«Sono spaventata, non mi fido più di nessuno»

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Il caso di Jannik Sinner continua a far discutere, sollevando dubbi e polemiche non solo in Italia ma anche nel panorama tennistico internazionale. La sospensione di tre mesi inflitta al numero uno del mondo a seguito dell’accordo con la WADA ha scatenato reazioni contrastanti, tra chi ritiene che il sistema abbia fallito e chi sottolinea l’importanza della responsabilità oggettiva.

Tra le voci più significative spicca quella di Aryna Sabalenka, attuale numero uno del ranking WTA.

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La tennista bielorussa non ha commentato direttamente il caso Sinner, ma ha espresso profonda preoccupazione per il sistema antidoping, dichiarando di essere ormai costantemente in allerta per il timore di incorrere in sanzioni ingiuste.

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Sabalenka: “Sono spaventata dal sistema”

“Se prima non mi importava di lasciare il bicchiere d’acqua e andare in bagno in un ristorante, ora non bevo più dallo stesso bicchiere”, ha affermato la campionessa a Dubai. “Questa cosa ti entra in testa. Se qualcuno ha usato una crema su di te e tu risulti positiva, ti attaccheranno e non ti crederanno. In sostanza, si diventa troppo spaventati dal sistema. Non vedo come potrei fidarmi”.

Parole forti, che mettono in discussione il livello di trasparenza e giustizia del sistema antidoping attuale. Sabalenka non è l’unica a sollevare dubbi: anche la statunitense Jessica Pegula, finalista dell’US Open 2024 e membro del consiglio giocatrici della WTA, ha sottolineato le incongruenze nel modo in cui vengono gestiti i casi, sostenendo che le decisioni sembrano arbitrarie e non seguano un criterio univoco. “Il processo sembra semplicemente non essere tale”, ha dichiarato Pegula. “L’intero sistema deve essere riesaminato, perché sembra davvero ingiusto”.

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Un clima di sfiducia crescente

Il caso Sinner ha acceso i riflettori su un tema già delicato e spesso controverso. Se da un lato c’è chi difende l’inflessibilità delle norme antidoping, dall’altro cresce il fronte di coloro che denunciano la mancanza di chiarezza e coerenza nelle sanzioni. Il capitano azzurro di Coppa Davis, Filippo Volandri, ha parlato di “ingiustizia” per quanto accaduto a Sinner: “Ha giocato per quasi un anno con un macigno sulla testa. Non c’è stata una responsabilità di Jannik in questa contaminazione, eppure pagherà tre mesi di stop. La WADA ha voluto dimostrare di esistere, e lo ha fatto nel peggiore dei modi”. Anche Andrea Vavassori, compagno di squadra in Coppa Davis, ha scritto sui social: “Tornerai più forte e incazzato di prima… Chi ti conosce sa che hai una mentalità diversa dagli altri”.

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Le reazioni internazionali

La vicenda ha trovato grande spazio sulla stampa mondiale. L’Equipe ha titolato “Una sospensione su misura”, evidenziando che lo stop di Sinner non incide sulla parte più cruciale della stagione. Il Guardian ha sollevato dubbi sulla trasparenza del sistema antidoping, parlando di “giustizia sportiva a due velocità” e facendo riferimento alle differenze di trattamento rispetto ai casi di Simona Halep e Sara Moore.

Il New York Times ha definito il caso “emblematico” delle sfide che il sistema antidoping deve affrontare, mentre il Times ha sottolineato i dubbi sulla coerenza delle sanzioni. Più duri i tabloid britannici e tedeschi, con il Sun e la Bild che non hanno esitato a parlare di “squalifica per doping“.

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Un sistema da riformare?

Le parole di Sabalenka e Pegula aggiungono peso a una discussione già accesa. Se persino gli atleti d’élite ammettono di non sentirsi al sicuro, il sistema antidoping rischia di perdere credibilità. Il caso Sinner ha aperto una crepa nel muro della fiducia verso le istituzioni sportive: ora la domanda è se ci sarà la volontà di ripararlo.

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