DOPO IL CONGRESSO, IL PRC E LA SINISTRA DI CUI C’È BISOGNO – Brescia Anticapitalista

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di Fabrizio Burattini

Una settimana fa, domenica 9 febbraio, il congresso del PRC si è concluso come si era aperto, con la constatazione di un “partito diviso a metà come una mela” (la frase è di Paolo Ferrero, uno dei due torsoli della mela, assieme al segretario Maurizio Acerbo).

Ma non è tanto la registrazione dell’equilibrio di forza tra i due schieramenti che al congresso si sono confrontati (2.689 voti per la mozione Acerbo e 2.619 voti per quella Ferrero, con solo 70 voti di scarto, peraltro contestati dagli esponenti “ferreriani”) a indicare la crisi di quel parito. A indicare la crisi e la ulteriore perdita di vitalità di quel partito sono soprattutto i contenuti dell’aspro scontro che ha caratterizzato il congresso. E che in un certo senso accomunano i due documenti e le proposte politiche che hanno animato il dibattito e il confronto congressuale.

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Entrambi gli schieramenti hanno lo sguardo rivolto al passato, dominati entrambi dall’ossessione di riconquistare una minima presenza istituzionale e, per tentare di farlo, disposti a tutto, anche alle più sconsiderate operazioni politiche. Non intendiamo banalizzare l’importanza e l’utilità che può avere una presenza istituzionale in parlamento. Sappiamo che tale presenza può costituire un punto di forza per entrare in collegamento con i conflitti sociali e territoriali, per dare maggiore visibilità mediatica ai propri contenuti. Ma queste comprensibili preoccupazioni inducono entrambe le mozioni ad ipotizzare politiche “spericolate”, diverse tra loro ma tutte capaci di contraddire platealmente gli obiettivi di fondo di un’organizzazione che continua a definirsi “comunista”.

Per arrivare a riconquistare la presenza parlamentare perduta (dal 2008, dunque 17 anni e 4 legislature fa), sarebbe necessario analizzare perché la si è perduta. Perché quell’arretramento non fu l’esito di una lenta agonia, ma fu anzi la manifestazione plateale di un crollo repentino: dai 69 parlamentari (28 senatori e 41 deputati) della XV legislatura a 0, nessun deputato né senatore nella XVI (dal 5,8% alla camera e 7,4% al senato ottenuti nelle elezioni del 2006 al 3% di quelle del 2008, peraltro questo secondo risultato ottenuto nella coalizione della “Sinistra Arcobaleno”con altre liste minori).

Dunque, il nodo di quella che potremmo definire “espulsione” del PRC dal parlamento si colloca proprio in quei due anni, cioè in quella che allora fu la pervicace scelta di tutto il gruppo dirigente del partito (da Bertinotti Ferrero, da Acerbo Fratoianni, per evocare personaggi ancora oggi noti) di partecipare “come pretoriani” (la citazione stavolta è dell’allora segretario nazionale Franco Giordano) al governo Prodi, con ministri (appunto Paolo Ferrero al Lavoro e alla previdenza sociale) e sottosegretari, condividendone tutta la politica, compreso il sostegno politico e finanziario alle “missioni” militari in Afghanistan e in Libano, il Protocollo sul Welfare concertato con le direzioni sindacali confederali, la riduzione delle aliquote fiscali sui redditi di impresa, ecc. Dunque due anni di pieno coinvolgimento del PRC nella politica social-liberista di Prodi e del PD, due anni capaci di cancellare e capovolgere l’immagine “antisistema” e “altermondialista” che il PRC si era conquistato a cavallo del cambio di secolo, a fianco del movimento di Genova 2001.

Invece di trarre il minimo reale insegnamento da quel che accadde allora, Acerbo propone di “tornare a fare politica”, tentando una nuova alleanza con il centrosinistra, non dissimile da quella che provocò il disastro nel 2006-2008, ma stavolta in posizione ancora e molto più subalterna, visto il crollo dei rapporti di forza rispetto a quelli usati all’epoca da Bertinotti e Ferrero. 

La mozione Ferrero, dal suo canto, propone di perseverare nella politica più recente, proprio quella che ha condotto alle ripetute disavventure elettorali di “Rivoluzione civile” (2013, al seguito del giudice Antonio Ingroia), di “Potere al popolo” (2018), di “Unione popolare” (2022 con Luigi De Magistris) e, infine, con quella ancor più equivoca di “Pace Terra e Dignità” (alle europee del 2024, guidata dal giornalista Michele Santoro e segnata da una piattaforma smaccatamente interclassista e da candidature molto discutibili). 

L’idea ferreriana di rilanciare la coalizione “Unione popolare” rimuove il fatto che Potere al Popolo è ormai largamente egemonizzato dalla Rete dei Comunisti e che Luigi De Magistris si è chiamato fuori da ogni possibilità di giocare un ruolo di mediazione tra le varie anime. Infatti, nella consapevolezza della larga impraticabilità  elettoralistica di quell’esperienza, lo sguardo è più prosaicamente rivolto al Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte (a cui Ferrero chiede di “abbandonare l’alleanza con il PD”).

Per entrambi, però, l’ambito è quello di una “alleanza antiliberista”, peraltro che si ipotizza di costruire insieme a compagini politiche che hanno ampiamente e a lungo praticato politiche liberiste (il PD da sempre, il M5S in tutte le sue tre esperienze di governo).

Ferrero e Acerbo, dunque, avendo acquisito in anni di gestione del PRC il succo della doppiezza togliattiana, entrambi nei loro documenti congressuali inframezzano i richiami alla “attualità del comunismo” con l’evocazione di alleanze e orientamenti politici che con il “comunismo” hanno ben poco a che fare. Non a caso l’esempio politico da seguire per Acerbo sarebbe quello della “sfida egemonica” con cui la sinistra spagnola ha scelto di entrare nel governo Suarez, rimuovendo (sia Maurizio Acerbo che Yolanda Díaz, la leader della sinistra spagnola) il carattere social-liberista del governo di Madrid.

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Per Ferrero il discorso è più complesso. Per lui l’esempio è quello di Jean-Luc Mélenchon e della sua più che decennale azione per “ribaltare i rapporti di forza” con la “sinistra liberista”, nella fattispecie il Partito socialista francese, in modo tale da poter poi praticare una nuova alleanza, come nelle legislative del luglio scorso, ma da posizioni di forza e imponendo una piattaforma radicale. 

Ferrero nel descrivere nell’esperienza francese, segnala correttamente le divergenze tra il PRC e La France Insoumise sull’analisi e sull’orientamento sulla guerra in Ucraina, ma le derubrica a una sorta di irrilevante vezzo. Il problema è che il PRC nel corso degli anni si è ripiegato in una analisi della realtà geopolitica paralizzante e terribilmente obsoleta, tendenzialmente “campista”, che appunto lo ha reso molto meno capace della formazione di Mélenchon di essere “in sintonia con i movimenti sociali”. E il non voler cogliere il senso della resistenza del popolo ucraino e quello della “operazione speciale” di Putin è proprio uno dei sintomi di quell’incapacità.

Dunque, la differenza sostanziale tra i due documenti del congresso del PRC è che Acerbo sogna di arrivare al più presto a stipulare una nuova alleanza con il centrosinistra e con il PD, mentre Ferrero pensa di poterci arrivare “dopo aver ribaltato i rapporti di forza”, com’è riuscito a fare Mélenchon in Francia. Ma il progetto è sempre quello di un’alleanza con i social-liberisti per mettere in atto una politica “antiliberista”…

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Sì, perché l’obiettivo programmatico del PRC, nelle due versioni in campo, resta comunque il ritorno ad un mitico “capitalismo non liberista”, mitico da sempre, ma totalmente illusorio e irrealistico nel contesto economico, sociale, ambientale e culturale del XXI secolo, di fronte ad alla molteplice crisi del mondo capitalista e all’acutizzazione dello scontro interimperialista.

Così, per tentare di risultare più credibile, il sogno si arricchisce di particolari e di obiettivi sempre più illusori, come quello dell’“indipendenza dell’Europa”, quello dell’“ingresso dell’Italia nei BRICS”, quello del “multipolarismo”.

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Il fatto che nel confronto tra i due documenti congressuali e sulla loro diversa ma comunque evidente ricerca della “coazione a ripetere” non sia emersa la necessità di un “terzo documento” la dice lunga sulla irrimediabile perdita di vitalità di quel partito, che continua ad essere quello organizzativamente più consistente della “sinistra radicale”, ma che sopravvive soprattutto come esecutore testamentario di un’eredita ormai largamente dispersa, quella che il PRC si era conquistata nel 1991 contrastando la svolta liberale di Occhetto e che aveva consolidato nel 1999 con la rottura con il primo governo Prodi, poi con l’opposizione ai governi D’Alema e Amato e infine con la piena partecipazione al movimento “altermondialista”. Quel patrimonio di credibilità politica, di radicamento sociale e di presenza organizzata venne svalutato e svenduto nell’appoggio al secondo governo Prodi (2006-2008). Com’è noto, quando le uova si sono rotte non si possono ricomporre.

La soluzione alla crisi profondissima della sinistra italiana non si può risolvere con alchimie congressuali né con la riproposizione di ricette fallimentari. Occorre una sinistra nuova, una sinistra che unisca la necessità della lotta unitaria e di massa contro le destre e contro gli attacchi alle conquiste sociali e alle libertà democratiche al rilancio di una prospettiva dichiaratamente anticapitalistaecosocialistafemminista internazionalista.

Ribadiamo quel che abbiamo scritto poco più di un mese fa esprimendo gli auspici per il nuovo anno:

Per questo dobbiamo batterci perché, nel quadro della massima unità della “sinistra che c’è”, cominci a delinearsi la “sinistra di cui c’è bisogno”, una sinistra in grado di ricostruire un’utopia capace di animare migliaia e poi milioni di donne, di giovani, di persone, un’utopia che non abbia nulla a che fare con i miti della “Cina comunista”, della “Russia antimperialista”, o di Bashar al-Assad come “campione della resistenza al sionismo”, né che riponga le sue speranze su autocrazie come l’India, l’Egitto o l’Iran che infestano i BRICS, una sinistra capace di essere presente e radicata nei quartieri popolari, nelle fabbriche, tra i “dannati della terra”. Una sinistra che non sia angosciata dai risultati elettorali né tantomeno dall’ossessione di voler “governare” il capitalismo in crisi, ma che sia capace di lavorare, dal basso, per costruire grandi lotte che lo rovescino.

Da: https://andream94.wordpress.com/2025/02/17/dopo-il-congresso-il-prc-e-la-sinistra-di-cui-ce-bisogno/

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