«In Calabria non c’erano possibilità di assunzione»

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La storia dell’infermiere calabrese Nicola Scrivo, diventato simbolo della lotta al Covid in Lombardia: «In Calabria non c’era possibilità di assunzione»


CAULONIA – I disservizi nella sanità sono tra i mali nazionali, ogni giorno un bollettino di guerra. La domanda cresce e l’erogazione dei servizi langue. Inoltre, in Calabria, quali che siano gli sforzi, non si riesce a cavare il ragno dal buco.
Per esempio, da qualche giorno i pazienti lamentano la lentezza nella erogazione dei farmaci salvavita all’ospedale spoke di Locri. È nota la carenza di personale medico ed infermieristico. Settore nel quale è difficile reperire professionisti propensi ad intraprendere la propria carriera qui da noi.

La conferma la troviamo nelle dichiarazioni del giovane infermiere Nicola Scrivo in servizio presso il Policlinico di Milano, già simbolo della lotta contro il Covid 19 in Lombardia.
Proprio lui, appena completato il corso di studi all’università Magna Grecia di Catanzaro, è emigrato verso la Lombardia.

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«Perché in Calabria non c’erano possibilità di assunzione – dichiara con rammarico – I concorsi nel pubblico erano bloccati, aziende private che necessitassero di personale non ve ne erano, mentre in Lombardia c’era molta richiesta, sia a livello di concorsi pubblici che assunzioni nelle aziende private. Ho iniziato a Vigevano – continua – nel gruppo San Donato. Da qualche mese ho preferito spostarmi al Policlinico di Milano, più che altro per motivi logistici». Prima di andare oltre è il caso di ricordare che Nicola Scrivo è l’infermiere simbolo della lotta contro il Covid19 in Lombardia, il suo volto apparso persino sugli autobus.

«Sono stati giorni, mesi – ricorda – che sono ancora vividi nei miei pensieri. Un incubo, specie il periodo autunno 2019-inverno 2020. Intensi e febbrili giorni e notti di lotta contro un male sconosciuto. Giorni e notti di paure mentre gli schermi televisivi davano contezza della drammaticità che vivevano talune zone del territorio nazionale. Difficile dimenticare il cordone dei camion militari mentre trasportavano i cadaveri dei deceduti. Furono migliaia i morti in quei drammatici giorni, specie in Lombardia. Sul fronte di quella guerra, medici ed infermieri, ma anche il personale ausiliario, ci votammo al sacrificio lavorativo senza interruzioni né riposo, in taluni casi vitale. Io ero alla prima esperienza lavorativa».

Lei era stato assunto nel 2017 presso la clinica del Gruppo San Donato di Vigevano, in provincia di Pavia, poi la pandemia. Ci racconta quei giorni?

«Durante il Covid abbiamo toccato con mano quelle che sono le necessità assistenziali in tutta Italia, più significativamente in Calabria. Quegli anni sono stati formativi per affrontare la pandemia. Si lottava contro un nemico non conosciuto. Non sapevamo contro cosa si stesse combattendo. In quei mesi abbiamo potuto accertare che anche la Lombardia aveva le sue fragilità, soprattutto perché nessuno si aspettava quello che poi abbiamo vissuto. La positività dal punto di vista organizzativo, almeno dove lavoravo, è venuta dal fatto che abbiamo saputo costruire un bel team, una famiglia. Ma anche nella regione Lombardia perché vi era molta comunicazione. È la comunicazione che ha fatto la differenza perché tutti gli ospedali, tutte le aziende sanitarie, nel pubblico come nel privato, hanno unito le forze per contrastare l’epidemia».

Possiamo considerarla l’infermiere simbolo della lotta al Covid19? La sua immagine in tenuta da lavoro è campeggiata sui mezzi pubblici di diverse città lombarde.

«Io come tanti altri. Perché tutti, medici e infermieri, siamo stati in prima linea per fronteggiare la patologia. Siamo stati i primi a fronteggiare la patologia. È stata una bella esperienza, sia dal punto di vista professionale che personale. La mia immagine – orgoglioso – è stata messa su di un pullman che circolava nelle zone di Vigevano. È stata una esperienza carina che tutti, colleghi, amici, parenti, conterranei calabresi. È stata conseguente alla pubblicizzazione del gruppo San Donato. Poi è stata usata per simboleggiare quella che è stata l’esperienza professionale che tutti noi abbiamo vissuto durante il Covid».

«È stato richiesto, a me come ad altri colleghi, di partecipare all’evento. E noi abbiamo aderito con molto interesse. È stata una bella esperienza, sia dal punto di vista professionale che personale, perché finalizzata a divulgare le conoscenze su quelle che sono le attività infermieristiche, in particolare. Perché noi, tutti i giorni con la medesima intensità, siamo a combattere patologie e malattie che affliggono l’umanità. Anche perché la necessità assistenziale cresce sempre di più, favorita com’è dall’aumento dell’età media, con la quale aumentano le patologie che colpiscono i pazienti contemporaneamente con più condizioni di sofferenza».

Lo incontriamo in riva al mare intento a respirare la brezza marina. Il legame con la Calabria?

«Appena posso ritorno a trovare i miei genitori, i miei affetti. Ma prima di ripartire vengo a ritrovarmi difronte a questo senso d’infinito che negli anni del Covid mi è mancato, il cui pensiero mi provocava rimpianto e tristezza. Il mare mi manca molto in Lombardia. Mi manca tutto della nostra terra, ma sono soddisfatto del mio lavoro».

Inevitabile una riflessione sulla sanità calabrese.

«Quando l’epidemia è giunta in Calabria vedevo i miei compaesani, conterranei, i colleghi lavorare in condizioni stremanti. E’ stato difficile anche dare un supporto morale e psicologico, seppure a distanza. Tanto è vero che quando in Lombardia la situazione si era un po’ calmata, sono tornato per qualche mese in Calabria per dare un supporto, anche morale, ai miei familiari come anche a qualche struttura sanitaria che aveva necessità».

Tornerà a lavorare in Calabria?

«Difficile. Per il momento è difficile perché sono soddisfatto del mio lavoro. Il Policlinico di Milano è una bella realtà. Ho potuto constatare che esistono grandi possibilità di crescita interna sia come infermiere che come coordinatore infermieristico, come responsabile infermieristico d’area, di dipartimento, a livello clinico e di ricerca universitaria. Provengo dall’esperienza in provincia, peraltro in una azienda privata, dove ho potuto maturare le mie conoscenze e competenze professionali. Inoltre, ho potuto crescere sotto l’aspetto professionale e di carriera, dove ero coordinatore infermieristico di terapia intensive e di pronto soccorso. Non credo che i miei colleghi che esercitano in Calabria abbiano le medesime possibilità di crescita verticale, sia economica che professionale che io ho avuto in Lombardia. Ritornare? Certo che lo vorrei, ma adesso no. In futuro chissà».

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