Anche in questo numero del Nuovo Giornale Nazionale ci sono molti articoli che, da punti di vista diversi, cercano di tentare di capire quale ordine ci sia in questo crollo delle certezze e delle narrazioni che erano ritenute incrollabili fino a un mese fa.
Si tenta di indagare la psicologia dei protagonisti, di interpretarne le strategie alla luce persino delle patologie.
Il metodo con il quale si dovrebbe guardare quanto accade, se vogliamo fare un’analisi che serva a qualcosa, deve essere quello sistemico.
Non esiste alcun leader che possa rimanere e a lungo in sella se non ha il consenso degli apparati e del proprio popolo. Persino i dittatori hanno bisogno del consenso.
Dovremmo pertanto cominciare dalla domanda fondamentale: Trump e Putin hanno il consenso delle rispettive realtà?
Per Trump la risposta è sì, in quanto è stato eletto con largo consenso popolare e, a quanto pare, ora, anche con il consenso di buona parte degli apparati.
Tutta la fuffa su Elon Musk va ridotta alle sue proporzioni. I sette magnifici della tecnologia contano molto in Borsa (finanza), ma sono solo l’1% del Pil nazionale Usa.
La realtà va misurata con il metro, non con le ideologie.
Il Levada Center, indipendente, ha monitorato il tasso di approvazione di Putin nel corso degli anni, mostrando fluttuazioni legate a eventi significativi. Ad esempio, prima dell’invasione dell’Ucraina nel febbraio 2022, l’approvazione di Putin oscillava tra il 61% e il 71%. Dopo l’invasione, i sondaggi del Levada Center hanno registrato un aumento significativo, con l’approvazione che ha superato l’80% nel marzo 2022, raggiungendo picchi storici come l’87% nell’agosto 2014 (dopo l’annessione della Crimea) e l’88% in periodi successivi. Nel 2023, il tasso di approvazione si è mantenuto intorno all’85%, uno dei più alti degli ultimi anni, secondo i dati pubblicati all’inizio di quell’anno.
I due leader, pertanto, vanno considerati sulla base del loro essere espressione di mondi che, piacciano o non piacciano, non sono riducibili ad analisi psicologiche individuali, ma storiche, culturali, di psicologia di massa.
Fatte queste considerazioni, che cosa hanno in testa Putin e Trump? Probabilmente tutti e due di uscire dalla logica della guerra, voluta e realizzata dai neocon, e di entrare in una logica di sfruttamento concordato delle risorse energetiche e delle materie prime.
Per capire cosa stia accadendo tra Russia e Usa, è necessario risalire agli anni Settanta del secolo scorso, con la “diplomazia del ping pong”.
La “diplomazia del ping pong” ebbe inizio nel 1971, quando un evento apparentemente casuale aprì la strada a una svolta storica. Durante i Campionati Mondiali di tennis da tavolo a Nagoya, in Giappone, il giocatore statunitense Glenn Cowan salì per errore sul pullman della squadra cinese. Il campione cinese Zhuang Zedong gli offrì un regalo, un gesto di cortesia che attirò l’attenzione della stampa internazionale. Mao Zedong colse l’occasione per invitare la squadra americana in Cina, un gesto sorprendente considerando l’isolamento della Cina comunista e le tensioni della Guerra Fredda. Questo scambio sportivo, avvenuto il 10 aprile 1971, fu il primo contatto pubblico tra americani e cinesi dal 1949.
Kissinger sfruttò abilmente questa apertura. Nel luglio 1971, compì un viaggio segreto a Pechino, preparando il terreno per la visita ufficiale di Nixon nel febbraio 1972. L’obiettivo strategico era chiaro: aprire un dialogo con la Cina per indebolire il blocco sovietico, sfruttando le tensioni sino-sovietiche. La “strategia del ping pong” non fu quindi una tattica improvvisata, ma parte di una visione più ampia di realpolitik, in cui Kissinger cercava un equilibrio di potere globale. Egli vedeva nella Cina un contrappeso all’Unione Sovietica, anche a costo di concessioni diplomatiche, come il riconoscimento della Repubblica Popolare Cinese a scapito di Taiwan.
Quello che sta facendo Trump è l’equivalente, cambiando i soggetti e invertendo i fattori, di quanto fece Kissinger.
Trump intende riequilibrare il rapporto con la Russia, per togliere Mosca da un abbraccio troppo stretto con la Cina e Putin non può che essere d’accordo, come fu d’accordo, al tempo, Mao per svincolarsi da un rapporto troppo stretto con l’Urss.
Il gioco, pertanto, è di equilibrio geopolitico mondiale e di accordo tra Russia e Usa per lo sfruttamento delle risorse e per assicurare i colli di bottiglia delle comunicazioni internazionali, elementi essenziali per garantire la fluidità dei commerci.
La questione dell’Ucraina è da considerarsi, in questo quadro, radicalmente cambiato da quello pensato e voluto, nonché in parte realizzato, dai neocon.
Ieri lo Speaker della Camera del Congresso americano, il Repubblicano Mike Johnson, ha detto che “non c’è interesse” nel garantire nuovi fondi all’Ucraina. “Non c’è interesse per quello – ha detto Johnson in un’intervista a Newsmax, durante la conferenza del partito conservatore americano – Noi dobbiamo far finire la guerra e posso dire che anche i nostri alleati europei lo pensano”.
Guarda caso, nei rapporti tra Usa e Kiev si parla di materie rare.
Gli Stati Uniti hanno fornito all’Ucraina una nuova versione dell’accordo sui minerali, che tiene conto di alcune osservazioni di Kiev e ha maggiori probabilità di essere concluso. Lo scrive Axios, che lo ha appreso da cinque fonti in Ucraina e negli Stati Uniti. La notizia è confermata dalla Pravda ucraina.
Secondo fonti di Axios, nei giorni scorsi sono proseguiti i negoziati tra le parti ucraina e americana sull'”accordo sul sottosuolo” e gli Stati Uniti hanno presentato all’Ucraina una bozza aggiornata che tiene conto di alcune preoccupazioni di Kiev. Una delle fonti ha specificato che dall’accordo sono stati eliminati alcuni articoli che avevano suscitato preoccupazione tra gli ucraini, in particolare quello secondo cui il documento rientrava nella giurisdizione del tribunale di New York.
“L’ultima bozza rappresenta un miglioramento significativo ed è conforme alla legge ucraina”, ha detto la fonte ad Axios. La stessa fonte ha dichiarato al portale che diversi collaboratori di Zelensky lo hanno esortato a firmare la proposta aggiornata per evitare ulteriori scontri con Trump e consentirgli di giustificare il prosieguo del sostegno degli Stati Uniti all’Ucraina.
“Queste sono trattative. E nelle trattative, si negozia. L’Ucraina vuole negoziare sui minerali, quindi ne stiamo parlando”, ha detto ad Axios un funzionario della Casa Bianca non identificato.
In tutto questo cosa fa l’’Unione Europea? Fa la barricata di resistenza dei neocn, della parte della finanza che non ha cambiato rotta e difende anche sé stessa, ossia il suo essere un aggregato economico e finanziario senza essere uno Stato.
La nuova strategia di Trump e di Putin ha condotto per mano l’Unione Europea nuda alla meta.
Non si trasforma un aggregato economico, un mercato e una moneta in uno Stato e se non c’è uno Stato non c’è un esercito.
Gli europei hanno una storia millenaria di divisioni, che non possono essere superate da chi da Bruxelles, sulla base di direttive burocratiche insulse, vuole omologare chi non è omologabile.
Gli europei sono quelli della Guerra dei Cent’anni (1337-1453): un lungo conflitto tra il Regno d’Inghilterra e il Regno di Francia, durato in realtà 116 anni, con periodi di guerra alternati a tregue. Non fu una guerra continua, ma una serie di scontri motivati da dispute dinastiche, in particolare la pretesa degli inglesi al trono francese, e da rivalità economiche e territoriali.
Gli europei sono quelli della Guerra dei Trent’anni (1618-1648): uno dei conflitti più lunghi e devastanti della storia del Vecchio Continente che si svolse principalmente nel territorio del Sacro Romano Impero, coinvolgendo molte potenze europee dell’epoca. Nacque come un conflitto religioso tra cattolici e protestanti, ma si trasformò presto in una lotta politica per il potere e l’egemonia in Europa.
Che dire delle guerre napoleoniche e di due guerre mondiali del secolo scorso?
L’idea di un’Europa unita, con la Ceca, la Comunità economica e via discorrendo, ha evitato nuove guerre tra le solite vecchie potenze, ma l’Unione Europea scaturita dagli accordi di Maastricht è un obbrobrio che nascondeva, sotto mentite spoglie, la volontà egemonica della Germania e della Francia.
Oggi l’Unione Europea è fallita, non può avere un esercito perché non è uno Stato, non è un Federazione, non è altro che un mostro burocratico, un nano politico e un insieme di leader cotti.
Il nuovo accordo in itinere tra Trump e Putin ha distrutto ogni velleità del burosauro europeo.
Si vuole riparlare di Europa? Si deve partire da zero: da una Costituzione e dall’idea di fondare una Federazione.
La realtà è cambiata radicalmente. A Washington non c’è più Joe Biden e qualcuno se ne deve finalmente rendere conto. L’era dei neocon è tramontata.
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