la via giudiziaria e repressiva per azzerare Ennahda

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Da principale partito della transizione democratica a movimento in disgregazione: la parabola discendente dell’islamismo politico tunisino. Condanne pesantissime al suo leader Ghannouchi e ad altri 41 membri. Ma il controllo autoritario del presidente Saied colpisce tutto lo spettro dell’opposizione

Da sinistra, Rached Ghannouchi e Kais Saied. Credito: Tunisia news

Non si ferma la repressione delle opposizioni politiche in Tunisia dopo le elezioni presidenziali del 2024 che hanno incoronato Kais Saied con il 90% dei voti, ma con una bassa partecipazione elettorale.

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Arresti e censure riguardano tutto lo spettro politico da sinistra a destra. La repressione viene giustificata in nome del populismo xenofobo di un presidente autoritario che ha saputo cancellare il tentativo di transizione democratica, avviato nel paese dopo le proteste del 2010-2011, e azzerato dall’accentramento dei poteri nelle mani di Saied con la svolta illegale seguente alle elezioni presidenziali del luglio 2021 e la dissoluzione del parlamento.

Prima delle nuove sentenze contro il maggiore partito di opposizione, Saied aveva proceduto a un opaco rimpasto lampo di governo sostituendo il ministro delle finanze, Sihem Boughdiri Nemsia, con Slama Khaldi.

Abir Musi in sciopero della fame

E così la leader del partito liberale Destour, Abir Musi, candidata alle presidenziali arrestata prima del voto, ha iniziato lo sciopero della fame nella prigione di Manouba in protesta contro la mancanza di cure ricevute in detenzione.

Musi è stata arrestata dopo aver firmato un appello contro il decreto presidenziale per le elezioni amministrative del 2024. La leader politica è accusata di aver “ostacolato la libertà di lavoro” presidenziale.

Alcuni giorni fa Musi ha sofferto di gravi problemi di salute ma, secondo i suoi avvocati, non è stata trasferita in ospedale tempestivamente. «Non si sente sicura in carcere e crede che la sua vita sia in pericolo», hanno sostenuto i suoi avvocati.

Crescono le pene contro gli islamisti

Non è migliore il trattamento che stanno subendo gli islamisti in carcere. Rached Ghannouci, 83 anni, leader di Ennahda il principale partito dell’islamismo politico tunisino, è stato condannato a 22 anni di carcere, insieme ad altri 41 tra politici e giornalisti.

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Tra loro figurano alcuni membri della sua famiglia e altri politici di spicco, come l’ex premier, Hishem Michichi, l’ex portavoce del ministero dell’interno, Mohammed-Ali Aroui, e il dirigente del partito islamista, Said Ferjani. L’accusa mossa contro i politici è di “attentato alla sicurezza dello stato”.

Michichi, costretto alle dimissioni nel primo mandato di Saied nel 2021, così come altri politici e sostenitori di Ennahda, consapevoli del clima di repressione politica che si respira nel paese, aveva lasciato la Tunisia riparando all’estero.

Dal canto suo, Ghannouchi era già stato condannato a tre anni di reclusione con le accuse riferite di presunti “finanziamenti dall’estero” ricevuti da Ennahda, e costati anche una multa di 1,1 milioni di dollari al partito.

Nello stesso processo sono stati condannati i giornalisti Chahrazad Akacha e Chadha Mbarek a 27 e 5 anni di prigione.

Ennahda in una crisi forse irreversibile

Ennahda, sempre più in crisi e a rischio di scioglimento, è stato capace di una politica più moderata rispetto alla Fratellanza musulmana egiziana e di formare coalizioni politiche di scopo, anche a livello locale, nelle prime fasi della transizione democratica tunisina.

Questo è avvenuto, per esempio, durante e dopo la stesura della Costituzione che aveva fatto passi avanti sul tema dei diritti delle donne nel 2014 e prima del 2019.

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E così per molti commentatori e attivisti tunisini quella dei giorni scorsi è stata una sentenza “politica e ingiusta” che punta a mettere fine al cammino politico del movimento islamista.

Instalingo nell’occhio del ciclone

In particolare, sotto la lente di ingrandimento dei giudici è stata messa Instalingo, una società di produzione di contenuti digitali, che si sarebbe resa responsabile di complottare contro le istituzioni. Per questo anche il suo proprietario, Yahia Khili, è stato condannato a 38 anni di carcere.

Ghannouchi si è rifiutato di presentarsi d’avanti ai giudici per “l’assenza di una giustizia indipendente”.

Secondo il leader politico, l’intero caso sarebbe stato montato ad arte per colpire il maggiore partito di opposizione. Anche per il presidente del sindacato dei giornalisti tunisini (SNJT), Zied Dabbar, la sentenza che ha preso di mira vari giornalisti è la «prova che la magistratura sia diventata come una spada per colpire la stampa» in Tunisia.

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Queste sentenze segnano un ulteriore grave colpo per Ennahda. Il partito islamista, sebbene sia abituato ad arresti sommari, censure e repressione così come avveniva nei decenni del regime autoritario di Ben Ali, negli ultimi tre anni ha visto azzerata la sua leadership con gravi accuse di terrorismo e contro la sicurezza interna. Il partito stava già perdendo consenso tra la sua base elettorale prima del 2020, quando è passato dagli 89 seggi del 2011 ai 52 delle elezioni del 2019.

A quel punto le divisioni interne al gruppo erano già chiare, quando cento politici del partito nel 2020 hanno firmato una lettera in cui denunciavano una “scarsa performance elettorale” e confusione politica, chiedendo un cambio generazionale e le dimissioni di Ghannouchi.

Gran parte dei firmatari ha in seguito lasciato il partito con lo scopo di formare un nuovo gruppo politico.

Dal canto suo, Ennahda ha boicottato sia il referendum costituzionale del 2022 sia le seguenti tornate elettorali.

Il segretario generale del partito, Ajmi Kourimi, anche per rispondere alla dura repressione della leadership islamista e sopravvivere alla scure della censura di regime, ha in più occasioni riferito la volontà di una riforma più generale del gruppo in senso liberare e conservatore, di tipo pigliatutto, per ampliare la sua base elettorale proponendo di sciogliere anche il Consiglio della Shura, una delle ultime vestigia che fa riferimento alla tradizione islamista del partito.

Saied guarda verso l’Iran

D’altra parte, come il suo omologo egiziano, Abdel Fattah al-Sisi, anche Saied ha cavalcato non poco l’ondata di sostegno popolare in Tunisia per il popolo palestinese dopo gli attacchi del 7 ottobre 2023.

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Tuttavia il presidente tunisino, dopo essersi in varie occasioni rifiutato di incontrare i leader di Hamas, ha bloccato nel 2023 l’approvazione di una legge contro qualsiasi tentativo di normalizzazione delle relazioni con Israele.

Eppure Tunisi sta guardando con interesse ai rinnovati rapporti commerciali con un altro dei paesi che più di ogni altro ha sostenuto l’Asse della Resistenza (Hamas, Hezbollah, Jihad islamica) contro Israele, e cioè l‘Iran, così come sta facendo con Russia e Cina.

L’interesse iraniano

Se Teheran è impegnata a smantellare la sua capillare presenza in Siria, dopo la fine del regime di Bashar al-Assad lo scorso 8 dicembre, si sta rivolgendo con sempre maggior interesse al mercato tunisino e algerino.

E così nell’incontro tra le autorità dei due paesi a Teheran si è parlato di ripristino dei voli reciproci, di rafforzare gli scambi commerciali tra i due paesi attraverso il Business Council Iran-Tunisia. In particolare, saranno i settori petrolchimico, delle raffinerie e delle costruzioni, agricolo e del turismo, medico e farmaceutico a essere nel mirino dei rinnovati rapporti commerciali bilaterali, facilitando il rilascio di visti reciproci.

Non accenna a fermarsi la repressione politica tunisina. Eppure Saied è appoggiato da Italia e Unione europea in nome dell’esternalizzazione dei confini e dello stop ai flussi migratori.

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