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Ne abbiamo parlato pochi giorni fa quando, analizzando la
sentenza
della CGT di 1° grado di Avellino del 23 dicembre 204, n.
1537, avevamo messo in evidenza la decisione del
giudice tributario di respingere il ricorso contro una
comunicazione di scarto dell’Agenzia delle Entrate
sull’utilizzo delle opzioni alternative per le spese sostenute per
interventi Superbonus.
In particolare la Corte aveva specificato che:
- il diritto alla detrazione ex art. 119 D.L. n. 34/2020,
esercitabile anche nelle forme dello sconto in fattura o della
cessione del credito ai sensi del successivo art. 121, nasce ab
origine condizionato all’esito favorevole dell’eventuale
controllo preventivo affidato dall’art. 122 bis all’Agenzia, ed è
in questi limiti e a queste condizioni che può essere oggetto di
cessione; - la comunicazione dello scarto non è atto impugnabile, non solo
perché non espressamente compreso nell’elenco di cui all’art. 19
del d.lgs. n. 546/1992, ma anche perché non
riconducibile all’esercizio della potestà
impositiva e non espressivo di una pretesa
tributaria: non riguarda il recupero a tassazione di detrazioni
spettanti al contribuente e non è manifestazione di potestà
impositiva; - se il legislatore avesse voluto riconoscere l’impugnabilità
della comunicazione di scarto, avrebbe dovuto affermarlo
espressamente. Ne deriva che non è preclusa la comunicazione di
cessione in favore di altri soggetti, o comunque l’utilizzo
dell’agevolazione sotto forma di detrazione
diretta.
Comunicazione opzioni alternative: lo scarto è atto
impugnabile?
Una tesi ben diversa da quella che invece adesso viene espressa
dalla CGT 1° grado di Reggio Emilia con la
sentenza n. 44/2025, con la quale ha accolto il
ricorso di una contribuente presentato sempre a seguito dello
scario della comunicazione dell’utilizzo della cessione del credito
per un intervento Superbonus.
In questo caso, la ricorrente ha specificato di non disporre di
sufficiente capienza fiscale per utilizzare la
detrazione prevista dall’art. 119 d.l. n.34/2020, optando, per la
cessione a una banca. Successivamente il Fisco ha scartato la
comunicazione, motivandola solo con il richiamo alla normativa di
riferimento ovvero l’art. 122-bis secondo cui:
“I profili di rischio sono individuati utilizzando criteri
relativi alla diversa tipologia dei crediti ceduti e riferiti: a)
alla coerenza e alla regolarità dei dati indicati nelle
comunicazioni e nelle opzioni di cui al presente comma con i dati
presenti nell’Anagrafe tributaria o comunque in possesso
dell’Amministrazione finanziaria; b) ai dati afferenti ai crediti
oggetto di cessione e ai soggetti che intervengono nelle operazioni
a cui detti crediti sono correlati, sulla base delle informazioni
presenti nell’Anagrafe tributaria o comunque in possesso
dell’Amministrazione finanziaria; c) ad analoghe cessioni
effettuate in precedenza dai soggetti indicati nelle comunicazioni
e nelle opzioni di cui al presente comma”.
Da qui il ricorso, sostenendo l’impugnabilità dell’atto, che
rappresenta “diniego o revoca di agevolazione”;
infatti la possibilità di cedere la detrazione d’imposta, prevista
dalla normativa, è, senz’altro, da qualificare come un’agevolazione
posto che, con la cessione, il contribuente raggiunge lo scopo di
poter utilizzare, “a pronti“, la detrazione anche nel caso
di “incapienza” del suo reddito e di “finanziare”, sempre “a
pronti“, l’intervento edilizio in alternativa ad altre forme
di finanziamento, tipo mutuo, non sempre, facilmente,
esperibili.
Dal canto suo il Fisco ha ribadito che l’atto impugnato,
non avendo natura di atto impositivo, non
necessiterebbe di motivazione; ha comunque integrato specificando
che le irregolarità che hanno portato allo scarto si sostanziavano
nel fatto, che la ricorrente era legale rappresentante e socia
della società che ha realizzato gli interventi edilizi e che il
subappaltatore, intervenuto nella realizzazione degli stessi, era
un’impresa individuale, priva di dipendenti.
Atti impugnabili: vi rientra il diniego di agevolazione
Per prima cosa, il ricorso è stato giudicato ammissibile in
quanto per principio di diritto, oramai pacificamente, affermato
dalla Corte di Cassazione: “In tema di contenzioso tributario,
l’elencazione degli atti impugnabili, contenuta nell’art. 19 D.Lgs. n. 546 del 1992, pur avendo natura
tassativa, non preclude la facoltà di impugnare anche altri atti,
con i quali l’Amministrazione porti a conoscenza del contribuente
una ben individuata pretesa tributaria, esplicitandone le ragioni
fattuali e giuridiche, dovendo intendersi la tassatività riferita
non ai singoli provvedimenti nominativamente indicati ma alle
categorie a cui questi ultimi sono astrattamente riconducibili,
nelle quali vanno ricompresi gli atti atipici o con “nomen iuris”
diversi da quelli indicati, che però producono gli stessi effetti
giuridici, ed anche gli atti prodromici degli atti impositivi,
sicché è da ritenersi impugnabile, quale diniego di agevolazione,
l’atto di diniego parziale di estinzione di tributi iscritti a
ruolo, essendo immediatamente lesivo dei diritti del
contribuente.“.
L’atto impugnato va qualificato come diniego di
agevolazione, posto che la cessione del credito d’imposta
ex art 121 cit., è, senz’altro, da qualificare come un’agevolazione
poiché con la cessione il contribuente raggiunge il duplice lo
scopo di poter utilizzare, “a pronti”, la detrazione, anche nel
caso di “incapienza” del suo reddito, e di “finanziare”, sempre “a
pronti”, l’intervento edilizio in alternativa ad altre forme di
finanziamento, tipo mutuo bancario, non sempre, facilmente,
esperibili.
Potendosi, dunque, qualificare l’atto impugnato come diniego di
agevolazione lo stesso è atto impugnabile; esso peraltro è
completamente carente di motivazione, ripetendo pedissequamente il
dettato normativo e senza riferimenti alla fattispecie concreta,
con un’integrazione postuma e inammissibile fatta in fase di
giudizio.
E anche su questo la CGT ha richiamato quanto già statuito
precedentemente dalla giurisprudenza tributaria, secondo cui “In
tema di imposta di registro su atti giudiziari, l’avviso di
liquidazione deve contenere “ab origine” la chiara esposizione
delle ragioni di fatto e di diritto su cui si fonda, con un grado
di determinatezza ed intellegibilità che permetta al contribuente
l’esercizio non difficoltoso del proprio diritto di difesa, di
talché eventuali lacune non possono essere colmate
dall’amministrazione finanziaria con una motivazione postuma, resa
nel corso del giudizio di impugnazione”.
Rimane comunque il dubbio sull’interpretazione della
comunicazione di scarto tenendo conto che comunque non rappresenta
un atto impositivo e che ad oggi sicuramente non è considerata
in maniera univoca dalle Corti Tributarie.
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