«Che testimonianza ci sta dando il Papa malato»

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«Questa mattina da Assisi abbiamo telefonato al segretario di papa Francesco per comunicare al Santo Padre che non è solo. E che preghiamo per lui». Il cardinale Edoardo Menichelli, arcivescovo emerito di Ancona-Osimo e assistente ecclesiale nazionale dell’Associazione Medici Cattolici Italiani, è nella città di san Francesco «chiamato dall’arcivescovo Domenico Sorrentino per tenere gli esercizi spirituali al clero delle sue diocesi di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino e Foligno. I sacerdoti erano presenti alla nostra telefonata e tutti ci siamo uniti in un accorato appello al Signore per questi giorni così particolari per il Santo Padre».

Che cosa vi ha indotti ad un gesto così imprevedibile e sentito?

L’impulso ad essere vicini a lui in tutte le maniere, umanamente e spiritualmente, e il desiderio che sentisse su di sé l’affetto e la gratitudine che proviamo per lui.

La vostra preoccupazione era anche la solitudine del Papa, è così?

Lei tocca un aspetto molto profondo, perché generalmente la persona malata, chiunque essa sia e qualunque ruolo ricopra, si porta addosso la sua umanità. E l’umanità, quando soffre, sente particolarmente la solitudine. Anche se riceve le migliori cure ed è circondato dai medici, c’è sempre questo aspetto dell’essere soli, sospesi dalla vita normale e dagli impegni usuali, è quasi un entrare in un mondo che non ci appartiene e nel quale non ci riconosciamo: noi esseri umani viviamo di relazioni, la malattia invece è il tempo in cui sei chiuso e impedito, messo nella condizione del non-fare, e allora ti senti inutile, all’improvviso piomba su di te questa ansia di guarire per tornare ai propri impegni.

Un tempo sospeso. Lo abbiamo sperimentato coralmente nei mesi del Covid, ma lo sperimenta ciascuno di noi quando è toccato dalla malattia.

Tutti lo hanno nel cuore, fa parte del nostro essere umani. Per tale motivo, nella malattia non basta la cura del corpo, c’è sempre anche questa solitudine che va lenita attraverso i rapporti umani, che si riassumono nella preghiera. Noi da credenti affidiamo a Dio le speranze che l’ammalato, in questo caso il Santo Padre, custodisce nel suo cuore, ovvero che rientri il prima possibile nell’impegno pastorale che gli compete.

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A differenza di ciò che si potrebbe pensare, chi ricopre un ruolo altissimo, come il Papa, è come se avesse meno “diritto” di soffrire, ha gli occhi del mondo addosso e anche nella debolezza resta la nostra guida…

È proprio così. Ma Francesco, e già prima san Giovanni Paolo II, ci hanno dato testimonianza di come la debolezza della carne sia una forza immensa: non abbiamo diritto di negare al Santo Padre ciò che appartiene alla nostra fragilità umana, e quindi anche a lui. Addirittura tutto questo diventa un fattore di testimonianza di amore verso la gente, «guardatemi, io sono con voi, come voi, in mezzo a voi e porto dentro di me la vostra stessa fatica». Non si tratta di mal comune mezzo gaudio, ma di una sinergia che passa: ognuno di noi dice «il Papa incarna la mia storia, io mi unisco alla sua sofferenza», e il Papa a sua volta ci dice «porto in me le stesse ferite vostre, Dio non mi esenta dalla malattia». La fede non esenta nessuno, anzi, la testimonianza massima è Gesù Cristo, il grande sofferente della storia, una sofferenza totalmente ingiusta. Allora noi accompagniamo la malattia di Francesco con uno spirito di comunione e solidarietà spirituale.

Viviamo in un’epoca che smania per la perfezione e scarta il debole…

Per questo la sua testimonianza diventa fortemente educativa, non è un libro nascosto in una biblioteca, è un libro consegnato alla meditazione di tutti. È importante che ci si rieduchi all’imperfezione e si abbandoni la tentazione del tutto bene, tutto perfetto, tutto sano, tutto esteticamente godibile, che non appartiene alla realtà. Dentro la fragilità c’è tutta la sapienza: la dignità della vita non sta nel tempo lungo, ma nel dono d’amore che noi siamo, creati da Dio per realizzare nel nostro tempo umano l’opera di salvezza e di grande speranza per la vita eterna.

Il 27 marzo 2020 durante il Covid in una piazza San Pietro lucida di pioggia e vuota un uomo solo, Francesco, pregava in ginocchio per tutti noi nascosti in casa. Oggi quello stesso uomo è solo, dentro un letto d’ospedale, e l’umanità, nella piazza del mondo, gli restituisce quella preghiera…

Condivido pienamente questa lettura: allora ci diede coraggio, ora diamo noi coraggio a lui! È una reciprocità umanissima. C’è un fratello malato, chiediamo al Signore che si compia sempre il suo disegno di amore.

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