iscrive tra l’altro la possibilità di favorire la morte del paziente malato. Una soluzione finale che rappresenta una sconfitta per tutti. Su queste tematiche si sta configurando un vasto campo di dissenso etico-antropologico che non può essere sanato da una norma del diritto positivo, per quanta considerazione e rispetto meritino il Parlamento e la funzione legislativa che, in virtù del suo titolo di rappresentanza popolare, gli compete.

Tuttavia facciamo nostra la dichiarazione resa immediatamente dopo l’approvazione della legge toscana dal cardinale Paolo Augusto Lojudice, presidente della Conferenza episcopale toscana, soprattutto laddove afferma che «sancire con una legge regionale il diritto alla morte (non certo tra i diritti sanciti dalla Costituzione) non è un traguardo, ma una sconfitta per tutti». Del resto, se si ammette che da una parte ci sia un “diritto di morire” allora questo vuol dire che dall’altra c’è il diritto di qualcuno a uccidere. E questa è una situazione umanamente non accettabile.

La nostra è una posizione di un profondo dissenso che non possiamo e non vogliamo tacere, un dissenso che rappresenta per noi non solo un‘opzione morale ovvia e irrinunciabile ma anche un indirizzo che intendiamo assumere e mantenere come elemento che identifica e caratterizza il servizio che le nostre strutture sanitarie di ispirazione religiosa assicurano alla collettività, concorrendo in misura significativa alla funzione pubblica di tutela e promozione della salute e della vita.

C’è inoltre da considerare l’incongruenza di una legge che – come ha mostrato anche Avvenire – trasferisce i fondi erogati per dare sostegno alla disabilità a un percorso teso a procurare la morte della persona. I nostri sono pensieri, analisi, parole e proposte che, in definitiva, trovano forza e sostegno anche negli insegnamenti del Papa, che in più occasioni parlando del fine vita si è augurato che «in seno alle società democratiche argomenti delicati come questi siano affrontati con pacatezza: in modo serio e riflessivo, e ben disposti a trovare soluzioni – anche normative – il più possibile condivise». Il rispetto è per tutti, ma chiediamo che sia anche per le istituzioni sanitarie religiose, che hanno diritto a mantenere fede alla missione affidata loro da Cristo stesso: « Andate, predicate e curate gli infermi», non certo «procurate loro la morte».

*Presidente Aris – Associazione religiosa istituti socio-sanitari

Sconto crediti fiscali

Finanziamenti e contributi

 





Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link