La liquidazione torna al vaglio della Consulta

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L’avvocato Pietro Frisani – Difendimi.com

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Basta con «l’ingiustizia» sulla liquidazione per i dipendenti pubblici (il Tfs-Trattamento di fine servizio), che possono arrivare a dover aspettare fino a sette anni per ottenerla. Una «discriminazione» a tutti gli effetti rispetto ai lavoratori del settore privato. Sette sigle sindacali – tra cui Cgil e Uil – rilanciano il pressing a governo e Parlamento per superare una disparità che ritengono non più giustificabile e che vede «un inaccettabile sequestro» di risorse ai danni degli statali. Un tema su cui c’è l’attenzione della politica, ma su cui resta il nodo delle coperture.

Tra l’altro il Tar delle Marche, nell’udienza tenutasi lo scorso 12 febbraio 2025, ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale delle norme che dispongono il pagamento dilazionato del Tfs. Il Tar ha accolto le censure sollevate dal ricorrente dirigente della Polizia di Stato in quiescenza dal 2022 e difeso dall’avvocato Pietro Frisani, capo dello staff legale di Difendimi.com con le quali, ritenendo manifestamente contraria ai principi costituzionali oltre che a quelli dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’ Uomo la normativa che impone una dilazione nel pagamento del Tfs per un periodo superiore a tre anni, chiedeva il pagamento immediato dell’intero Tfs oltre alla rivalutazione delle intere somme e dei relativi interessi. «La Corte Costituzionale – spiega il legale – aveva già due volte ( sent.159/2019 e 130/2023) sollecitato un intervento del legislatore diretto a modificare questa normativa ritenendola chiaramente illegittima soprattutto laddove non riconosce a fronte della dilazione alcuna rivalutazione delle somme corrisposte in ritardo. La questione non è di poco rilievo se solo si considera che per il 2023 il tasso di inflazione era dell’8% e per il 2024 del 5% e un dipendente pubblico con un Tfs lordo di 200mila euro subisce una perdita netta su detto importo di circa 26mila euro oltre gli interessi. Nessun governo se ne è preoccupato. Una proposta di legge del gennaio 2024 si è infranta contro lo scoglio della Ragioneria di Stato, che ha messo nero su bianco l’importo di circa 3,8 miliardi di euro che avrebbe dovuto sborsare lo Stato per pagare tutti i Tfs senza dilazione. Senza tuttavia considerare che non sarebbe un regalo, ma denari dei dipendenti accantonati negli anni che sono in tutto e per tutto esclusivamente loro».

Ma ancor peggio ha fatto l’Inps che dopo aver istituito l’anticipazione Tfs a favore degli iscritti alla Gestione Unitaria delle prestazioni creditizie e sociali, trovatasi inondata di richieste di anticipazioni per gli iscritti al Fondo Credito, nell’aprile 2024 ha inibito la presentazione di ulteriori domande e nel giugno successivo ha disposto la chiusura in via definitiva della procedura di anticipazione per gli iscritti al Fondo Credito. «A questo punto – sottolinea Frisani – è altamente probabile che la Corte dichiari esaurita la propria pazienza di fronte all’inerzia di un legislatore che ignora i reiterati moniti della Corte stessa, con ciò ledendone le prerogative e l’Istituzione che essa rappresenta, dichiarando l ‘illegittimità delle relative disposizioni normative. Ciò consentirà a tutti coloro i quali sono andati in pensione negli ultimi anni di richiedere ed ottenere la restituzione di interessi e rivalutazione monetaria sulle somme percepite a fronte di una dilazione illegittima».

Come funziona il Tfr/Tfs

Il meccanismo attuale prevede che il Trattamento di fine rapporto/servizio (Tfr/Tsr) ai pubblici dipendenti venga corrisposto dopo 12 mesi se il pensionamento è di vecchiaia, 24 mesi se il pensionamento è anticipato, ma se supera i 50mila euro scatta la rateizzazione e dunque i tempi si allungano ulteriormente. E il pagamento può addirittura arrivare a 93 mesi, precisa Ezio Cigna della Cgil, nei casi di uscita con Quota 100-103. È poco sotto i due milioni la platea interessata dal 2011 a oggi. La Corte costituzionale è intervenuta nel 2023, dichiarando anticostituzionale il differimento della liquidazione ai dipendenti pubblici usciti per raggiunti limiti di età o di servizio. Ora le confederazioni Cgil, Uil, Cgs, Cse, Cosmed, Cida e Codirp rilanciano la necessità di una soluzione e calcolano gli effetti del ritardo nel pagamento. In due anni, considerando le cessazioni del 2022 e 2023, sono due miliardi e 157 milioni di euro “sottratti” ai lavoratori pubblici a causa del differimento e dell’inflazione, risorse che, sottolineano ancora i sindacati, rappresentano una perdita anche per l’economia del Paese. Un’attesa che inficia pure sul potere d’acquisto del Tfs, che perde valore col passare del tempo: le confederazioni stimano una perdita di 11.735 euro su un trattamento medio di 82.400 euro, pari al 14,3% in meno, a causa dell’alta inflazione degli ultimi anni. A sostenere la necessità di un intervento sui tempi di erogazione anche il Civ dell’Inps.

Nel frattempo quasi 50mila lavoratori, ricorda Santo Biondo della Uil, hanno sottoscritto una petizione per chiedere una riforma immediata. Ma andrebbero trovate le risorse necessarie, che viaggerebbero intorno ai 3,8 miliardi per anticipare il pagamento delle liquidazioni per l’uscita di vecchiaia da 12 a 3 mesi. Una strada iniziale potrebbe essere percorsa. L’erogazione del Tfs per i dipendenti pubblici, sui cui tempi c’è «una indubbia differenza» rispetto ai privati, «è un diritto, penso che la politica di qui ai prossimi mesi qualche risposta – forse non completa – la possa dare», dichiara il presidente della commissione Lavoro della Camera Walter Rizzetto (FdI), ponendo l’accento sull’anticipo. L’opposizione rilancia il pressing e la richiesta di aprire un tavolo. «Non è una battaglia ideologica, bisogna sanare un vulnus», afferma il deputato del M5s Alfonso Colucci, primo firmatario proprio della proposta di legge presentata nel 2023 per ridurre a massimo tre mesi i tempi di pagamento. «C’è una pace che lo Stato deve fare immediatamente con i propri dipendenti: dare attuazione alla sentenza della Corte costituzionale», incalza il capogruppo Pd in commissione Lavoro alla Camera Arturo Scotto.

Cida: fino a sette anni per pagare il Tfs

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«Lo Stato è un datore di lavoro latitante. Il dipendente pubblico può attendere fino a sette anni per la liquidazione del rapporto di fine impiego; nel settore privato l’attesa è di pochi mesi, come è giusto che sia. Nel pubblico la normativa attuale impone ritardi e rateizzazioni che penalizzano in particolar modo i vertici della Pa, ossia proprio coloro che più si sono spesi per il buon funzionamento dello Stato e del suo apparato». Lo rimarca la Cida, la confederazione che rappresenta dirigenti, quadri e alte professionalità, esortando il governo e il Parlamento «a porre fine a questa disparità con un intervento concreto che garantisca tempi certi» di liquidazione per i dipendenti pubblici. L’attuale sistema «colpisce in modo sproporzionato i dirigenti e i professionisti pubblici, ossia quei lavoratori che hanno versato più contributi e garantito il buon funzionamento della macchina statale. Oggi gli importi inferiori ai 50mila euro vengono erogati in un’unica soluzione; per quelli compresi nella fascia tra 50mila e 100mila euro, l’erogazione avviene in due rate annuali; chi è in attesa di importi superiori ai 100mila euro deve attendere tre anni. Una prassi inaccettabile», sostiene il presidente della Fp-Cida Roberto Caruso.

Per Cida una soluzione esiste ed è economicamente sostenibile. Secondo i dati Inps, il Tfs ha generato una spesa di 9,7 miliardi di euro nel 2023, ricorda sostenendo che la proposta di modifica contenuta nel disegno di legge attualmente in discussione, comporterebbe un costo iniziale di 3,8 miliardi di euro, ma consentirebbe di sostenere minori costi progressivi fino a ridurre la spesa prevista nei piani pluriennali dell’Inps per una somma pari a 1,08 miliardi di euro annui dal 2030 al 2033. Il presidente della Cida Stefano Cuzzilla ribadisce che «adeguare il sistema del Tfs non è solo una questione di equità e civiltà, ma anche di sostenibilità».





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