la normativa ed esempi di aziende sanzionate

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Il greenwashing è una tecnica di comunicazione ingannevole tramite cui le aziende si presentano come attente all’ambiente, migliorando così la propria immagine, senza però adottare pratiche effettivamente sostenibili.

Il fenomeno è nato negli anni Ottanta e recentemente, purtroppo, si è espanso sempre di più. Sono quindi nate diverse normative per tutelare i consumatori e garantire una comunicazione trasparente e veritiera da parte delle aziende riguardo alle loro azioni in termini di sostenibilità.

Il primo ente ad agire è stata la Federal Trade Commission in USA, nel 2010, ne sono seguite altre, fino ad arrivare alla Direttiva Greenwashing UE del 2024.

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Grazie all’introduzione di queste normative sono state sanzionate moltissime realtà: dalle banche (che parlano di sostenibilità e in realtà finanziano progetti di combustibili fossili), alle aziende di fast fashion (che per definizione non sono sostenibili) a organizzazioni e governi (per comunicazioni distorte).

Il fenomeno del “washing” non è solo “green” ed è ormai diffuso anche in altri ambiti – fortunatamente, con un occhio attento e qualche accorgimento, il greenwashing può essere riconosciuto facilmente e contrastato attraverso l’adozione di normative stringenti e standard certificati.

Normativa greenwashing: a che punto siamo

​​La Federal Trade Commission (FTC) negli USA è stato il primo ente a stilare, nel 2010, le Green Guides,  linee guida per l’utilizzo dei cosiddetti environmental marketing claims. L’obiettivo era imporre alle aziende chiarezza e trasparenza anche nelle scelte di comunicazione, proprio per evitare claim ambigui.

Negli anni successivi diversi paesi europei, fra cui Francia e Regno Unito, hanno introdotto diverse normative per regolamentare le dichiarazioni ambientali. Nel 2022, sempre negli USA, la Securities and Exchange Commission (SEC) ha proposto nuove regole che richiedono alle aziende quotate di divulgare informazioni dettagliate sulle loro pratiche di sostenibilità, al fine di prevenire il greenwashing negli investimenti finanziari.

La direttiva UE in ambito greenwashing

Tornando in Europa, il 17 Gennaio 2024 il Consiglio UE ha approvato la Direttiva Greenwashing, fra i cui punti chiave ci sono:

  • Divieto di utilizzare indicazioni generiche come “rispettoso dell’ambiente”, “rispettoso degli animali”, “verde”, “naturale”, “biodegradabile”, “a impatto climatico zero” o “eco”, se non supportate da prove.
  • Divieto delle dichiarazioni che suggeriscono un impatto sull’ambiente neutro, ridotto o positivo in virtù della partecipazione a sistemi di compensazione delle emissioni.
  • Autorizzazione dei marchi di sostenibilità solo sulla base di sistemi di certificazione approvati.
  • Divieto di fornire indicazioni infondate sulla durata dell’uso di un prodotto (per esempio, dichiarare che una lavatrice durerà per 5000 cicli di lavaggio, se ciò non è esatto in condizioni normali).

Grazie a questa direttiva i consumatori saranno finalmente tutelati dalle insidie del greenwashing e potranno effettuare decisioni d’acquisto senza essere influenzati da informazioni non del tutto veritiere.

In particolare, ciascun paese membro dell’UE è tenuto ad adottare i propri atti normativi per rendere efficaci i contenuti della direttiva entro il 27 marzo 2026, in vista della definitiva efficacia delle regole prevista per il 27 settembre 2026.

Il greenwashing in Italia

Gli enti che in Italia si occupano di tutelare i consumatori dal greenwashing sono le associazioni consumatori, lo IAP (Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria) e l’Autorità garante della Concorrenza e del Mercato, che vigila e reprime la pubblicità ingannevole sanzionando le aziende che lo praticano: nel 2022 sono state 16.270.000 le società multate, per 72.135.700€ Fra le sentenze di condanna per le aziende che hanno ricorso al greenwashing ricordiamo:

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Esempi famosi di greenwashing

Le indagini sul greenwashing mirano a verificare se le dichiarazioni ambientali delle aziende siano veritiere o meno. I controlli si concentrano su pubblicità ingannevoli, sull’uso improprio di certificazioni ecologiche e dichiarazioni non supportate da dati verificabili.

Nel caso in cui le indagini confermino la presenza di greenwashing le aziende vengono sanzionate, con multe anche piuttosto ingenti. Di seguito, alcuni dei casi più eclatanti.

Il greenwashing di Eni

Eni nel 2019 è stata multata per 5 milioni, con l’accusa di aver realizzato una pubblicità ingannevole di Diesel+: la comunicazione parlava dei vantaggi ambientali di questo carburante, che però contiene un 15% di HVO (Hydrotreated Vegetable Oil), un componente di biocombustibile derivato da olio di palma.

La multa è stata poi revocata ad Aprile 2024. Secondo i giudici i messaggi pubblicitari di Eni non sono greenwashing né includono pratiche commerciali scorrette: affermano la legittimità dell’impiego del claim “Green” anche in relazione a un prodotto come il carburante diesel, che sì è inquinante, ma ha un minor impatto sull’ambiente.

H&M e la collezione “conscious”

Qualche anno fa H&M (uno dei colossi del fast fashion: e già questa è una red flag)  ha lanciato la collezione “conscious”, pubblicizzata come un’opzione ecologica.

Un’indagine condotta da Quartz nel 2021 ha però rivelato che molti dei capi etichettati come sostenibili non mostravano effettivi benefici ambientali rispetto ad altri prodotti. Anzi, alcuni risultavano più dannosi per l’ambiente, in termini di produzione e smaltimento.

Starbucks e i bicchieri riciclabili

Nel 2018 Starbucks ha annunciato il lancio di un bicchiere completamente riciclabile, con l’obiettivo di ridurre il proprio impatto ambientale. Tuttavia, in diversi mercati, i bicchieri non sono stati realmente riciclati a causa dell’assenza di infrastrutture locali adeguate per gestirli. Di fatto, sebbene i materiali potessero essere riciclabili, non venivano smaltiti correttamente, contribuendo così all’aumento dei rifiuti.

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Ryanair e le basse emissioni di CO2

Nel 2019 Ryanair ha lanciato una campagna pubblicitaria in cui si autodefiniva “la compagnia aerea con le tariffe più basse in Europa e le emissioni più basse (per passeggero, per chilometro volato)”. Un’indagine dell’Advertising Standards Authority (ASA) ha stabilito però che Ryanair non aveva fornito prove sufficienti a supporto delle sue dichiarazioni.

Inoltre nel 2018 è stata la prima compagnia aerea a figurare tra le dieci aziende con le più alte emissioni di CO₂ nell’UE. In quell’anno ha emesso l’equivalente di 9,9 megatonnellate di CO₂, con un aumento delle emissioni del 49% in cinque anni. Se non è greenwashing questo…

In conclusione

È evidente che si stanno facendo passi avanti, e si spera che grazie alle normative e alle sanzioni le aziende limiteranno falsi claim e investiranno le proprie risorse in azioni veramente sostenibili, e che limitino l’impatto ambientale.

Se vuoi acquisire consapevolezza in merito al greenwashing, così da essere in grado di riconoscere le pubblicità ingannevoli, qui trovi consigli utili per tutelarti dall’ecologia di facciata.


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