Michela Andreozzi: “Questo Sanremo l’hanno vinto i social”

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Dopo aver raccontato il festival di Sanremo soprattutto attraverso la vasta e effervescente arena dei social, The Hollywood Reporter Roma ha intervistato una delle voci più ironiche e assidue di quel circo spumeggiante che ha preso vita, anche a casa, durante le cinque serate di gara – e i cui post abbiamo selezionato più frequentemente. 

Si tratta di Michela Andreozzi, attrice, regista, conduttrice radiofonica che da anni non si perde un’edizione e che con intelligenza e raffinato sense of humor, ci ha detto cosa ne pensa di Sanremo 75 e in generale di una manifestazione che sembra non invecchiare mai.

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Quella tra te e il Festival di Sanremo, credo di non esagerare a definirla così, è sicuramente una lunga storia d’amore. So che tu lo segui sa sempre.
È vero, non esageri. L’ho seguito anche da discografica negli anni Novanta. Questo è un plot twist, non lo sa nessuno. Era un lavoro che facevo per pagarmi gli studi e mi sono molto divertita. Nel ’98 ero a Sanremo per Antonella Ruggiero che presentava Amore lontanissimo, canzone che arrivò seconda e ottenne il Premio della Critica – quell’anno vinse Annalisa Minetti – e nel ’99 mi affidarono invece Alex Britti che si classificò primo nella categoria giovani. In generale, comunque, il festival l’ho sempre guardato e apprezzato, anche quando non era figo farlo, anche quando i ragazzini lo snobbavano e molti lo criticavano ma poi magari lo guardavano di nascosto.

Adesso invece è molto di moda anche tra gli intellettuali.
Sì, certo, perché sono invecchiati gli intellettuali.

Da esperta e amante della musica italiana (e del Festival) cosa ne pensi, a caldo, del palmarès di quest’anno? In molti, soprattutto tra i presenti all’Ariston, hanno criticato i nomi dei finalisti e il fatto che Giorgia e Achille Lauro siano rimasti fuori dalla rosa dei possibili vincitori.

Comprendo il dispiacere e il disappunto su Giorgia e Achille Lauro: obiettivamente lei ha una voce e una storia che non ha nessuno e Achille Lauro ha effettivamente portato un gran bel pezzo che non è stato capito. Tuttavia credo che il popolo dei votanti sia più giovane di noi. Chi partecipa alle votazioni, chi ha praticità con il voto via sms e online, sono i giovani, quelli che secondo me provengono più da un mondo TikTok dove, ad esempio, Holly è una star. Quindi è logico che sia andata così. Questo Sanremo l’hanno vinto i social network, con un artista che è veramente parte di quel mondo. 

Anche per l’età

Sono contentissima che abbia vinto un ragazzo di 23 anni, che si presentava con un pezzo suo e che è un musicista, uno che comunque suona da quando ne aveva 15. Non stiamo parlando di un fenomeno improvvisato. Tra l’altro, Olly, secondo me, ha fatto delle esecuzioni molto belle anche dal vivo, a me è piaciuta la sua interpretazione di Il pescatore, di De André, per cui orde di persone hanno gridato allo scandalo. Io credo che De André stesso si sarebbe divertito a sentire un ragazzo così giovane, a Sanremo, rifare una canzone sua, con l’idea di farsi accompagnare da Bregovic, insomma anche questo è un omaggio perché in fondo De André fa parte di una certa tradizione folk. E comunque, personalmente il mio podio doveva essere: Brunori, Achille, Lauro e Corsi.

L’altra polemica riguarda il fatto che in finale ci fossero solo uomini. Cosa ne pensi?

Penso che sia una cosa del tutto casuale. Ci saranno stati anche degli anni in cui in finale c’erano più femmine che maschi. Io non credo affatto che si sia trattato di un voto gender, non è un risultato maschilista. Per me in questa edizione hanno vinto i temi: con Olly focalizzato sulla nostalgia vista dai giovani, Brunori Sas che ha cantato la storia di un padre, Cristicchi che parlava di Alzheimer, e ovviamente Lucio Corsi, già forte per il suo presentarsi come un outsider, e la questione della fragilità di cui tutti ci vergogniamo. 

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E’ la vera sorpresa del festival

Lui era il mio preferito, ma da un certo punto di vista è stato meglio che non abbia vinto, perché un personaggio così che viene dato in pasto a un mondo che lo potrebbe masticare, rischia di farsi del male. Arrivare secondo vuol dire farlo entrare nell’attenzione del pubblico nel modo più sano per lui, farlo vincere significa trasformarlo in un simbolo e l’innocenza non può essere trasformata in un simbolo. Il podio è un podio di tematiche, e se questa volta non ci sono donne è perché probabilmente le interpreti femminili non hanno portato dei temi altrettanto definiti, altrettanto chiari. 

Cristicchi, al contrario, è stato molto criticato: è stato detto che è un cantante un po’ di regime, con delle idee retrograde, e un testo un po’ furbacchione…
Su Cristicchi penso due cose. Intanto che abbia sbagliato a lavorare su una canzone per lui molto difficile dal punto di vista vocale, al di là delle sue capacità di esecuzione. Sul resto, che sia un cantante di regime può darsi, così come può essere visto come furbo il tema che ha trattato, tuttavia io la prima volta che ho sentito questa canzone – sarà che mi tocca da vicino – ho pianto come una fontana e dunque quello che emotivamente deve arrivare, arriva. Ma se invece cominciamo a giudicare l’artista e non la canzone, allora dobbiamo rifare tutta la storia dell’umanità, dell’arte dell’umanità, a partire da Picasso che era un noto maschilista. Noi dobbiamo giudicare il festival della canzone e non dei cantanti. Lo stesso discorso, al contrario lo posso fare su Fedez, un personaggio che urta il mio sistema nervoso, ma la canzone è bella. L’ho anche scritto sui social: come essere tutti sbagliati e non sbagliarne una.
Lui è uno che sa scrivere anche molto bene, e lo ha dimostrato benissimo nella serata dei duetti. Fedez-Masini hanno fatto un’operazione estremamente paracula, ma sono stati più bravi della loro paraculaggine, basta ascoltare attentamente il finale della canzone: “ti ho dato tutte le ragioni per essere una bella stronza”.

Parlando proprio di social, la cosa che in effetti salta gli occhi è che un’opinione pacata su Sanremo non si può avere, c’è gente che litiga ferocemente sulle proprie bacheche e quelle altrui. Come ti spieghi questo?
Io non leggo il litigi degli altri e nemmeno li fomento, perché voglio vivere. Credo semplicemente che siamo in un’era social che è un’era facinorosa, un’era di “felinismo” da tastiera e quindi ci sono i leoni, i tigrotti, i gattini. Siamo anche parecchio inquinati dai social network, ma una volta si litigava al bar adesso si litiga online, attraverso dei canali che permettono a tutti di dire qualunque cosa. Questa mancanza di educazione e indifferenza verso gli altri, è l’ennesima prova del fatto che manca in generale un’educazione emotiva e sentimentale che ci permetterebbe di scambiare opinioni e non giudizi.

 
I social comunque in queste occasioni hanno anche una parte bella, amplificano quella dimensione di rito collettivo che è Sanremo, perché ancora prima di facebook e instagram c’era gente che si radunava appositamente per vedere insieme il festival.
Certo! Io l’ho fatto, venerdì a casa mia ho invitato un sacco di amici per vedere insieme la serata dei duetti. C’era un po’ di tutto: musicisti, attori, registi, sceneggiatori. È stata una serata super divertente. Insomma Sanremo è un happening. Eì un rito collettivo che misura lo stato delle cose. Io non ci rinuncio perché intanto è un’occasione per vedere degli amici e poi serve a togliersi dall’impaccio di quel cringe di chi dice: “no io Sanremo non lo vedo”, “ma dai vieni a casa mia” “vabbè se vengo a casa tua lo vedo…” Poi la visione collettiva è divertente perché si può commentare anche un po’ più cinicamente che sui social.

 
Al di là delle polemiche sui finalisti, il problema di Sanremo è sempre la difficoltà di rapportarsi con la presenza femminile, che in qualche modo non riesce mai a imporsi in maniera intelligente. Quest’anno però forse questa edizione rispetto a quelle di Amadeus è riuscita maggiormente a dare spazio alle donne. Sei d’accordo?

Sì, diciamo che Conti non aveva degli amici con cui cazzeggiare, come faceva Amadeus con Fiorello, facendo scattare subito il cameratismo. Ha scelto invece di farsi affiancare da due attrici comiche brave come Geppi Cucciari e Katia Follesa, di cui è diventato la spalla. Esattamente come avrebbe fatto Ceccherini con Benigni. È significativo il fatto che abbia affidato a due donne (ma anche ad Alessia Marcuzzi) lo spazio dell’ironia e non a un uomo. È vero che è venuto Benigni, ma non era lì per fare il comico, ormai lui è un rappresentante della cultura. Geppi e Katia sono state bravissime anche ad improvvisare, hanno un’esperienza incredibile. Geppi inoltre è l’unico comico in Italia a cui fanno dire tutto. Con lei ridevano anche i dirigenti della RAI. Penso che la Cucciari sia il nuovo Roberto Benigni, il quale adesso, come dicevo ha un ruolo diverso, è più un cantastorie. 

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Se ti chiamassero a Sanremo, cosa risponderesti?
Guarda, non lo so. Certo sarebbe bellissimo, ma mi vedo forse di più in un dopofestival. A me la nicchia dà conforto.

Come dice Corsi: non c’è niente di male a stare nella comfort zone.

Esatto. Io vivo nella comfort zone, anche se ho fatto anche cose importanti. Sono ammirata da quello che hanno fatto queste colleghe, perché so quanto è stato difficile stare su quel palco in quel modo: essere presenti a se stesse, divertenti, lucide, non essere divorate dall’ego come spesso accade ai colleghi maschi che stanno lì per far vedere quanto fanno ridere. Le donne che fanno commedia sono molto più equilibrate in questo, sono meno ego riferite, posso dirlo? Posso difendere la categoria?

Abbiamo parlato di tutto quello che c’è stato, ma quello che deve venire? C’è qualcosa che in tutti questi anni non hai mai visto a Sanremo e ti piacerebbe vedere sul palco invece?

Oddio dopo Topo Gigio, che io ho messo pure in un disco, credo di non avere più desideri.

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