Norges Bank, il fondo sovrano più ricco al mondo cerca il ceo: dagli ex ministri ai disoccupati, tutti in fila

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Redazione Economia

Il fondo più grande del mondo, con 1,7 trilioni di euro di patrimonio, sta cercando il ceo che amministri le entrate derivanti dalla produzione di gas e petrolio. Già arrivate 82 domande, di ogni estrazione

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«Lavoriamo per salvaguardare e costruire il benessere finanziario delle generazioni future». Il mandato del fondo nel lungo periodo è appunto garantire il mantenimento della ricchezza nazionale per le generazioni future, investendo in settori che in futuro dovranno compensare il progressivo esaurimento dei giacimenti di petrolio e gas naturale, che hanno fatto la fortuna della Norvegia. 

Il mandato

È questo il motto del Norges Bank Investment Management, il fondo sovrano più grande del mondo con 1.700 miliardi di euro di patrimonio. Ha appena messo online un annuncio piuttosto interessante: sta cercando il ceo che lo guidi, che amministri le entrate dello Stato derivanti dalla produzione di commodity (ed è uno dei maggiori investitori al mondo, possedendo in media l’1,5% di tutti i titoli quotati in Borsa). 




















































Il rendimento dello scorso anno

Solo l’anno scorso ha guadagnato 214 miliardi di euro (il più grande rendimento di sempre) grazie alla corsa dei titoli tech, a partire da Microsoft, la partecipazione più preziosa. Storicamente è un socio silente (e investitore di lungo termine) di gran parte delle blue chip a Piazza Affari. La Consob ha appena comunicato che Norges Bank detiene il 3,18% di Lottomatica. Una quota riferita alla partecipazione diretta in azioni con diritti di voto.

L’attuale ceo è un podcaster

Sono già arrivate 82 domande, ha appena comunicato il fondo della Norges Bank. Tra i candidati l’ex viceministro delle Finanze Erlend Grimstad e il leader di Greenpeace Norvegia Frode Pleym. Ma anche un comico, tanti teenager e alcuni disoccupati. Tra loro anche l’attuale ceo Nicolai Tangen, che nel tempo libero si diverte a fare il podcaster, ricorda il Sole 24 Ore: ha ospitato nel suo «In Good Company» (oltre cinque milioni di download) personaggi come Satya Nadella di Microsoft, Elon Musk, David Solomon di Goldman Sachs, Larry Fink di Blackstone, Jane Fraser di Citi e Sergio Ermotti di Ubs.

Ecco i requisiti richiesti

Ma quali sono i suoi principali compiti? Si legge sulla job description appena pubblicata, i requisiti , gli obiettivi e le raccomandazioni di chi sarà il prescelto. «Il chief executive officer consiglia il Comitato esecutivo su questioni relative alla gestione degli investimenti ed è responsabile di fornire al Comitato esecutivo una consulenza ben fondata e documentata sulla strategia di investimento complessiva del fondo e su altri aspetti della gestione degli investimenti». Oppure: «È responsabile delle prestazioni e della gestione quotidiana in conformità con l’indirizzo della Banca centrale, i mandati di investimento del Ministero delle finanze e del Consiglio esecutivo». E ancora: «Rappresenta Norges Bank esternamente in tutte le questioni che rientrano nell’ambito delle sue responsabilità e, di conseguenza, può legalmente impegnare Norges Bank esternamente tramite accordi e altri documenti legalmente vincolanti. Ciò include la costituzione di nuove società e l’acquisizione di società in relazione a investimenti in attività reali».

Quando è nato

Il fondo è nato negli anni ’90 allo scopo di reinvestire i proventi in eccesso del settore petrolifero nazionale. Detiene una piccola partecipazione in circa 9 mila società tra cui Apple, Nestlé, Samsung, Nvidia. La distribuzione degli investimenti azionari in diversi Paesi, settori e aziende permette al fondo di catturare parte del valore globale e diversificare il rischio. 

L’addio agli investimenti petroliferi

L’esigenza di diversificare è diventata più forte dopo che la Norvegia si è resa conto che il business del petrolio non sarebbe durato per sempre o, per dirlo con le parole dell’ex premier Erna Solberg, che «non si può pensare di vivere di rendita grazie al petrolio». Una visione che nel 2019 aveva portato il fondo ad annunciare l’addio agli investimenti petroliferi, dopo aver costruito una fortuna sullo sfruttamento dei giacimenti nel Mare del Nord. Anche in questo caso alla fine si è deciso, più pragmaticamente, di tagliare gli investimenti su società dedite esclusivamente all’esplorazione e produzione di idrocarburi, salvando così quelli destinati a colossi come Exxonmobil, Total o Bp (ex British Petroleum), ma anche l’italiana Eni, che diversificano le loro attività puntando anche su idrogeno o rinnovabili.

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