Gettonatissimo in tempo di scandali e misteri, di omissis e ragion di Stato, l’organismo paritario di controllo sui Servizi, guidato dall’opposizione, è tenuto al segreto
Quest’anno va di moda il Copasir, che se fosse un colore sarebbe indaco, assai freddo, non marcato. Se ne sente parlare ogni giorno più volte al giorno. Andiamo al Copasir. Il governo sfila dinanzi al Copasir. Pronti a riferire al Copasir. Proficuo incontro al Copasir. Agenda di visite al Copasir. Tutto chiarito al Copasir. Cominciamo col dire non tanto cos’è il Copasir, ma che sta a significare l’acronimo Copasir: comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica. Vaste programme.
Il Copasir è l’estensione parlamentare, l’unica autorizzata e con poteri specifici, che vigilia sulle attività dei servizi segreti e perciò sui responsabili che le indirizzano: il governo in carica. Quest’anno va di moda il Copasir perché la sicurezza nazionale, spesso declinata come Ragion di Stato, è alla base dei casi più spinosi che si affastellano da un paio di mesi nel dibattito pubblico: le dimissioni dell’ambasciatrice Elisabetta Belloni dal ruolo di direttore del Dis, il dipartimento per le informazioni e la sicurezza (Dis) che coordina le Agenzie interne e esterne; la liberazione di Cecilia Sala detenuta in Iran e lo scambio in differita con l’ingegnere iraniano Mohammed Adedini; la scarcerazione con il trasferimento a Tripoli del generale torturatore Osama Almasri; le verifiche di intelligence su Gaetano Caputi, capo di gabinetto della presidenza del Consiglio; gli esposti contro la Procura di Roma per il documento su Caputi allegato agli atti di una querela per diffamazione; il mistero attorno all’invasivo virus spia inoculato nei telefoni di sette italiani e fabbricato da Paragon, azienda israeliana acquistata da un fondo americano; la citazioni per danni nei confronti di due quotidiani per un retroscena e un commento al retroscena reputati falsi. E scusate se è poco.
Il governo di Giorgia Meloni ha affrontato alle Camere gran parte di questi casi spinosi, non di rado l’ha fatto mal volentieri e con troppe esitazioni, mentre con piacere ministri di governo e non soltanto ministri si precipitano a farsi interrogare a palazzo San Macuto, la sede ovattata e protetta del Copasir. Il motivo è semplice: il Copasir è il santuario del segreto. La violazione è un reato che viene punito con il carcere da due a cinque anni e peraltro c’è una maggiorazione prevista per i parlamentari.
Il Copasir ha un mandato essenziale per il funzionamento democratico e, proprio per il velame di segreto che lo avvolge, non sempre ciò è percepito. La verità si compone al Copasir o quantomeno queste sono le intenzioni, ma lì ne rimane perlopiù sigillata. Il presidente Lorenzo Guerini, l’esponente del Partito Democratico che fu già presidente Copasir durante la scorsa legislatura prima di diventare ministro della Difesa nei governi di Giuseppe Conte in versione giallorossa e di Mario Draghi in versione tecnica poi, è solito ripetere che «l’intelligence deve star fuori dalla contesa politica come deve starne fuori il Comitato, che è un organo di garanzia e di controllo e dunque è chiamato a tutelare pure i controllati. Il Copasir deve essere messo al riparo da questioni politiche. Quando ci sono elementi di valenza politica bisogna che siano trattati in una sede politica opportuna». Insomma il Copasir non deve diventare la terza Camera del Parlamento che dispone di un confessionale per liberare nel segreto il governo dai suoi eventuali peccati né la politica deve eccedere in speculazioni mediatiche sui servizi segreti banalizzando temi seri, forse anche seriosi, che attengono alla sicurezza nazionale. Molti governi, quasi tutti, sono tentati di usare il Copasir per una rapida e indolore confessione e il governo Meloni non fa eccezione, ma il Copasir fa altro. Per esempio riceve un aggiornamento semestrale dalla presidenza del Consiglio sulle operazioni di intelligence e sui pericoli per la sicurezza nazionale, può convocare i vertici dei servizi segreti e anche i singoli dipendenti, può sollecitare accertamenti sulle condotte di appartenenti o ex appartenenti ai servizi segreti, può esercitare un controllo sulle spese relative a operazioni concluse, esprime pareri su riforme e risorse, può chiedere documenti e informazioni riservate e, dopo sostanziale diniego, può rivolgersi alla presidenza del Consiglio e in ultima istanza riferire alle Camere, sebbene un conflitto del genere non sia accaduto mai dalla sua costituzione nel 2007.
Il Copasir non comunica, è taciturno per forza, non va oltre la citazione dell’audito dai commissari. Nel 2023 ha svolto 58 audizioni, più di una a settimana. Fin qui a gennaio e febbraio ha accolto: il ministro Carlo Nordio (Giustizia), il capo della Polizia Vittorio Pisani, il sottosegretario Alfredo Mantovano, il direttore Giovanni Caravelli (Aise), il direttore Bruno Valensise (Aisi), il procuratore di Roma Francesco Lo Voi. Quello che succede nel Copasir resta al Copasir a parziale esclusione di quello che viene riferito nella relazione annuale. «Sono state ricevute due comunicazioni, ai sensi dell’articolo 19, comma 4, della legge istitutiva, di conferma all’autorità giudiziaria, da parte del presidente del Consiglio dei ministri, della sussistenza dell’autorizzazione di condotte di cui all’articolo 17 (garanzie funzionali)». Questo è un passaggio delicato, segnala che in due circostanze per l’intelligence è stato necessario utilizzare l’immunità penale (garanzie funzionali) rispetto alle inchieste giudiziarie. Il Copasir tratta documenti classificati in origine e quindi non può rivelarli. Però in teoria potrebbe divulgare quello che viene prodotto dal Copasir: è sufficiente una votazione a maggioranza del Comitato. E qui subentra l’argomento politico. A differenza del rottamato Copaco e delle altre commissioni monocamerali o bicamerali, il Copasir è la sola commissione che non riflette la maggioranza parlamentare. Difatti è composto da dieci membri, cinque di maggioranza e cinque di opposizione, indicati dai presidenti di Camera e Senato dopo una consultazione con i capigruppo. Il presidente spetta di diritto alle opposizioni, ma il suo voto non vale più degli altri. Ne consegue che per avere una maggioranza dentro al Copasir, anche per comunicare un innocuo brandello di audizioni, dovrebbe accadere che un membro di maggioranza si associ alle opposizioni e viceversa. Più facile che si verifichi quello che si verifica di frequente: spifferi sussurrati da bocche ignote, cioè fonti non del Copasir, che comunicano quello che è conveniente comunicare. Oppure spiegazioni che non sono contestabili perché non è possibile fornire controprove. Quando ci si affida al mantra: il Copasir era soddisfatto. E chi potrebbe smentire se il Copasir è vincolato al segreto? Con Guerini presidente al Copasir, proprio per muoversi senza rompersi, si procede con votazioni all’unanimità.
Attualmente il Copasir, per equilibri di opposizione, non ospita un membro di Alleanza verdi sinistra. Oltre al presidente dem Guerini, ci sono Roberto Scarpinato e Marco Pellegrini per i Cinque Stelle, Enrico Borghi per Italia Viva, Ettore Rosato per Azione. Con la maggioranza ci sono Giovanni Donzelli, Ester Mieli, Angelo Rossi per Fratelli d’Italia; Claudio Borghi per la Lega, Licia Ronzulli per Forza Italia. Durante un cambio di maglie nel centrosinistra, Italia Viva di Matteo Renzi aveva due commissari, Borghi fuoriuscito dal Pd e il segretario del Comitato Rosato finché Rosato non ha lasciato Italia Viva per Carlo Calenda.
Il governo Meloni non avverte di certo l’urgenza di rendere più trasparente il Copasir, ma di rinfrescare le norme sui servizi segreti sì. Per una materia così delicata è inevitabile consultare le opposizioni e costruire assieme un accordo. Non stupisce che il sottosegretario Mantovano, l’autorità delegata per la sicurezza nazionale, abbia affermato che si potrebbe trarre spunto dalla proposta di legge di Guerini. Il presidente del Copasir, abile interprete del galateo istituzionale e cerniera fra maggioranza e opposizione, non ha presentato una bozza per riformare le Agenzie o cambiare l’assetto dell’intelligence, ma per definire un piano triennale della sicurezza nazionale, allestire un gruppo interministeriale per la Sicurezza della Repubblica più snello e agile di quello di oggi e soprattutto per rendere obbligatoria la figura dell’Autorità delegata ai servizi segreti. Per due volte, nel recente passato, Gentiloni e Conte hanno tenuto per sé la delega (Conte nelle ultime settimane a Palazzo Chigi scelse l’ambasciatore Pietro Benassi). Va notato che Guerini ha previsto che l’Autorità delegata sia un impegno esclusivo con una deroga: può fare il segretario del Consiglio dei ministri. Come Gianni Letta. E come il medesimo Mantovano.
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