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Una lettera aperta al presidente della Regione, al sindaco di Pescara e al direttore marittimo di Pescara per chiedere un intervento al fine di arginare la presenza di plastica in mare e in spiaggia, problema da affrontare a livello locale nonostante sia una questione ormai globale.
A scriverla Elio Torlontano console regionale del Touring Club Italia e coordinatore del Club di territorio di Pescara:
“Non esiste più spiaggia o scogliera che non sia invasa da rifiuti di plastica che infestano tutti i mari del mondo. Finché le plastiche fluttuano in acqua, costituisco un grave problema per la salute e l’integrità della fauna ittica oltre che per la sicurezza della navigazione. Una volta spiaggiati diventano un impattante elemento deturpante. Ma c’è di più, determinano un subdolo enorme problema sanitario: la plastica degradata fino a dimensioni più che microscopiche (nanoplastiche), veicolata dall’acqua e attraverso la catena alimentare, entra nei tessuti di qualsiasi organismo vivente, animale o vegetale. È stato pure accertato che dentro le microplastiche trovano rifugio virus e batteri patogeni per la salute dell’ambiente, degli animali e dell’uomo. Pertanto, dovremmo essere consapevoli che non è più procrastinabile agire per ridurre la dispersione di plastica nell’ambiente e che, soprattutto, dobbiamo diminuirne la produzione.
Sulla lunga ed ampia spiaggia di Pescara, città dove vivo, individuo tre cause del problema che potrebbero essere eliminate o perlomeno di molto attenuate in tempi rapidi. Ma come può si può ragionevolmente arguire, un sondaggio ha confermato che le cause individuate sul litorale pescarese sono presenti lungo tutta la costa della regione.”
Torlontano poi illustra le varie cause:
“Una prima causa è costituita dalle reti tubolari in polipropilene per la coltivazione dei mitili – dette reste – di cui, specialmente dopo le mareggiate, si rinvengono sull’arenile un numero impressionante di spezzoni o di unità intere lunghe anche più di due metri (in un tratto di arenile scelto a caso lungo 250 metri, il 23 gennaio scorso ne sono stati documentati esattamente 50). Provengono dai campi di allevamento presenti al largo lungo tutta l’estensione della costa abruzzese, come d’altronde in altri tratti dell’Adriatico. Gli allevatori del mare salpano le reste immerse entro le quali crescono i mitili, le tagliano per estrarre i molluschi e le gettano in acqua
anziché issarle a bordo e conferirle a terra per lo smaltimento. Ma la soluzione migliore sarebbe quella di adottare reste in fibra vegetale o altro materiale biodegradabile e compostabile già
sperimentato con successo, che oltretutto favorisce una maggiore resa delle produzioni.
Un’altra causa sono gli ombrelloni hawaiani, specie quelli più ampi dette “palme”, la cui copertura è di fitti filamenti di raffia sintetica. Questi si staccano sotto l’azione degli agenti atmosferici e si spargono sull’arenile, anche lontano dall’origine, si ammassano tra la sabbia o sono spinti in mare a seconda della direzione del vento. Raramente i gestori degli stabilimenti balneari ne curano la raccolta così che restano tra la sabbia, come ciuffi d’erba sintetica, ben oltre la fine stagione balneare quando gli ombreggi vengono tolti.
È evidente che il loro degrado va ad incrementare la quantità di micro e nano plastiche presenti nell’ambiente. Il Piano demaniale marittimo regionale e quelli comunali dovrebbero bandirne l’utilizzo, ma finora, a fine 2024, soltanto il Comune di Vasto ne ha vietato l’utilizzo, seppure con piena decorrenza da qui a tre anni. La terza causa sono i giochi in plastica dei bambini (secchielli, rastrelli, palette, formine, gonfiabili ecc.) abbandonati in spiaggia a fine stagione balneare. Non tutti i gestori degli stabilimenti pretendono che i proprietari li ritirino. Alcuni li radunano per conferirli allo smaltimento, ma non sempre sollecitamente prima delle burrasche di fine estate. Così che, nei mesi seguenti, è facile trovare questi oggetti di plastica colorata dispersi tra la sabbia, restituiti dalle mareggiate invernali con evidenti segni di usura per la lunga permanenza in acqua. Il Comune, insieme alla guardia costiera e i balneatori, dovrebbe realizzare iniziative per sollecitare i bagnanti e gli stessi gestori degli stabilimenti a un comportamento civile e responsabile verso l’ambiente, attuando così le prescrizioni delle ordinanze e i protocolli per l’ottenimento delle certificazioni di qualità ambientale.”
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