Giavazzi ha preso la scossa su prezzi dell’energia e concessioni?

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Cosa ha scritto (e cosa non ha scritto) Francesco Giavazzi a proposito del prezzo dell’energia, del disaccoppiamento gas-rinnovabili e delle concessioni per la distribuzione elettrica. La lettera di Francis Walsingham

Caro direttore,

come sai bene, sono un appassionato lettore di Francesco Giavazzi. Va da sé che lunedì non ho potuto non discutere della sua ultima fatica pubblicata sul Corriere della Sera – dove mette insieme Industria 5.0 con le università telematiche, le banche e i prezzi dell’energia – con alcuni amici su WhatsApp. Due di loro, manager esperti di cose energetiche, hanno fatto notare a me e agli membri della chat alcune imprecisioni (non mi permetterei mai di definire “errori” le riflessioni di un economista del suo livello, per di più bocconiano, sia chiaro).

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IL “MECCANISMO FOLLE” DI FORMAZIONE DEL PREZZO DELL’ELETTRICITÀ

Partiamo dal testo. Giavazzi lamenta gli alti prezzi dell’energia in Italia, che fanno salire i costi di produzione delle aziende: un problema reale e serio, denunciato già da Confindustria. Poi però scrive: “Un meccanismo folle lega il prezzo di ogni fonte di energia, anche quella prodotta da impianti idroelettrici (il cui costo marginale è vicino a zero) al prezzo marginale del gas. Occorre cambiare rapidamente questo sistema che, oltre a tenere alti i prezzi dell’energia, produce rendite imbarazzanti”.

Folle o non folle – non sta a me dare giudizi -, Giavazzi non spiega né che questo sistema costituisce un incentivo alle fonti rinnovabili, che dobbiamo installare per rispettare gli obiettivi di decarbonizzazione, né tantomeno spiega come modificarlo.

Come i lettori di Startmag sanno, il prezzo dell’elettricità venduta non dipende dalla fonte utilizzata per generarla (il vento e la luce solare sono gratis, a differenza dei combustibili fossili), ma riflette i costi dell’ultima centrale che entra in esercizio per soddisfare la domanda. Centrale che, nella maggior parte dei casi in Europa, è alimentata a gas per una questione di ordine di merito: prima gli impianti con costi marginali bassi, e gli altri a seguire.

Del “disaccoppiamento” dei prezzi di rinnovabili e gas si parla spesso, ma non è chiaro come dovrebbe avvenire. Uno dei miei due amici mi spiegava che bisognerebbe modificare il mix di generazione elettrica installando più rinnovabili e inserendo il nucleare, che andrebbe a sostituire il gas come tecnologia marginale: il nucleare garantisce comunque una produzione stabile e continuativa ma non emette CO2 e ha un costo al megawattora più basso.

LE CONCESSIONI PER LA DISTRIBUZIONE ELETTRICA E PER LA PRODUZIONE IDROELETTRICA

L’editoriale di Giavazzi prosegue invitando il governo a trovare “la forza di scontrarsi con le aziende elettriche, Enel e altri produttori di rinnovabili. Si muove invece nella direzione opposta la recente decisione di allungare per 20 anni, senza gara, le concessioni non solo per le centrali idroelettriche ma anche per la distribuzione di elettricità, grazie a un emendamento dell’ultima ora alla Legge di bilancio”.

In realtà, sono state rinnovate solo le concessioni per le reti di distribuzione elettrica, mentre per le concessioni idroelettriche il dibattito è ancora aperto. In quest’ultimo caso, il problema – ne avevo già parlato in una lettera di qualche mese fa – è che manca una reciprocità normativa a livello europeo: le concessioni in altri paesi dell’Unione hanno durate più lunghe, innanzitutto; ma il punto centrale è che le aziende italiane non possono intervenire nelle gare europee. Ricordo che fu proprio di Giavazzi, durante il governo di Mario Draghi, l’idea di legare al Pnrr le gare per il rinnovo delle concessioni idroelettriche, aprendole ai gruppi stranieri e rischiando così di compromettere l’italianità di questi asset.

Quanto alle reti di distribuzione elettrica, va detto che quella italiana si posiziona al primo posto per economicità degli oneri di rete e per tasso di penetrazione degli smart meter (i contattori intelligenti), con un’ottima capillarità e con perdite inferiori rispetto alla Spagna, al Regno Unito e alla Francia.

“Il contributo una tantum per l’allungamento delle concessioni non sarà a carico delle aziende elettriche, ma pagato dagli utenti in bolletta, come se il conto non fosse già abbastanza salato”, scrive Giavazzi. È vero che costi di dispacciamento e le spese di trasporto contribuiscono al prezzo finale della bolletta, ma il caro bollette è legato innanzitutto ai prezzi del gas. Tra l’altro, anche in presenza di gare gli oneri sarebbero stati inclusi nella tariffa elettrica, visto che si tratta di un settore regolato.

Contributi e agevolazioni

per le imprese

 

Sarebbe sbagliato, poi, analizzare il settore elettrico restando fermi alla legge Bersani, senza riconoscere che da allora il contesto è profondamente cambiato. Alla fine degli anni Novanta – mi ha fatto notare l’altro mio amico – la transizione energetica non era una priorità e le rinnovabili avevano ancora un peso marginale nel nostro mix. Oggi, invece, le reti elettriche svolgono una funzione di abilitatrici della decarbonizzazione (che è innanzitutto elettrificazione) e della generazione distribuita basata sulle rinnovabili: metterle a gara per farne uno spezzatino sulla base di una decisione presa oltre vent’anni fa su presupposti totalmente diversi, insomma, potrebbe rivelarsi dannoso per gli investimenti, per la qualità del servizio e forse anche per le bollette pagate dai cittadini.

In Italia abbiamo 100 imprese di distribuzione che servono meno di 25.000 clienti ciascuna (A2A ne serve quasi 2 milioni, Enel 32). Per ridurre i costi dovrebbero essere aggregate, tuttavia il rinnovo – gratuito – delle concessioni consente di rimandare il problema”, si legge sul Corriere. Ma in che modo le gare avrebbero portato automaticamente all’aggregazione? Giavazzi non lo spiega.

Lascio te e i lettori con questi spunti di riflessione.

Un cordiale saluto,

Francis Walsingham



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