Sono quindici, oltre quelle dei due ricorrenti, le memorie depositate alla Corte di giustizia dell’Unione europea nella causa sui «paesi di origine sicuri» che sarà discussa tra una settimana in Lussemburgo. Di grande rilevanza è il parere della Commissione secondo la quale il diritto comunitario impedisce tale designazione in presenza di eccezioni per categorie di persone. Il ragionamento è che bisogna distinguere persecuzioni o violazioni contro singoli individui da situazioni in cui queste hanno carattere sistemico e riguardano interi gruppi di persone. Nel secondo caso la classificazione è contraria alla direttiva.
ORIENTAMENTO BEN DIVERSO da quello del governo Meloni che a maggio 2024 ha aggiunto alla lista di quelli «sicuri» paesi come Egitto o Bangladesh. Dalle schede allegate al decreto interministeriale, poi sostituito da una legge, si vede che le esclusioni per categorie sono tutt’altro che residuali. Per il Cairo riguardano: oppositori politici, dissidenti, attivisti e difensori dei diritti umani. Per Dacca: comunità lgbtqi+, vittime di violenza di genere, minoranze etniche e religiose, accusati di crimini politici e condannati a morte. La verità è che il governo ha inserito quegli Stati nell’elenco per ragioni politiche: erano in testa agli sbarchi e doveva avviare il progetto albanese. Davanti alla Corte, però, dovrà motivare la scelta con argomentazioni giuridiche. Tra i paesi che hanno depositato osservazioni ci sono Ungheria, Polonia, Slovacchia, Repubblica ceca, Cipro, Malta e Grecia. È verosimile, viste le loro posizioni sull’immigrazione, che siano abbastanza in linea con l’Italia. Anche la Francia sostiene la possibilità di considerare «sicuri» gli Stati in presenza di eccezioni per categorie di persone, ma la Germania è di parere opposto e pure sugli altri tre quesiti è molto distante dalle opinioni di Roma.
Intanto ieri il commissario Ue per gli Affari interni Magnus Brunner, austriaco del partito popolare, ha risposto così a una domanda dell’Ansa sul protocollo Italia-Albania: «Dobbiamo lavorare insieme per trovare soluzioni che funzionino nella pratica e ora sto lavorando alla creazione di un quadro giuridico per sostenere i 27 nell’effettuare i rimpatri in modo efficace, quindi condividiamo pienamente questo obiettivo». La dichiarazione è passata come un sostegno tout court ai centri d’oltre Adriatico, ma le parole sono più evasive di quel che sembra e anche il riferimento non è univoco. Citando le nuove norme relative ai rimpatri Brunner pare far cenno alla direttiva che la commissione presenterà a metà marzo. Sarà utile per il progetto albanese, ma solo nel caso in cui le strutture smettano di occuparsi di procedure accelerate di asilo e siano trasformate in Cpr per recludere solo gli irregolari da riportare a casa. Diventerebbero così il primo hub per rimpatri da un paese terzo, cosa che però non è possibile in base all’attuale legislazione Ue. Forse anche per questo del decreto governativo che avrebbe dovuto sancire tale trasformazione non si è più saputo nulla. L’operazione è meno semplice di quello che hanno sostenuto la settimana scorsa alcuni esponenti della maggioranza e, ammesso vada in porto, necessiterebbe di qualche forzatura del quadro giuridico.
DI TUTTI QUESTI TEMI è tornata a parlare ieri anche Giorgia Meloni, che questo pomeriggio incontrerà Brunner, ospite della Conferenza dei prefetti e dei questori d’Italia. La premier ha sottolineato la necessità di rivedere la direttiva rimpatri del 2008 e anticipare l’entrata in vigore di alcuni punti del Patto Ue su immigrazione e asilo. Si è spinta a sostenere che la prevalenza della normativa comunitaria su quella italiana, un pilastro della costruzione dell’Unione, «appare fragile». A dimostrarlo sarebbe il fatto che la Germania rimpatria in Afghanistan senza opposizioni dei giudici. Ma è l’ennesimo bluff: le procedure accelerate di frontiera che si fanno in Albania sono una cosa, i rimpatri un’altra. La definizione di «paese di origine sicuro» ha effetti sul tipo di procedura, quella rapida permette il trattenimento, ma non sulla possibilità di rimandare a casa chi non ha ottenuto la protezione internazionale. Meloni, però, ha mischiato le due cose anche nel suo avvertimento ai giudici del Lussemburgo: «L’auspicio è che la Corte di giustizia Ue scongiuri il rischio di compromettere le politiche di rimpatrio non solo dell’Italia ma di tutti gli Stati membri dell’Unione». È un segno di debolezza, forse ha sentore che in quella sede le cose potrebbero non andare come spera.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link