I negoziati Usa-Russia rilanciano il ruolo globale del’Arabia Saudita

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Dopo la telefonata Trump-Putin, via ai colloqui di pace sull’Ucraina in Arabia Saudita. Dopo quasi tre anni di guerra, sia gli Stati Uniti sia la Russia intravedono ragioni strategiche per esplorare la via del dialogo diretto. Da un lato, la nuova amministrazione statunitense guidata da Donald Trump ha più volte promesso di porre fine rapidamente al conflitto ucraino, cercando un cessate il fuoco entro pochi mesi. Trump, insediatosi il 20 gennaio 2025, ha dichiarato fin dall’inizio l’intenzione di “porre fine finalmente al conflitto” e ha intrapreso iniziative insolite rispetto al passato recente: il presidente ha persino tenuto colloqui telefonici separati con Vladimir Putin e Volodymyr Zelensky il 12 febbraio, segnalando l’urgenza di avviare negoziati. Dall’altro lato, anche Mosca, impantanata in un conflitto costoso e prolungato, ha interesse a sondare una soluzione negoziale, soprattutto ora che intravvede a Washington un interlocutore potenzialmente più accomodante rispetto alla precedente amministrazione.

Putin ha mostrato apertura al dialogo, affermando tramite il suo ministro degli Esteri Sergey Lavrov di essere pronto a mantenere canali di comunicazione regolari con Washington. In sintesi, entrambi i Paesi ritengono che questo sia un momento propizio: gli Stati Uniti vogliono testare la reale volontà russa di negoziare, mentre la Russia spera che un cambio di leadership a Washington crei opportunità diplomatiche più favorevoli. Oggi le due delegazioni si vedranno in un contesto emblematico, quello saudita.

Perché Riad è stata scelta come sede del vertice 

L’Arabia Saudita emerge come sede insolita ma strategicamente conveniente per questi colloqui. Diversi fattori spiegano la scelta di Riyad come piattaforma neutrale: anzitutto, la posizione geopolitica “ibrida” dei sauditi. Riyad mantiene relazioni sia con Washington (storico alleato per questioni energetiche e di sicurezza) sia con Mosca (partner nell’OPEC+ e in crescenti rapporti economico-militari). Questo le consente di essere percepita da entrambe le parti come un territorio amico o perlomeno non ostile. Per la Russia, incontrarsi in un Paese non allineato con la NATO – e che non ha aderito alle sanzioni occidentali – è molto più accettabile che farlo, ad esempio, in Europa. Allo stesso modo gli Stati Uniti vedono nell’Arabia Saudita un mediatore credibile che però resta un loro partner di lungo corso.

Inoltre, sotto il profilo logistico e di sicurezza, l’Arabia Saudita può garantire riservatezza e controllo dell’evento: Riyad può ospitare delegazioni ad alto livello in sicurezza, lontano dai riflettori della stampa occidentale, il che ben si addice alla natura delicata di colloqui preliminari. Non va dimenticato che i sauditi hanno già svolto un ruolo attivo nel dossier ucraino: hanno mediato scambi di prigionieri importanti (nel 2022 la liberazione di combattenti stranieri detenuti dai russi fu facilitata dall’intervento personale di Mohammed bin Salman) e nell’estate 2023 hanno ospitato a Jeddah un vertice internazionale sul piano di pace ucraino, coinvolgendo molte potenze emergenti.

Questo track record di mediazione ha probabilmente aumentato la fiducia di Washington e Mosca nel scegliere Riyad come terreno neutrale. Infine, dal punto di vista diplomatico, l’Arabia Saudita rappresenta un attore che non è visto come direttamente parte in causa nel conflitto: a differenza della Turchia (membro NATO) o della Cina (stretta partner della Russia), Riyad offre garanzie di neutralità formale. Secondo fonti giornalistiche statunitensi, i sauditi non si limiteranno a fornire la sede ma agiranno attivamente da mediatori durante l’incontro, con la delegazione saudita guidata dal loro consigliere per la Sicurezza nazionale. Ciò indica che l’Arabia Saudita è stata selezionata non solo per dove si trova, ma anche per cosa può fare in termini di facilitazione dei colloqui.

Gli interessi sauditi nel negoziato

Il coinvolgimento di Riyad non è affatto disinteressato; al contrario, si inserisce nella più ampia strategia saudita di elevarsi a protagonista diplomatico globale. Il principe ereditario Mohammed bin Salman (MBS) vede in questo negoziato un’opportunità per rafforzare l’immagine internazionale del regno come attore di pace e stabilità. Dopo anni in cui l’Arabia Saudita è stata spesso associata a conflitti (si pensi alla guerra in Yemen) o a polemiche per i diritti umani, ora MBS vuole presentare il suo Paese come “parte della soluzione” nelle crisi mondiali.

Fare da mediatore tra USA e Russia sul conflitto più acceso del momento darebbe a Riyad un enorme prestigio sulla scena internazionale. In termini concreti, l’Arabia Saudita ha anche interessi economici e di sicurezza nel vedere una de-escalation in Ucraina: la guerra ha causato volatilità nei mercati energetici (con picchi e crolli del prezzo del petrolio) che i sauditi, in quanto leader dell’OPEC, hanno dovuto gestire con attenzione. Una stabilizzazione del conflitto potrebbe portare a mercati petroliferi più prevedibili.

D’altro canto, MBS ha investito molto nel mantenere buoni rapporti con Putin, cooperando nei tagli alla produzione di petrolio per sostenere i prezzi. Il principe non vuole inimicarsi la Russia – ospitare i colloqui gli consente anzi di consolidare quel rapporto – ma al contempo riavvicina Riyad a Washington, soprattutto ora che alla Casa Bianca c’è un presidente (Trump) con cui MBS ha storicamente avuto un buon feeling personale. Fonti vicine a Washington notano che “l’Arabia Saudita gioca un ruolo di primo piano nella politica estera dell’amministrazione Trump”: recentemente proprio MBS ha facilitato la liberazione di un cittadino americano detenuto in Russia, un gesto apprezzato a Washington che dimostra l’utilità dei buoni uffici sauditi.

Inoltre, mediando in questo negoziato MBS può sperare di guadagnare leva diplomatica su entrambi i fronti: con gli USA potrebbe ottenere favori (come maggiore supporto nella difesa regionale o nell’acquisizione di tecnologia militare avanzata), mentre con la Russia può rafforzare partnership economiche e il ruolo saudita nei BRICS/G20. Non ultimo, l’Arabia Saudita vuole assicurarsi che la propria regione rimanga al riparo da ripercussioni della crisi ucraina: la guerra ha già indirettamente coinvolto il Medio Oriente (basti pensare all’accordo sul grano del Mar Nero, cruciale per l’Egitto e altri paesi arabi, poi naufragato). Una sua risoluzione o congelamento stabile è nell’interesse della stabilità alimentare ed energetica regionale, che Riyad come potenza locale osserva con attenzione.

Il messaggio di Mohammed bin Salman

Accettando di ospitare e mediare l’incontro, MBS invia diversi messaggi sia verso l’esterno sia sul fronte interno. In primis, egli intende proclamare al mondo che l’Arabia Saudita è ora un attore diplomatico di primo piano, in grado di mettere allo stesso tavolo le superpotenze rivali. È un segnale di leadership globale: Riyad non è più solo sinonimo di petrolio, ma anche di diplomazia influente. MBS capitalizza sulla sua recente politica estera attivista (ha ristabilito i rapporti con l’Iran grazie a una mediazione cinese, ha coinvolto la Siria in nuovi dialoghi regionali, e ora aspira a risolvere un conflitto europeo) per mostrare che il regno può svolgere un ruolo di bridge-builder tra Est e Ovest.

Questo accresce il soft power saudita e rafforza la narrativa della “Nuova Arabia Saudita” che il principe ereditario vuole accreditare: una nazione modernizzatrice, pragmatica e capace di contribuire alla pace mondiale. In secondo luogo, MBS invia un chiaro segnale agli Stati Uniti: dopo le tensioni degli scorsi anni (legate, ad esempio, al caso Khashoggi e a divergenze sul petrolio), l’Arabia Saudita si propone come partner indispensabile e affidabile per la Casa Bianca su dossier cruciali. Mostrando volontà di aiutare Trump a conseguire un successo diplomatico, MBS cerca di consolidare una relazione privilegiata con la nuova amministrazione, guadagnando credito che potrebbe tradursi in sostegno politico e militare USA sulle questioni che stanno a cuore a Riyad.

Parallelamente, un messaggio viene inviato anche alla Russia e ad altre potenze: il fatto che Putin accetti l’Arabia Saudita come mediatore dimostra la fiducia che Mosca ripone in MBS. Questo consolida la posizione saudita come partner che sa dialogare con tutti senza schierarsi unilateralmente, un equilibrio che può tornare utile a Riyad anche in altri scenari (ad esempio, nella mediazione di crisi tra paesi musulmani o nelle trattative sul nucleare iraniano in cui i sauditi ambiscono ad avere voce). Infine, sul piano interno, il giovane principe ereditario rafforza la propria legittimità agli occhi dei cittadini sauditi presentandosi come un leader capace di innalzare lo status del regno: vedere i potenti del mondo recarsi a Riyad per cercare la pace è motivo di orgoglio nazionale e consolida il contratto sociale in cui i sudditi accettano le riforme di MBS (anche quelle controverse) in cambio di prestigio e prosperità per il Paese.

In conclusione, Mohammed bin Salman, con questa mossa, lancia il messaggio che “Riyad è la nuova Ginevra” – un luogo dove si fanno la storia e la diplomazia – e che l’Arabia Saudita sotto la sua guida è emersa come pilastro dell’ordine geopolitico multipolare, capace di parlare con Washington e Mosca da pari a pari.

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