Oltre la DEI, un nuovo approccio per gli Studi legali

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Negli ultimi anni, il tema della diversità, equità e inclusione (DEI) ha conquistato un ruolo di primo piano nel mondo aziendale, con molte organizzazioni che hanno investito in programmi e iniziative per creare ambienti di lavoro più equi e rappresentativi. Tuttavia, il recente backlash contro la DEI e il calo del supporto tra i lavoratori indicano che qualcosa non ha funzionato.

Cosa significa questo per gli Studi legali e commercialisti? Il settore è storicamente caratterizzato da dinamiche di selezione e crescita professionale piuttosto rigide, con percorsi di carriera spesso opachi e una forte resistenza al cambiamento culturale. Se la DEI, nel suo approccio tradizionale, sta mostrando i suoi limiti, è il momento di ripensare il modo in cui affrontiamo questi temi all’interno delle nostre realtà professionali.

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Perché la DEI ha bisogno di un reset?

La teoria alla base della DEI è solida: creare ambienti più inclusivi e giusti migliora le performance aziendali, riduce il turnover e favorisce l’innovazione. Tuttavia, molte iniziative si sono dimostrate inefficaci o addirittura controproducenti. Ad esempio:

  • I programmi di formazione obbligatori sulla diversità spesso non riducono il pregiudizio, anzi, possono generare resistenza e cinismo tra i partecipanti.
  • Le strategie di comunicazione sulla DEI possono, in alcuni casi, polarizzare le persone anziché creare un consenso condiviso.
  • Le iniziative basate su identità specifiche rischiano di creare esclusione involontaria di altre categorie, rendendo il cambiamento più difficile.

In uno studio recente, molti lavoratori hanno espresso una crescente stanchezza nei confronti delle iniziative DEI, perché percepite come scollegate dai problemi reali del loro lavoro quotidiano. Questo è un segnale chiaro: bisogna cambiare approccio.

Dal concetto di DEI al modello FAIR: un nuovo paradigma

Una delle alternative più interessanti al modello DEI è l’approccio FAIR, sviluppato da Lily Zheng, una stratega e consulente specializzata nella costruzione di organizzazioni eque, accessibili, inclusive e rappresentative, che si concentra su quattro pilastri fondamentali: Fairness (equità), Access (accesso), Inclusion (inclusione) e Representation (rappresentanza).

Cosa significa tutto questo in concreto per gli Studi legali e commercialisti?

1. Fairness (Equità): trasparenza nei percorsi di carriera e valutazione basata sul merito

Negli Studi professionali, la progressione di carriera è spesso poco trasparente.
Chi ottiene la partnership? Chi viene promosso a ruoli di maggiore responsabilità?
Se le decisioni sono lasciate alla discrezionalità dei senior, senza criteri chiari e condivisi, si rischia di creare disparità sistematiche.

Un esempio concreto? Un’organizzazione in cui una persona in posizione apicale accusata di promuovere i membri del suo team sulla base di motivazioni personali e non meritocratiche. La soluzione? Non certo sottoporlo a un generico training sulla diversità, ma formalizzare il processo di promozione, stabilendo criteri chiari, trasparenti e basati su performance misurabili.

Gli Studi professionali dovrebbero fare lo stesso, rendendo il percorso di carriera più strutturato e meno discrezionale, con criteri oggettivi per la valutazione di ogni professionista.

2. Access (Accesso): rimuovere le barriere alla partecipazione

Accesso non significa solo “rendere tutto accessibile alle persone con disabilità”. Vuol dire garantire a tutti l’opportunità di partecipare pienamente alla vita dello Studio.

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Ad esempio:

  • Se una riunione importante viene organizzata in orari serali, escluderà di fatto chi ha responsabilità familiari.
  • Se i momenti informali di networking avvengono solo in ambienti ristretti e maschili, si crea una barriera implicita per molte professioniste donne.
  • Se le opportunità di formazione sono disponibili solo per chi può permettersi di sacrificare tempo ed energia extra, si rischia di escludere talenti potenzialmente validi.

Garantire accesso reale significa progettare un ambiente di lavoro che non favorisca sempre gli stessi profili, ma che consenta a tutti di contribuire e crescere.

3. Inclusion (Inclusione): oltre le iniziative simboliche, serve un cambiamento culturale

Troppo spesso, la DEI è stata ridotta a iniziative di facciata: eventi celebrativi, seminari occasionali, post sui social. Ma l’inclusione reale si misura con indicatori concreti.

Per fare un esempio, in un’organizzazione in cui le donne vengono costantemente interrotte nelle riunioni, il problema non si risolve con un “workshop sul linguaggio inclusivo”. Piuttosto, si deve cambiare la cultura delle riunioni, stabilendo regole chiare su come dare spazio a tutte le voci.

Negli Studi legali e commercialisti (come d’altronde in tutte le altre organizzazioni) una vera inclusione si ottiene se:
✔ I professionisti junior si sentono liberi di esprimere il proprio punto di vista senza timore di ripercussioni.
✔ Chi appartiene a categorie sotto-rappresentate ha le stesse opportunità di mentoring e sviluppo dei colleghi più “tradizionali”.
✔ La cultura dello studio premia il contributo e il valore delle idee, non solo chi parla più forte o chi ha il network più forte.

4. Representation (Rappresentanza): leadership credibile e inclusiva

Molti Studi professionali hanno cominciato a diversificare i loro Board, inserendo più donne o persone provenienti da background differenti. Tuttavia, la rappresentanza non è solo una questione di numeri: è una questione di fiducia e partecipazione reale alle decisioni.

Se un Consiglio di Amministrazione include formalmente figure di diverse categorie, ma le decisioni continuano a essere prese da un piccolo gruppo di persone con lo stesso background, quella rappresentanza è solo di facciata.

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Perché la rappresentanza funzioni davvero:

  • I leader devono avere un dialogo continuo con i collaboratori e dimostrare di ascoltare le loro esigenze.
  • Devono esserci meccanismi chiari di accountability: se emergono disparità di trattamento, devono essere affrontate e risolte.
  • La leadership deve essere percepita come credibile, non solo “politicamente corretta”.

Un nuovo approccio per un cambiamento reale

Negli Studi legali e commercialisti, la diversità, equità e inclusione non devono essere un’etichetta vuota, ma una leva strategica per migliorare la qualità del lavoro, il talento interno e la competitività.

L’approccio FAIR offre una visione pragmatica e concreta, focalizzata su risultati misurabili piuttosto che su dichiarazioni di principio. In sintesi:

  • L’equità si costruisce con processi trasparenti.
  • L’accesso si garantisce progettando ambienti di lavoro inclusivi.
  • L’inclusione si raggiunge con un cambiamento culturale profondo.
  • La rappresentanza si misura con la fiducia, non solo con le quote.

Se vogliamo Studi professionali più giusti e competitivi, è il momento di guardare oltre il concetto tradizionale di DEI e adottare un approccio che sia realmente efficace.



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