Paragon, c’è il segreto di stato. Anche i servizi segreti dell’Aisi hanno usato lo spyware

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Il direttore dei servizi interni ha confermato al Copasir che è in uso, ma non per spiare attivisti. Fonti ufficiali del ministero della Giustizia escludono sia stata la penitenziaria. Il mistero si infittisce e il governo non spiega

Segreto. Dopo quasi 20 giorni di attesa, il governo mette nero su bianco le sue intenzioni: la vicenda dello spyware Graphite, usato per intercettare giornalisti e attivisti italiani, è in buona parte coperta da segreto e, salvo colpi di scena, tale resterà. La conferma è arrivata da Nicola Fratoianni, segretario di Sinistra Italiana, che ha pubblicato la lettera ricevuta dal presidente della Camera, Lorenzo Fontana, in risposta alle interrogazioni che il suo partito e Italia Viva hanno depositato nei giorni scorsi per chiedere chiarimenti al governo sull’utilizzo dello spyware prodotto dalla società israeliana Paragon Solutions.

«La informo che, con lettera del Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Alfredo Mantovano, del 18 febbraio, a me indirizzata, il Governo – scrive Fontana – ha comunicato che la materia trattata dalle interrogazioni (…) è stata ed è oggetto di audizioni presso il Copasir e che, nella seduta della Camera del 12 febbraio scorso, il Ministro per i rapporti con il Parlamento, rispondendo alle citate interrogazioni a risposta immediata in Aula, “ha fornito le uniche informazioni pubblicamente divulgabili”. Ha quindi dichiarato che “ogni altro aspetto delle vicende di cui trattasi deve intendersi classificato e (…)non potrà formare oggetto di informativa da parte del Governo se non nella sede del Copasir”».

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Le uniche informazioni pubbliche resteranno dunque quelle divulgate lo scorso 12 febbraio dal ministro per i rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani. Ciriani ha confermato l’esistenza di contratti tra Paragon e l’Italia, ha dichiarato che i servizi segreti non hanno spiato alcun giornalista, ma non ha risposto alla domanda più importante: chi ha spiato allora cronisti e attivisti italiani? Su questo la lettera di Fontana ha chiarito che, a parte le informazioni fornite al Copasir (le cui sedute sono però secretate), tutto il resto rimarrà segreto.

Aisi sì, penitenziaria no

A proposito di Copasir, dopo l’audizione della settimana scorsa di Giovanni Caravelli, capo dell’Aise, che ha confermato la disponibilità di Graphite da parte dei servizi segreti che fanno capo a lui ma ha negato l’utilizzo contro giornalisti e attivisti, martedì 18 è stato il turno di Bruno Valensise, direttore dell’Aisi, che secondo quanto appreso da Domani ha ribadito la stessa linea di Caravelli: cioè Aisi ha in uso Graphite, ma non l’ha usato contro attivisti e giornalisti. D’altronde già lo scorso 5 febbraio Palazzo Chigi aveva escluso che giornalisti «siano stati sottoposti a controllo da parte dell’intelligence, e quindi del governo». Resta dunque il mistero. Se non sono stati i servizi (che per intercettare dovrebbero comunque ottenere l’ok della procura generale di Roma), chi ha realizzato le intercettazioni?

Polizia, carabinieri e finanza hanno negato con vari giornali di aver usato il software contro giornalisti e attivisti. Tra i corpi di polizia giudiziaria resta quindi solo la penitenziaria. Proprio sulle guardie carcerarie sta puntando l’attenzione Matteo Renzi: Italia Viva ha presentato un’interrogazione al ministro della Giustizia «per escludere che proprio la penitenziaria abbia avuto un ruolo nella vicenda del software israeliano». Carlo Nordio, però, non sembra voler rispondere. Italia Viva e Pd, che pure ha presentato un’interrogazione sul tema diretta a Giorgia Meloni, hanno fatto sapere che il governo non vuole dare seguito alle loro domande: in una lettera inviata al presidente della Camera, l’esecutivo si sarebbe appellato alla possibilità, prevista dal regolamento parlamentare, di non rispondere alle interrogazioni indicandone però il motivo. Sarà anche in questo caso il segreto di Stato? Si vedrà.

Intanto Domani ha provato a chiedere direttamente al ministero della Giustizia, cui fa capo la penitenziaria, se quest’ultima abbia usato Graphite per intercettare giornalisti e attivisti. Da via Arenula non sono arrivate né conferme né smentite. Una fonte ufficiale e qualificata del ministero guidato da Nordio assicura però che le guardie carcerarie non dispongono di Graphite. «Noi chiediamo di sapere se nel bilancio del Ministero della giustizia ci sono dei fondi destinati all’affitto di trojan e segnatamente all’affitto del trojan israeliano», ha precisato in una nota Italia Viva.

Spetta «all’autorità giudiziaria accertare l’origine delle vulnerabilità denunciate, e i servizi italiani sono pronti a dare tutto il loro supporto», aveva detto la scorsa settimana il ministro Ciriani.

Le inchieste

Bisognerà capire se anche in sede giudiziaria verrà utilizzato il segreto di Stato per evitare di fare chiarezza sui mandanti delle intercettazioni, ma di sicuro al momento le denunce presentate sono tre. C’è quella dell’attivista Luca Casarini, depositata a Palermo; quella – notizia di martedì 18 – presentata a Roma dall’Ordine dei giornalisti e dalla Federazione nazionale della stampa italiana; e quella del direttore di Fanpage.it, Francesco Cancellato, inviata a Napoli.

Per capirne di più, Domani ha contattato il procuratore capo di Napoli, Nicola Gratteri. Se sull’avvio di una eventuale inchiesta tiene il massimo riserbo, Gratteri ci ha spiegato quanto costano in media apparecchiature così sofisticate. Ma, soprattutto, ha detto che le «procure in Italia non utilizzano trojan a zero-click», cioè la tecnologia su cui è basato Graphite.

«Gli israeliani sul piano delle intercettazioni sono molto avanti – ha aggiunto il procuratore di Napoli – in relazione alle garanzie, rispetto agli altri Stati hanno meno limiti e in media un loro software può costare circa 5 milioni di euro». Chi può permettersi una spesa del genere? Anche su questa domanda, così come su quelle relative ai mandanti dello spionaggio nei confronti di cittadini italiani, il governo sembra deciso a non voler rispondere. Con buona pace del patriottismo.

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