Lo scontro sul sistema di regole europeo del mondo digitale è apertissimo, ed è senza esclusione di colpi. Nel mirino la censura del Digital Service Act e le restrizioni all’AI determinate da AI Act e GDPR. Tutto questo sulle ceneri della disinformazione di massa dell’epoca Covid.
Il Vice di Trump non fa prigionieri: la posta in gioco è troppo alta
James David Vance, il vicepresidente degli Stati Uniti d’America, ha tenuto un ormai famoso – e, forse, storico – discorso alla sessantunesima Conferenza di Monaco sulla Sicurezza (MSC) tenutasi dal 14 al 16 febbraio 2025.
Vance, semplicemente, ha attaccato i vertici dell’Unione sulle politiche digitali (e non solo); vediamo i passi più rilevanti per la presente analisi.
Cosa ha detto Vance
“Noi ci riuniamo a questa conferenza, ovviamente, per discutere di sicurezza e, normalmente, intendiamo le minacce esterne alla nostra sicurezza. Vedo molti grandi leader militari riuniti qui oggi. Ma mentre l’amministrazione Trump è molto preoccupata per la sicurezza europea e crede che si possa arrivare a un ragionevole accordo tra Russia e Ucraina, e anche noi crediamo che sia importante che nei prossimi anni l’Europa si faccia avanti in modo deciso per provvedere alla propria difesa, la minaccia che più mi preoccupa nei confronti dell’Europa non è la Russia, non è la Cina, non è nessun altro attore esterno.
Ciò che mi preoccupa è la minaccia dall’interno. La ritirata dell’Europa da alcuni dei suoi valori più fondamentali, valori condivisi con gli Stati Uniti d’America (…omissis).
Ora, mi ha colpito che un ex commissario europeo sia andato in televisione di recente e si sia mostrato compiaciuto del fatto che il governo rumeno avesse appena annullato un’intera elezione. Ha avvertito che se le cose non andranno secondo i piani, la stessa cosa potrebbe accadere anche in Germania. Queste dichiarazioni sprezzanti sono scioccanti per le orecchie americane. Per anni ci è stato detto che tutto ciò che finanziamo e sosteniamo è in nome dei nostri valori democratici condivisi. Tutto, dalla nostra politica sull’Ucraina alla censura digitale, è presentato come una difesa della democrazia. Ma quando vediamo i tribunali europei annullare le elezioni e alti funzionari minacciare di annullarne altre, dovremmo chiederci se ci stiamo attenendo a uno standard adeguatamente elevato, e dico noi stessi perché credo fermamente che siamo nella stessa squadra. Dobbiamo fare di più che parlare di valori democratici, dobbiamo viverli.
Ora, come molti di voi in questa sala sapranno, la Guerra Fredda ha schierato i difensori della democrazia contro forze molto più tiranniche in questo continente. E considerate la parte in quella lotta che censurava i dissidenti, che chiudeva le chiese, che annullava le elezioni. Erano i buoni? Certamente no. E grazie a Dio hanno perso la Guerra Fredda. Hanno perso perché non hanno valorizzato né rispettato tutte le straordinarie benedizioni della libertà. La libertà di sorprendere, di sbagliare, di inventare, di costruire, poiché a quanto pare non si può imporre l’innovazione o la creatività, così come non si può costringere le persone a pensare, a sentire o a credere a qualcosa, e noi crediamo che queste cose siano certamente collegate. E purtroppo, quando guardo all’Europa di oggi, a volte non è così chiaro cosa sia successo ad alcuni dei vincitori della Guerra Fredda.
Guardo a Bruxelles, dove i commissari dell’UE avvertono i cittadini che intendono chiudere i social media in tempi di disordini civili nel momento in cui individuano ciò che hanno giudicato essere contenuti di odio. O in questo stesso paese, dove la polizia ha effettuato delle retate contro cittadini sospettati di aver postato commenti antifemministi online nell’ambito di una giornata di azione contro la misoginia su Internet”.
Il Digital Services Act nel mirino Usa
Le bordate hanno un unico grande target, il Digital Service Act, già tacciato di essere uno strumento normativo volto alla censura più che un regolamento utile a normare il settore dei servizi digitali.
Va detto che, per come è scritto il regolamento, la parte più rilevante della pretesa censura è lasciata sia alla discrezionalità della Commissione che alle varie linee guida elaborate dalle authorithies competenti e ai vari tavoli di lavoro (vedasi, ad esempio, il Codice di buone pratiche sulla disinformazione.
Il problema è che dalla sua entrata in vigore il DSA è stato effettivamente usato come clava per censurare determinati contesti politici più che come regolamento volto a creare un contesto ecologico in rete.
L’annullamento delle elezioni rumene
L’annullamento delle elezioni rumene grida vendetta, poiché aveva come base giuridica delle pretese ingerenze russe online trattate come disinformazione; alcuni report (di cui qui si è scritto) di sconosciute ong per i diritti civili gridavano al rischio disinformazione russa perché alcuni account X postavano dei contenuti della televisione di Stato russa.
Follia distopica allo stato puro: la democrazia non può essere gestita con un’informazione burocratizzata da un organo amministrativo.
Il lato oscuro delle critiche di Vance
Le critiche di Vance, quindi, colgono tutte nel segno.
Ovviamente, però, c’è un lato oscuro.
Il vero obiettivo delle bordate – di fatto, sulla croce rossa – è il mercato dei servizi digitali, quasi monopolizzato dalle Big Tech USA fortemente penalizzato – e potenzialmente asservito politicamente alla Commissione europea – dalle norme sulla moderazione del Digital Service Act.
I costi di moderazione sono altissimi e il pretesto per abbatterli è la censura dei contenuti che la moderazione stessa determina.
Non solo: poter contare su una rete di segnalatori attendibili determina la possibilità di controllo, da parte della Commissione europea, della massa dei contenuti ritenuti sgraditi.
Il fatto che questo mezzo sia stato utilizzato brutalmente nel contesto delle ultime elezioni europee – era stato fatto entrare in vigore subito prima – per favorire la Commissione uscente, non ha impedito all’ondata sovranista di ottenere risultati elettorali notevoli.
È chiaro, quindi, che i vari social network e le piattaforme non vogliano più stare al gioco, specie dopo che l’elezione USA a presidente di Donald Trump ha determinato la vittoria del modello di business di X di Elon Musk, con il libera tutti determinato dalle community notes.
A queste condizioni, quindi, qualcuno deve spiegare a Meta – e a chiunque sia interessato – per quale ragione si debba continuare a pagare Open per fare fact checking su post francamente poco interessanti.
Quindi: Vance grida ai valori – ed è sacrosanto – ma per questioni di business.
Covid19 e disinformazione
“Se non sei vaccinato, hai resistito a una propaganda globale del valore di oltre 100 miliardi di dollari”.
Questa dichiarazione non proviene da facinorosi attivisti no vax o no green pass, ma da Kash Patel, il nuovo direttore dell’FBI nominato dal Presidente USA Donald Trump.
Neanche a dirlo, questa dichiarazione, del 12 febbraio 2025, è stata postata su X.
Ora, al netto delle varie posizioni in materia, ci sono delle circostanze rilevanti da considerare.
In primo luogo la pressione mediatica in epoca Covid provax è stata davvero massiva e gli interessi economici in gioco erano spaventosi.
In secondo luogo, molte delle propugnate “certezze scientifiche” si sono rivelate fallaci alla prova pratica.
Il Digital Service Act, infine, è stato ideato, da espressa indicazione della Commissione europea nella relazione introduttiva, per gestire situazioni complesse in cui si ponesse il rischio di disinformazione su eventi catastrofici, guerre o epidemie.
L’uscita di Patel precede di due giorni il discorso di Vance: chiaro, quindi, che il target fosse il DSA (e non solo).
Altrettanto chiaro, però, che la campagna informativa sulla vaccinazione per il Civid19 è stata definita “propaganda” da 100 miliardi dal numero 1 del Federal Bureau of Investigation USA: è un dato rilevantissimo, che si colloca nel contesto della politica di Donald Trump di uscita dall’OMS e di “aggressione” alle Big Pharma che hanno speculato prepotentemente in epoca pandemica.
L’intero assetto delle istituzioni europee in discussione
Il neoliberismo spinto di Donald Trump e James Vance può non piacere, ma questo non giustifica la classe dirigente dell’Unione europea, che ha utilizzato il Digital Service Act come vero e proprio strumento di censura.
L’Unione ora deve comprendere se il vento del cambiamento, che spira fortissimo – e freddissimo – sarà l’occasione per dispiegare le vele o se farà incagliare la nave europea sugli scogli.
Di certo un cambio di paradigma è necessario, perché l’utilizzo del DSA che si è visto fino a ora, con l’ultimo, eclatante, caso delle elezioni rumene, non è degno della tradizione democratica europea.
In discussione, ora, c’è però molto più della disinformazione o del mercato dei servizi digitali: è in discussione l’intero assetto delle istituzioni europee e il modello industriale del Vecchio continente, ormai ridotto all’ombra di sé stesso.
È però interessante notare come censura e servizi digitali siano il terreno di scontro ideologico del più ampio conflitto mondiale che si è aperto sul piano energetico, industriale e commerciale: sarà il caso che gli operatori riflettano a fondo su questo dato inedito.
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