Phoenix A: vecchia fuori, giovane dentro

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In qualsiasi campo della ricerca scientifica ci sono regole ed eccezioni. In astronomia, e in particolare nel campo che studia la relazione tra l’evoluzione delle galassie e la formazione stellare, la regola dice che nelle galassie giovani nascono nuove stelle a un tasso elevatissimo. Nelle galassie vecchie, al contrario, la formazione di nuovi astri è ridotta, se non azzerata.

A questa regola, come dicevamo, c’è l’eccezione: galassie vecchie che sfornano stelle a un ritmo forsennato. Phoenix A ne è un esempio lampante. Galassia al centro di un ammasso di galassie – l’ammasso della Fenice – situato a circa 6 miliardi di anni luce dalla Terra, Phoenix A si stima produca mille stelle all’anno. Si tratta di un tasso di formazione stellare elevatissimo. Basti pensare che, prima della sua scoperta, l’ammasso di galassie più prolifico conosciuto produceva cento stelle all’anno. Come fa Phoenix A ad alimentare una formazione stellare così impetuosa? Il motivo di tanta fertilità è diventato chiaro quando al suo interno sono state individuate, accanto a grandi quantità di gas ultracaldo (gas riscaldato dall’attività dell’enorme buco nero al centro della galassia), vaste nubi di gas ultrafreddo, le culle all’interno delle quali avviene la formazione stellare.

Da dove proviene questo gas, si sono chiesti i ricercatori? È gas caldo galattico che in qualche modo si sta raffreddando, magari attraverso un processo in cui è coinvolto il buco nero centrale, ad esempio il cosiddetto feedback dell’Agn, o è materia fredda che arriva dalle vicine galassie dell’ammasso? La risposta arriva ora grazie a uno studio condotto da un team di ricercatori guidati dal Massachusetts Institute of Technology, i cui risultati sono stati pubblicati la settimana scorsa su Nature. Utilizzando la vista a infrarossi del James Webb Space Telescope, gli autori hanno infatti ottenuto indicazioni che il gas ultrafreddo responsabile dell’elevato tasso di natalità in Phoenix A sia endogeno.

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Per giungere a questa conclusioni i ricercatori sono partiti da un assunto: se il gas freddo che forma le stelle dell’ammasso della Fenice proviene dall’interno della galassia centrale piuttosto che dalle galassie circostanti, la galassia centrale dovrebbe avere non solo sacche di gas ultra caldo e ultra freddo, ma anche gas caldo, cioè gas con temperature intermedie. Considerato che il gas ultracaldo scoperto in studi precedenti aveva temperature di 500mila gradi Celsius e quello ultrefreddo di -263,15 gradi Celsius, il gas caldo dovrebbe avere temperature comprese tra questi due estremi. Rilevare tale gas, spiegano gli autori dello studio, sarebbe come catturare il gas nel mezzo di un raffreddamento estremo: la prova che il nucleo dell’ammasso è effettivamente la fonte del combustibile stellare freddo.

Seguendo questo ragionamento, il team ha cercato di rilevare qualsiasi gas caldo all’interno di Phoenix A avesse temperature  tra -263 gradi Celsius e un milione di gradi Celsius. Per farlo, i ricercatori hanno puntato nella direzione di Phoenix A il James Webb Space Telescope. Sfruttando la capacità dello strumento Miri del telescopio di mappare la luce nello spettro infrarosso, hanno cercato la riga di emissione del neon [Ne VI ], una riga che viene emessa quando il gas è a temperature di circa 300mila gradi Celsius, valore che rientra nell’intervallo di temperature del gas caldo che i ricercatori stavano cercando.

E lo hanno trovato. «Questo gas a 300mila gradi Celsius è come un’insegna al neon che brilla in una specifica lunghezza d’onda di luce», dice a questo proposito Michael Reefe, ricercatore al Massachusetts Institute of Technology e primo autore dello studio. «Potevamo vederne grumi e filamenti in tutto il nostro campo visivo».

La “pistola fumante” che mostra come il gas ultrafredddo all’interno di Phoenix A sia di origine endogena, e non provenga dalle galassie vicine dell’ammasso, è il fatto che, spiegano i ricercatori, l’emissione estesa del neon VI è co-spaziale con il picco di raffreddamento del mezzo all’interno della galassia. Sulla base dell’estensione del gas caldo all’interno di Phoenix A, il team stima che la galassia centrale stia subendo un evento di raffreddamento estremo e che stia generando una quantità di gas ultrafreddo ogni anno pari alla massa di circa 20mila soli. Con questo tipo di fornitura di combustibile stellare, il team ritiene che sia molto probabile che Phoenix A stia effettivamente generando i propri semi per la formazione stellare, piuttosto che utilizzare il combustibile delle galassie circostanti. Ma come? Una possibilità è che ciò avvenga attraverso il cosiddetto feedback del buco nero. Si tratta di un meccanismo sostenuto da evidenze osservative secondo cui l’attività del buco nero supermassiccio al centro delle galassie può svolgere una duplice azione nei confronti della formazione stellare. Attraverso un feedback negativo, i venti e i getti prodotti dal buco nero possono inibire la formazione stellare rimuovendo gas molecolare. Mediante un feedback positivo, al contrario, i venti e i getti possono provocare nel gas che rimane una compressione, seguita dal raffreddamento e dalla successivo innesco della formazione stellare. I risultati, concludono i ricercatori, forniscono una mappa su larga scala del gas a temperature comprese tra 10mila 1 milione di gradi Celsius nel nucleo dell’ ammasso della Fenice, e sottolineano il ruolo critico che il feedback del buco nero ha non solo nel regolare il raffreddamento del gas galattico ma anche nel promuoverlo.

 

Fonte: Media INAF





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