Il cardinale Czerny, prefetto del Dicastero per lo Sviluppo integrale, al suo secondo giorno di missione a Beirut, ha partecipato alla sessione conclusiva dell’Assemblea dei Vescovi e Patriarchi cattolici libanesi e ha incontrato le organizzazioni caritative locali. Tra dialoghi e testimonianze, emersi nodi e problematiche, a cominciare dall’incapacità di far fronte alla questione dei rifugiati siriani. Poi la mancanza di aiuti esterni o le pressioni di organismi contrari ai principi cattolici
Salvatore Cernuzio – Beirut
Il nodo dell’accoglienza ai rifugiati siriani, tra la spinta all’accoglienza e la vocazione all’aiuto ma, al contempo, la difficoltà a sostenere un “peso” – tra i tanti già portati sulle spalle – ormai neanche più emergenziale vista la “nuova situazione” in Siria. La guerra, quella al Sud che ha svuotato villaggi e lasciato nuove cicatrici; la “guerra” anche economica che strozza famiglie e istituzioni. Poi l’esplosione del porto di Beirut che ha aumentato il dolore, ha distrutto parte della capitale e seminato ancora più incertezza. Infine la sfida degli aiuti a poveri, profughi e vittime dei conflitti, dove l’ingegnosa creatività e una solidarietà capillare si scontra con il blocco di fondi esteri – uno su tutti, la chiusura dell’USAID – o con le proposte di organismi dall’agenda ideologica contraria ai principi della Dottrina Sociale della Chiesa.
Ascolto del “territorio”
Al secondo giorno della sua missione in Libano, iniziata e conclusa da due momenti di preghiera (la visita al Santuario mariano di Harissa, la mattina, e quella al monastero di San Charbel ad Annaya, la sera, con una preghiera al monaco guaritore per la salute del Papa), il e Michael Czerny, prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo umano speciale, ha potuto toccare con mano problemi e che vivono la Chiesa del dei Cedri e le territorio cardinale luogo caritativo. Lo ha fatto intavolando dialoghi, ascoltando testimonianze e progetti dei rappresentanti delle diverse realtà.
L’assemblea dei vescovi e patriarchi cattolici
Primo appuntamento è stato la partecipazione alla sessione conclusiva della 57.ma Assemblea dei Vescovi e Patriarchi cattolici del Libano (APECL), riunita dal 17 febbraio ad Harissa. I pastori delle diverse chiese, insieme ad alcune suore in rappresentanza di istituti e congregazioni, hanno voluto presentare le proprie istanze al cardinale lanciando, attraverso di lui, un grido d’aiuto alla Santa Sede, alla comunità internazionale e all’intero Occidente.
Emergenza rifugiati
L’emergenza maggiore – come evidenziato nei diversi interventi seguiti alla proiezione di un video sul lavoro del Dicastero per lo Sviluppo umano integrale – è la questione dei rifugiati siriani: circa un milione e mezzo sul suolo libanese, aggiunti ai 500 mila palestinesi, secondo le cifre riferite in assemblea dal patriarca Raï e dgli altri partecipanti. Dunque due milioni, su 7 milioni di abitanti nel Paese. “L’impressione è che il mondo occidentale, anche quello cattolico, difende la questione migranti dicendo che è urgente, ma non ascolta cosa vive il Paese. Stiamo svuotando il Libano della sua anima e della sua popolazione, stiamo importando altre popolazioni che hanno, sì, diritto a vivere, ma a scapito di altri. Serve un ascolto più profondo del terreno”, ha affermato un vescovo in assemblea. E un altro ha fatto eco: “Quando i musulmani hanno lasciato il Sud, chiese e comunità cristiane hanno accolto con generosità. Come cristiano ho il dovere di aiutare chiunque sia nel pericolo, ma a livello politico la questione tocca tutto il Paese. E la metà della popolazione libanese soffre. Il regime in Siria non c’è più e la maggior parte dei siriani sunniti può tornare a casa. Gli aiuti in Libano possiamo distribuirli lì”.
“Arrivati al limite. Dialogare con la Chiesa in Siria”
“È difficile capire la complessità del Libano”, ha risposto il cardinale Czerny, ricordando l’indicazione del Papa di accogliere tutti ma fino al limite delle capacità di un Paese. “Avete ragione, siete arrivati al limite. Il prezzo che pagate è alto rispetto alle capacità, il Libano non ha risorse e ricchezze per far fronte a questa sfida”, ha affermato, riferendosi alle testimonianze ascoltate durante l’assise che parlavano di una povertà endemica che travolge famiglie e ambiti come istruzione e sanità. La denuncia della vincenziana suor Laurice Obeid, su tutte, ha colpito i presenti: “Mancano fondi per le scuole e medicina, incluse quelle per il cancro. Il governo non le dà e se ci sono, costano tantissimo. Non sappiamo come conciliare l’amore per il povero e la mancanza di soldi per aiutarlo”.
Responsabilità dello Stato
Da parte sua il cardinale ha lodato la Chiesa per la risposta alla crisi, in un momento di “assenza dello Stato”. Proprio lo Stato, ha detto, ha autorità sulla questione rifugiati: “Finora non c’era, ora si è aperta una nuova fase. È sua responsabilità”. La Chiesa, quindi, “non può prendersi responsabilità dello Stato”. “La speranza – ha detto il porporato – è nella risposta della Chiesa siriana ad aiutare a rendere la Siria pacifica e sviluppata così da riattirare tutti i rifugiati”. “Cercate vie concrete di dialogo con la Chiesa in Siria”, ha insistito il cardinale, lanciando la proposta di un gruppo di lavoro specializzato sul tema e assicurando il pieno sostegno del Dicastero ad offrire contatti con esperti o accompagnare progetti.
Nessun programma pre-concepiti, ma sostegno alle proposte delle Chiese locali
Proprio quest’ultimo punto è stato ampiamente affrontato dall’APECL. Czerny ha chiarito che nel DSSUI non ci sono “programmi” pre-concepiti o validi universalmente: i programmi nascono dai bisogni e dalle richieste delle diverse Chiese. «È parte della decentralizzazione della Curia romana. Immaginate una Curia non onnipotente, ma col vantaggio di essere in mezzo a tutto. Se voi ci avete presentato un progetto noi lo studiamo, possiamo darvi consigli su come migliorarlo, mettervi in contatto con esperti e donatori. Siamo al vostro servizio”.
In questo senso, ha affermato il porporato gesuita, è fondamentale la comunicazione perché le migliori pratiche di una diocesi possono diventare modello per un’altra. Altrimenti ci si chiude in sé stessi e si annega nelle difficoltà. “Parliamo sempre dei problemi, ma quando c’è qualcosa che va bene amen, grazie a Dio e non si condivide”. Invece “è importante scambiare esperienze col resto della Chiesa e del mondo, comunicare cose buone, lottare contro ideologie e fake news e tutto quello che ci mette in pericolo”.
La macchina della carità in mezzo alle turbolenze
Gli stessi principi il cardinale li ha ribaditi anche nell’incontro pomeridiano con direttori e membri delle diverse Ong e realtà caritative, nella Casa Bethania ad Harissa. Anche questo appuntamento è stato scandito da testimonianze e da domande e risposte. Presenti diverse sigle: Caritas, Aiuto alla Chiesa che Soffre, L’Œuvre d’Orient, Solidarity, Jesuit Refugee Service, Fondazione Maronita e altri. Ognuno ha esposto il lavoro svolto nei momenti turbolenti del Libano: dalla tragedia del porto, al Covid, fino all’ultima guerra di Israele contro Hezbollah. C’è chi, come i vincenziani, ha distribuito box di cibo per gli sfollati nelle case, assicurandosi anche di “parlare con loro” per aiutarli a superare i traumi subiti; chi, come World Vision, ha aiutato i bambini nelle scuole, inclusi quelli siriani. Chi, ancora, come la ong Sharik, ha lavorato per l’inclusione dei disabili, per gli orfani e gli anziani, ha distribuito 100 mila pasti per mesi e ora ne ha preparati altri 100 mila. E chi, come la Cuisine de Mariam, progetto di un sacerdote maronita con la moglie, dopo l’esplosione del Porto ha iniziato a cucinare per strada per sfamare volontari, feriti e familiari e ora poveri e rifugiati.
Si è parlato, poi, durante la riunione, di missioni in Siria e nei villaggi del Sud colpiti dalle bombe israeliane. Qualcuno ha anche fornito cifre e numeri; ad esempio il Catholic Relief Service che ha distribuito 25 mila dollari di aiuti, consegnato “soldi cash ” a 400 famiglie e sostenuto oltre 29 mila persone, fornendo puro supporto psicologico. Un lavoro svolto in collaborazione con Caritas Libano che già, ha sottolineato il presidente padre Michel Abboud, è intervenuta nei campi di educazione, medicina, migranti, lavoro nelle diocesi, con 3 mila volontari, 20 milioni di dollari come budget, 80 progetti a tutti i livelli.
“Esperienze belle” che riflettono la forza di un territorio quale il Libano, ha detto il cardinale Czerny. E ha ribadito l’importanza della condivisione e del “contatto diretto” coi vescovi: “Hanno bisogno di voi per completare la loro missione”.
Lo smantellamento dell’Usaid e le agende ideologiche
Due le domande emergono al momento delle domande. La prima, lo smantellamento da parte del presidente Usa, Donald Trump, dell’USAID, l’agenzia statunitense che finanzia programmi educativi e sanitari nei Paesi poveri. Cosa che crea un buco nel flusso di aiuti internazionali e colpisce le categorie fragili come i disabili. Pur parlando di “emergenza”, Czerny ha sottolineato che non è l’amministrazione Usa “la causa dei problemi del mondo: lo sono le ingiustizie”. Ha invitato quindi, in un tempo di cambiamenti, a ripensare l’impegno negli aiuti e riflettere su come agire.
Un altro problema è la crisi che “ha creato nuovi poveri”: “Quanti finora erano donatori, ora sono ricettori. Prima davano, adesso chiedono”, ha chiosato padre Abboud. “Nella Chiesa sappiamo affrontare le crisi da dentro, ma abbiamo bisogno di aiuto da fuori”, ha affermato il francescano. La sfida “è anche quella di non perdere la nostra identità. Molte organizzazioni ci propongono aiuti, ma a patto che facciamo propaganda Lgbtq+ o per l’eutanasia. Quando diciamo di no, interrompono gli aiuti. Rischiamo di perdere la fede davanti alla esigenza”.
“Generare speranza”
“Interconnessione” è una delle piste da seguire, ha risposto Czerny. Insieme a questo, ha aggiunto nel successivo incontro con i membri della CLeF (Christian Leadership Formation), programma di formazione per futuri decisori , servono governance, comunicazione e autorevolezza. Autorevolezza che è ben diversa dall’autorità intesa come smania di potere.
Nel percorso verso Annaya, attraversando tutta Beirut tra antichi villaggi come Byblos – da cui deriva il nome “Bibbia” – e quartieri sciiti, il porporato ha commentato soddisfatto la giornata trascorsa, tutta tesa ad “uno scambio tra problemi, proposte, soluzioni”: “Proprio questo – ha detto – genera la speranza”.
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