La mobilitazione dei ricercatori ferma la riforma Bernini

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La ministra Bernini, sotto attacco per via dei consistenti tagli all’università, oggi avrebbe preferito stare sui giornali con l’annuncio, dato alla Crui, del ripristino di parte dei fondi. Invece la notizia che è arrivata dalla riunione della Conferenza dei Rettori di ieri è stata un’altra: l’esame parlamentare del ddl sulla riforma del preruolo è stato sospeso «alla luce delle veemente proteste di sindacati e associazioni di dottorandi che si sono rivolti alla Commissione europea».

UNA VITTORIA del movimento di ricercatori e personale amministrativo con contratti a tempo degli atenei che dalla scorsa estate stanno protestando contro la riforma voluta dalla ministra che estenderebbe figure e durata del precariato universitario. «La scelta della ministra segnala che la nostra mobilitazione ha colpito nel segno – commentano dagli Stati di agitazione dell’università, un coordinamento che riunisce varie sigle tra cui Adi (Associazione dottorandi e dottorati italiani) e Flc Cgil – Reintrodurre sotto un altro nome l’assegno di ricerca, sottopagato e privo di tutele senza eguali in Europa, sarebbe stato un colpo fortissimo alle migliaia di ricercatori e ricercatrici che lavorano nelle università e la mandano avanti».

L’ESPOSTO alla Commissione Europea era stato inviato lo scorso 4 novembre da Flc Cgil e Adi per denunciare l’inadempimento degli obblighi del Pnrr rispetto alle stabilizzazioni delle carriere universitarie. «La sospensione della discussione parlamentare conferma che avevamo ragione: la protesta paga -osserva il segretario generale dell’Adi, Davide Clementi- siamo contenti del ripensamento ma c’è bisogno del ritiro completo del provvedimento». Dello stesso avviso non è stata la Crui che ha invitato Bernini a non abbandonare l’iter di approvazione della legge. «Ma tanti rettori hanno invece denunciato l’impossibilità di far proseguire la ricerca senza stabilizzare i precari e diversi senati accademici hanno votato mozioni contro la riforma: chi rappresenta la Crui che sta interloquendo con la ministra?», si chiedono dall’Adi mentre l’Flc Cgil parla di organismo in «stato di confusione». «Ora il governo dev’essere conseguente – sostengono le assemblee di ricercatori e il sindacato – mettere sul campo risorse adeguate per finanziare i nuovi contratti di ricerca, una figura di post-doc precaria che garantisce la minima dignità del lavoro di ricerca: i 37,5 milioni di euro annunciati equivalgono a 5 contratti per ateneo, ne servono almeno 200 milioni».

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IL PUNTO È la volontà politica di trovarle, al netto delle intenzioni della ministra alla quale è stato dato il compito di gestire i tagli più cospicui al settore dell’istruzione superiore dagli anni del duo Gelmini e Tremonti. Bernini ieri alla Crui aveva annunciato l’arrivo di 9,4 miliardi da destinare al Fondo di finanziamento ordinario (Ffo) e la firma su un decreto che prevede un investimento di 37,5 milioni per il finanziamento dei contratti di ricerca, destinati a chi ha concluso il percorso di dottorato (in particolare per chi esercita negli atenei meridionali). «Una cifra record», a dire della titolare del Mur che si esalta: «Non sono solo numeri ma un impegno reale per garantire a studenti, docenti e ricercatori più opportunità, più risorse, più possibilità di crescita».

MA IL TONO di giubilo, per l’opposizione e i sindacati è esagerato e fuori luogo. «Siamo di fronte ad un atto dovuto e non ad una scelta politica della ministra – sottolinea il senatore del Pd Francesco Verducci – perchè si tratta di risorse Pnrr vincolate al reclutamento di ricercatori». Anche lo sblocco della nuova figura del contratto di ricerca è «tardivo» per i dem che registrano: «È positivo che la ministra abbia deciso di riaprire un confronto sulla riforma del pre ruolo, prendendo atto delle diffuse obiezioni al suo ddl ma c’è da augurarsi che un’analoga presa d’atto della realtà possa esserci anche sulla questione delle risorse agli atenei pubblici», insiste il responsabile Università e ricerca delle segreteria Pd, Alfredo D’Attorre per il quale «l’impegno a riportare l’Ffo ai livelli nominali del 2023 è del tutto insufficiente». Di conseguenza, afferma Elisabetta Piccolotti di Avs, la ministra Bernini «ora deve pretendere dal governo le risorse che servono a rendere applicabile il contratto di ricerca che possono essere trovate: la destra non si nasconda dietro a questo alibi dato che Giorgia Meloni festeggia da settimane il recupero operato dall’Agenzia delle Entrate».

L’INTERVENTO di Bernini «è stato solo un colpo da teatro dell’assurdo, una mistificazione della realtà», tuona l’Flc Cgil che invece conferma i numeri allarmanti diffusi nei mesi scorsi: «in due anni si registra un taglio di oltre 600 milioni di euro, mentre per il 2025 in ogni caso il Ffo sarà inferiore a quello che la legge del 2022 aveva previsto, rispetto al 2023, mancano per ogni anno più di 300 milioni di euro per coprire gli adeguamenti stipendiali del personale TA e docente: dove li prenderanno gli atenei?».



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