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Il governo sta lavorando – con un po’ di nervosismo – a un provvedimento per tentare di ridurre gli effetti negativi dell’aumento dei costi dell’energia. L’intervento, che sarà un decreto-legge e a cui già si fa riferimento come al “decreto Bollette”, è stato annunciato il 13 febbraio scorso dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti al Senato, in modo per la verità piuttosto vago. Quell’anticipazione, che serviva a Giorgetti a replicare alle critiche di immobilismo rivolte al governo in merito alla difficile situazione dell’economia, ha finito in realtà per creare aspettative e confusione. I dati sull’economia e in particolare sulla produzione industriale, del resto, sono pessimi, e il governo è consapevole che al momento le risorse per interventi in questo ambito sono limitate.
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Il 12 febbraio scorso l’ISTAT ha pubblicato l’indice della produzione industriale di dicembre, diminuita del 3,1 per cento rispetto al mese precedente, e del 7,1 per cento rispetto al dicembre del 2023. Non è una novità, da dicembre del 2022 la produzione industriale italiana ha avuto 23 mesi consecutivi di calo, ma proprio il dato della fine del 2024 è il peggiore di questo lungo periodo di calo, che non era mai stato così evidente. Nel complesso, nel 2024 la produzione industriale italiana è calata del 3,5 per cento, ancora di più del già difficile 2023 (-2 per cento).
Alcuni settori in particolare stanno perdendo di più rispetto al 2023: quello automobilistico (-23,6 per cento), quello tessile (-18,3 per cento), il metallurgico (-14,6 per cento); le attività manifatturiere nel complesso sono calate dell’8,7 per cento.
In gran parte, lo stato preoccupante dell’industria italiana riflette quello europeo, trascinato al ribasso dalla perdurante crisi tedesca. Il governo ha spesso giustificato la difficoltà proprio con il contesto internazionale, rivendicando come l’economia italiana fosse comunque più in salute di quella di altri paesi dell’Unione Europea. Ma alla lunga, anche questo paragone è diventato impietoso per l’Italia.
L’Eurostat, l’istituto di statistica europeo, il 13 febbraio ha pubblicato dei dati che mostrano come l’industria italiana sia messa male anche rispetto al contesto europeo. Se infatti il calo medio nell’Unione Europea su base annuale, nel dicembre 2024 rispetto al dicembre 2023, è stato dell’1,7 per cento, in Italia è stato del 7,1 per cento. Persino la produzione industriale della Germania, sulla cui crisi si è detto e scritto moltissimo, è calata meno (-4 per cento), così come quella francese (-1,3 per cento), mentre tra i principali paesi quello che sta andando meglio è la Spagna (+2,6 per cento).
Su base mensile, dunque nel raffronto tra dicembre e novembre del 2024, il dato italiano (-3,1 per cento) è il quarto peggiore, dopo Belgio (-6,8 per cento), Portogallo (-4-4 per cento) e Austria (-3,3 per cento).
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Non è solo responsabilità del governo di Giorgia Meloni. L’industria italiana ha da anni problemi strutturali (scarsissima produttività, molti giovani laureati che vanno via, burocrazia inefficiente, costi dell’energia mediamente più alti che altrove, scarsa propensione agli investimenti), attenuati solo in parte dalla generale ripresa dell’economia seguita alla crisi dovuta alla pandemia.
Ma non c’è dubbio che le misure a sostegno dell’industria non sono state una priorità per Meloni, finora. Molto attento a tenere in ordine i conti pubblici e a seguire politiche caute, il governo ha dato priorità agli interventi per le famiglie con redditi medi e bassi (sotto i 40mila euro) e dei lavoratori dipendenti, trascurando invece le misure di stimolo ai settori più produttivi. Proprio Confindustria, cioè la principale organizzazione che rappresenta le imprese, commentando l’ultima legge di bilancio a novembre aveva denunciato come fossero «sostanzialmente assenti il sostegno agli investimenti e alle imprese che li realizzano».
Questo atteggiamento, dettato anche dalle ristrettezze del bilancio che hanno costretto a fare scelte molto oculate, ha reso ancor più difficile per l’industria italiana reagire, o resistere, a un contesto internazionale che si è progressivamente deteriorato (e che rischia di risentire, nei prossimi mesi, degli effetti negativi della politica protezionistica annunciata e in parte attuata dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump).
Sia il ministro dell’Economia Giorgetti, sia quello delle Industrie Adolfo Urso, ancora a dicembre avevano fatto annunci un po’ ottimisti assicurando che ci sarebbero state svolte positive: sono stati però smentiti dai dati. A quel punto, anche per rispondere alle critiche delle opposizioni, il governo aveva annunciato provvedimenti, individuando come prioritario un problema che ha senza dubbio ricadute negative sull’industria, ma che soprattutto rischia di farsi sentire sulla popolazione e quindi di generare malcontento: il rincaro dei prezzi dell’energia.
A dicembre il costo della fornitura di energia elettrica e gas è aumentato del 3,6 per cento rispetto all’anno precedente. Vista la velocità con cui il prezzo è salito nell’ultima parte dell’anno scorso, è probabile che l’aumento proseguirà anche nella prima parte di quest’anno. Le conseguenze sull’economia sono molte: ce n’è una diretta sulle famiglie e in generale sulla popolazione (bollette più care), un’altra sulle imprese (che devono pagare di più per alimentare i loro impianti), e un effetto indiretto ancora sulle persone, che pagheranno di più i prodotti finiti, il cui prezzo aumenta proprio in ragione del maggior costo di produzione. Per interrompere, o quantomeno rallentare, questa spirale, il governo sta studiando un provvedimento che dovrebbe essere approvato all’inizio di marzo.
Ne hanno discusso martedì mattina Meloni e Giorgetti in una riunione, a cui hanno partecipato anche il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin e quello degli Affari europei Tommaso Foti. Dall’incontro è stato tenuto fuori invece il ministro Urso, che si è un po’ risentito, stando a quanto riferiscono i suoi collaboratori, per questo trattamento. Urso, che già in passato intervenne contro il rincaro dei prezzi e della benzina con misure discutibili e per lo più inefficaci, nei giorni scorsi aveva suggerito ai colleghi di governo delle possibili soluzioni che però, almeno per ora, non sono state tenute molto in considerazione.
Il ministro delle Imprese Adolfo Urso partecipa alla Direzione nazionale di Fratelli d’Italia, a Roma, il primo febbraio 2025 (Mauro Scrobogna/LaPresse)
Al momento, le ipotesi su cui i tecnici del ministero dell’Economia e del ministero dell’Ambiente stanno lavorando sono principalmente due. Da un lato estendere i bonus per le bollette anche a famiglie con redditi più alti rispetto agli attuali limiti, aumentando dunque la soglia oltre la quale non si ricevono sconti sulle tariffe di luce e gas; dall’altro lato, si sta cercando una soluzione per fare in modo che anche le imprese abbiano agevolazioni più consistenti di quelle attuali.
Il ministero dell’Ambiente, insieme al GSE, la società pubblica responsabile della gestione dei servizi energetici, sta valutando in particolare di concedere anche a tutte le imprese medie e piccole il cosiddetto energy release, indirizzato finora solo a quelle energivore, quelle cioè che consumano grosse quantità di energia. È una misura che ha il vantaggio di costare poco nell’immediato, e che consentirebbe alle imprese di utilizzare energia fornita direttamente dal GSE per tre anni, in cambio dell’impegno delle imprese stesse a installare impianti alimentati da fonti rinnovabili grazie ai quali restituire allo Stato quell’energia nei successivi venti o trent’anni. Una specie di prestito a lunga scadenza di energia, insomma.
Il confronto tra i tecnici del governo e quelli dell’Economia e dell’Ambiente proseguirà nei prossimi giorni. Andranno risolti due problemi: uno riguarda la copertura finanziaria del provvedimento, visto che i soldi per finanziare le misure sono pochi; l’altra ha a che vedere col rischio che la Commissione Europea possa considerare i sostegni alle imprese previsti dal governo come aiuti di Stato illeciti, e dunque contestare la norma. Anche per questo sono in corso trattative tra il ministro per gli Affari europei Foti e la commissaria europea alla Concorrenza Teresa Ribera.
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