Non ne voglio fare una questione sentimentale e personale sull’America, dopo quel che è accaduto in questi giorni durante la visita del presidente Donald Trump e del suo vice JD Vance. Ma è anche una questione profondamente sentimentale che accomuna noi non americani che amiamo l’America come terra delle libertà e delle opportunità, oggi traumatizzati dalle parole, i toni e l’amaro retroterra venuti a galla in questi giorni della conferenza di Monaco e che ci hanno fatto sentire di colpo sbalorditi e soli, profondamente offesi.
Non abbiamo né tempo né voglia di piangerci addosso: saremo noi l’America di noi stessi e ancora meglio, saremo – se lo vogliamo – l’Europa. La guerra di aggressione russa in Europa e queste inaspettate sofferenze ci hanno fatto capire che l’ingiusto disprezzo è anche colpa nostra. Trump non ha tutti i torti, ma nessuna ragione. E dobbiamo essergli grati del fatto che lo spirito che si sta forgiando alla svelta e in modo drammatico in Europa è più vicino a quello che nella seconda metà degli anni Trenta portò alla formazione delle Brigate internazionali, quando i volontari di Giustizia e Libertà guidati da Carlo Rosselli annichilirono a Guadalajara i reparti fascisti mandati da Mussolini a sostenere Francisco Franco. L’Ucraina non è la Spagna, tutto è diverso ma quel che emerge è il desiderio di riprendere l’iniziativa ideale, industriale, culturale e prima di tutto militare.
A quello spirito di allora partecipavano anche i volontari della Lincoln Brigade americana. L’Europa è stata salvata dai militari a stelle e strisce sia dal nazifascismo che dall’incubo sovietico. Ma l’ultima nidiata dello Zio Sam ha dimenticato tutto e scambia i neonazisti tedeschi con i panda. E così noi europei da un giorno all’altro scopriamo di essere soli e di dover difendere il diritto internazionale. L’America che ci ha illustrato e mostrato Donald Trump è un Paese in cui non esistono più valori assoluti perché vita, libertà e diritto a cercare la propria felicità possono essere barattati con un chilo e mezzo di terre rare.
Negli Stati Uniti si parla spesso dell’Europa come del “grande erbivoro”, un dinosauro pieno di valori, sentimenti, leggi, tradizioni e storia che non conta nulla nel mondo dei grandi carnivori, i T-Rex che rubano e uccidono e che non producono più – è il caso disperato della Russia – un solo libro, un film, un farmaco, un concerto, un’invenzione, ma soltanto sistemi d’arma iraniani e mercenari in leasing. Si è rievocata in questi giorni la prima conferenza di Monaco del 1938 con cui la concessione di doni al cattivo malvagio purché prometta di fare il buono.
Mentre il primo ministro inglese Neville Chamberlain sventolava dalla scaletta dell’aereo la carta firmata con cui Hitler prometteva la pace, Winston Churchill commentava: “Si sono venduti l’onore per avere la pace e avranno sia il disonore che la guerra”. Non è un aneddoto, ma una lezione. Il presidente Putin ha una fedina internazionale unica: dopo una brutale repressione in Cecenia, invase la Georgia nel 2008 appropriandosi della Abkhazia e dell’Ossezia; poi rapinò all’Ucraina la penisola di Crimea mentre faceva entrare nel Donbass un esercito fantasma e molta artiglieria pesante, per passare all’invasione diretta dell’Ucraina tre anni fa.
E l’Europa? Ha reagito in modo nevrastenico e discontinuo alle aggressioni russe e si è rifiutata di costruire l’unico strumento necessario per sostenere una politica estera: una forza armata moderna e tecnologica con cui far valere la sua volontà. I singoli paesi europei hanno eccellenti forze armate, l’Italia fra i primi, ma adesso sappiamo che avere un buon esercito non serve se mancano fabbriche di munizioni. Ci vogliono da oggi almeno quattro anni per fabbricare munizioni sufficienti per sostenere uno scontro. È per questo motivo che l’Europa resta il grande erbivoro isolato, quando i grandi carnivori si riuniscono. L’Europa è una fabbrica di parole, utopie, presunzioni intellettuali e vera cultura.
Arrivati alla resa dei conti brutale nei giorni della “nuova Monaco”, si scopre che l’Europa intera vale zero. E scopriamo dalle inopportune parole del vicepresidente Vance che la nostra democrazia è in pericolo perché non si concede abbastanza spazio ai neonazisti. L’Unione è una minaccia esistenziale per Putin: è la vetrina delle libertà e il polo di attrazione per l’Europa orientale liberata dall’occupazione russa (che è la ragione della paura e del rancore verso la Russia, comunque si chiami). Ma ecco che arrivano gli americani di una generazione priva della sua stessa memoria ideologica, che fu la scelta per la libertà. Fece scalpore il libro “Ho scelto la libertà” dell’ingegnere Viktor Andreievic Kravcenko, che sfuggì a Stalin rifugiandosi a New York, dove – dopo festeggiamenti di propaganda – fu abbandonato e morì suicida.
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