Cuba. Crisi energetica: cause, impatti e prospettive

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di Giuseppe Gagliano –

Cuba sta affrontando una grave crisi energetica senza precedenti, con blackout diffusi e carenza di carburante che paralizzano il paese. Nel 2024 la situazione è precipitata: da agosto interruzioni quotidiane di elettricità hanno colpito l’isola, culminando in ottobre in un collasso totale della rete elettrica nazionale che ha lasciato quasi 10 milioni di cubani senza luce per tre giorni. La popolazione, esasperata dai disagi, ha reagito con proteste in centinaia di località: solo ad agosto si sono registrate circa 700 manifestazioni legate alla mancanza di servizi essenziali come elettricità, acqua e trasporti. Questa crisi energetica è il frutto di cause strutturali profonde, acuite da fattori contingenti, e sta producendo effetti economici e sociali drammatici. Di seguito analizziamo le radici del problema – dalla dipendenza energetica dall’estero alla gestione statale delle risorse – gli impatti sulla vita quotidiana e sul sistema produttivo, il ruolo dei partner internazionali (Venezuela, Russia e Messico) nel fornire sollievo, e le possibili soluzioni o scenari futuri per uscire da questa emergenza.

Cause strutturali della crisi: dipendenza estera e gestione statale inefficiente.
Le origini della crisi energetica cubana risiedono in vulnerabilità strutturali accumulatesi nel tempo. Cuba dipende fortemente dall’importazione di combustibili fossili, non avendo riserve petrolifere sufficienti a coprire il proprio fabbisogno. Secondo i dati ufficiali, all’isola servono circa 8 milioni di tonnellate di petrolio all’anno, ma solo 3 milioni di tonnellate sono prodotte localmente, meno della metà del fabbisogno. In pratica, Cuba deve importare ogni anno circa 5 milioni di tonnellate di greggio e carburanti (pari a oltre 35 milioni di barili), corrispondenti a circa 100 mila barili al giorno di petrolio straniero per tenere accesa la luce e in funzione trasporti e industrie. Questa dipendenza energetica dall’estero è un retaggio storico: durante la Guerra Fredda l’Unione Sovietica forniva petrolio a prezzi di favore; dopo il crollo sovietico nel 1991, Cuba visse il “Periodo Speciale” con gravissime carenze fino a quando, nei primi anni 2000, trovò un nuovo benefattore nel Venezuela di Hugo Chávez, che iniziò a inviare petrolio in cambio di servizi medici e altri accordi di cooperazione.
Tuttavia questo modello ha lasciato Cuba esposta alle crisi altrui. Il Venezuela, pilastro delle forniture energetiche cubane, è in difficoltà: la produzione venezuelana è crollata e il sostegno all’Avana si è ridotto drasticamente. Nel 2024 le esportazioni di greggio e carburante da Caracas verso Cuba sono scese a circa 32.000 barili al giorno, contro i 56.000 del 2023, un calo di oltre il 40% in un solo anno. Dati riferiti ai primi 11 mesi del 2024 mostrano un -44% nelle forniture venezuelane rispetto all’anno precedente, un taglio che ha lasciato l’isola a corto di combustibile. Anche altri alleati storici, come Russia e Messico, hanno ridotto le esportazioni di carburante verso Cuba negli ultimi tempi. Di conseguenza, le entrate energetiche su cui l’Avana faceva affidamento si sono prosciugate, proprio mentre l’isola non dispone di riserve in valuta pregiata per acquistare petrolio sul mercato internazionale. Le sanzioni economiche statunitensi, in vigore da decenni e inasprite negli ultimi anni, complicano ulteriormente l’accesso di Cuba ai mercati: secondo il governo cubano, l’embargo USA ha causato danni per oltre 164 miliardi di dollari in sei decenni, prosciugando risorse con cui si sarebbe potuto investire anche nel settore energetico. Senza liquidità e credito internazionale, il governo fatica a comprare il carburante necessario per alimentare le centrali.
Accanto alla dipendenza dall’estero, l’altra grande causa strutturale è la gestione statale inadeguata delle infrastrutture energetiche. La rete elettrica cubana (Servicio Eléctrico Nacional) è basata su centrali termoelettriche antiquate, molte di epoca sovietica, alimentate a olio combustibile pesante ad alto tenore di zolfo. Questi impianti hanno oltre 40 anni di servizio sulle spalle e hanno sofferto di manutenzione carente o assente per decenni. Il risultato è un parco generazione in stato precario: si stima che attualmente meno del 50% della capacità termoelettrica installata sia operativa. Guasti e avarie sono all’ordine del giorno. Il principale impianto del paese – la termoelettica Antonio Guiteras (provincia di Matanzas) – ha subito blackout ripetuti e la sua improvvisa uscita di servizio nell’ottobre 2024 ha scatenato il blackout nazionale. Inoltre, circa l’85% della generazione di base di Cuba utilizza combustibili ad alto contenuto di zolfo, il che provoca forte corrosione e depositi di cenere su turbine e caldaie, accelerando il deterioramento degli impianti. In pratica, l’infrastruttura energetica cubana è intrappolata in un circolo vizioso: impianti vecchi bruciano carburante di bassa qualità che li danneggia ulteriormente, e senza investimenti per ammodernare e fare manutenzione la situazione peggiora costantemente.
La gestione statale centralizzata del settore ha finora mostrato lentezza nel rispondere a questi problemi. Negli ultimi anni il governo ha adottato solo soluzioni tampone come l’importazione di alcune centrali galleggianti turche (navi generatori attraccate nei porti cubani) per immettere energia di emergenza nella rete. Ma questi “cerotti” temporanei non risolvono i problemi strutturali – servono solo a guadagnare tempo. Anche la capacità di raffinare il greggio importato è limitata: le raffinerie cubane sono obsolete e non riescono a processare tutto il petrolio pesante necessario per produrre benzina e diesel, creando colli di bottiglia nella disponibilità di carburanti. Di fronte alla scarsità cronica, nel 2023-24 le autorità hanno perfino iniziato a vendere carburante in dollari USA a prezzo non sovvenzionato in alcune stazioni di servizio, nel tentativo di raccogliere valuta pregiata. Questa mossa, sebbene comprensibile dato il bisogno di dollari, ha di fatto reso la benzina ancora più costosa e difficile da ottenere per i cittadini, creando un doppio circuito (in valuta locale e in USD) poco equo e alimentando il malcontento.
In sintesi, scarsa diversificazione delle fonti, estrema dipendenza dall’estero e infrastrutture energetiche fatiscenti sotto gestione statale sono il terreno fertile su cui si è innestata la crisi attuale. Eventi recenti – come il drastico taglio delle forniture venezuelane, l’inasprimento delle sanzioni USA e disastri naturali – hanno poi innescato l’emergenza su questa base fragile.

Effetti economici e sociali: produzione in calo e vita quotidiana al buio.
Le conseguenze della crisi energetica si ripercuotono pesantemente sull’economia e sulla società cubana. Blackout prolungati e scarsità di carburante stanno frenando la produzione industriale e agricola, oltre a compromettere i servizi essenziali. Nei momenti peggiori, l’autorità elettrica ha potuto garantire elettricità per meno di 6 ore al giorno in alcune province, costringendo a sospendere attività produttive e servizi. Nel pieno dell’emergenza di ottobre 2024, il governo ha dichiarato lo “stato di emergenza energetica”: scuole e industrie non essenziali sono state chiuse temporaneamente e molti dipendenti pubblici rimandati a casa per ridurre i consumi. Perfino le celebrazioni ufficiali (come il Giorno della Cultura Cubana) sono state cancellate o ridimensionate per risparmiare energia. Questo semi-paralisi dell’economia ha un costo elevato: gli osservatori stimano che il PIL di Cuba sia già inferiore del 10% rispetto al 2019, a causa della somma di crisi energetica, calo del turismo per la pandemia, riduzione delle rimesse e altre difficoltà.
La produzione agricola soffre per la mancanza di carburante per i macchinari e i trasporti: la distribuzione di cibo diventa ancora più difficoltosa in un paese che già importa gran parte degli alimenti. Molti stabilimenti industriali funzionano a regime ridotto o con interruzioni forzate: ad esempio, le fabbriche di zucchero (tradizionale settore cubano) e le altre manifatture subiscono fermi produttivi quando manca l’elettricità. Anche il settore dei servizi è colpito: gli uffici pubblici operano a orario ridotto, i trasporti pubblici vengono limitati per risparmiare carburante, e la carenza di benzina costringe a razionare i movimenti. Le stazioni di servizio spesso restano a secco di carburante per giorni, con lunghe file di auto in attesa a tutte le ore a La Habana e nelle altre città. Si vedono scene di automobilisti che dormono in coda per non perdere il turno quando finalmente arriva una cisterna. Questa situazione ricorda le immagini del Periodo Speciale anni ’90 e aggrava le già serie difficoltà economiche delle famiglie.
Le ripercussioni sociali sono altrettanto gravi. I continui blackout rendono la vita quotidiana un calvario: senza elettricità per gran parte della giornata, le famiglie non possono conservare adeguatamente i cibi (i frigoriferi restano spenti per ore), cucinare diventa difficile, i quartieri restano al buio la sera aumentando il senso di insicurezza. Nella capitale e altrove, la mancanza di corrente disattiva anche le pompe idrauliche, interrompendo l’erogazione d’acqua potabile e costringendo la popolazione a fare scorta con mezzi di fortuna. Le cliniche e gli ospedali devono affidarsi a generatori di emergenza per alimentare apparecchiature salvavita, con il timore costante di rimanere senza carburante. Le comunicazioni e l’informazione ne risentono: durante i blackout più estesi è mancata la connessione internet e perfino la radio/TV, isolando alcune comunità. Nel blackout nazionale di ottobre, ad esempio, i telefoni cellulari erano inutilizzabili e le notizie sull’uragano Oscar in arrivo non hanno potuto circolare adeguatamente.
La qualità della vita dei cubani è dunque precipitata: la giornata è scandita dall’attesa del ritorno della luce o della benzina. Molti denunciano di vivere “al giorno d’oggi come un secolo fa”, cucinando con legna o carbonella quando non c’è gas né elettricità. Le ore serali vengono passate al buio o alla flebile luce di candele. Questo logoramento ha anche effetti psicologici: frustrazione e sfiducia crescono di pari passo con le privazioni. Emblematica è la crescita delle proteste spontanee: sebbene le manifestazioni pubbliche siano rare a Cuba, nel 2023-2024 si sono moltiplicate le proteste locali contro i blackout e la penuria di cibo. A Santiago de Cuba, seconda città del paese, centinaia di persone sono scese in strada a marzo 2024 gridando slogan contro le interruzioni di corrente e la fame. Nell’ottobre nero dei blackout nazionali, ci sono stati blocchi stradali improvvisati nei quartieri di La Habana e la polizia ha dovuto dispiegarsi in forze per disperdere i dimostranti e rimuovere le barricate. Il presidente Miguel Díaz-Canel ha accusato pubblicamente gli Stati Uniti di sfruttare la situazione per fomentare disordini, ma al di là della retorica ufficiale è chiaro che il disagio è genuino e profondo.
Un altro indicatore allarmante dell’impatto sociale è l’aumento dell’emigrazione clandestina. Sempre più cubani, stremati dalla crisi, tentano di lasciare l’isola in qualsiasi modo – dalle rotte via mare verso la Florida, ai viaggi verso Nicaragua e Messico per poi cercare di entrare negli USA. Il 2023-24 ha visto un esodo senza precedenti dai tempi del Mariel (1980) e della Crisi dei Balseros (1994). La disperazione spinge molti a rischiare la vita pur di cercare un futuro altrove, evidenziando come la crisi energetica, sommata alla crisi economica generale, stia erodendo la coesione sociale e la speranza nel futuro a Cuba.
In definitiva la carenza di energia e carburante sta stringendo il Paese in una morsa: da un lato l’economia ristagna, con produzione e servizi al minimo, e dall’altro la popolazione patisce disagi quotidiani enormi, con conseguenze politicamente esplosive. Il primo ministro Manuel Marrero ha parlato di una “tempesta perfetta” abbattutasi su Cuba, citando il deterioramento delle infrastrutture energetiche, la scarsità di carburante e l’aumento della domanda come fattori concomitanti alla base della crisi. Una sintesi efficace di come problemi strutturali e shock recenti si combinino, rendendo la vita dei cubani sempre più difficile.

Il ruolo degli attori internazionali: Venezuela, Russia e Messico in soccorso.
In questo contesto di emergenza, un ruolo cruciale è giocato dai partner internazionali tradizionali di Cuba, cioè Venezuela, Russia e Messico, che stanno fornendo supporto energetico nel limite delle loro possibilità. La solidarietà di questi alleati ha permesso finora di evitare il collasso totale, ma anch’essa è soggetta a incertezze e limiti.
Il Venezuela, come visto, è storicamente il principale fornitore di petrolio per Cuba dai primi anni 2000. Per quasi due decenni Caracas ha inviato all’Avana decine di migliaia di barili al giorno di greggio e derivati a condizioni agevolate (credito a lungo termine, baratto con servizi medici, ecc.), diventando il pilastro energetico dell’isola. Tuttavia, la gravissima crisi economica e petrolifera venezuelana ha ridotto questa ancora di salvezza. Se un tempo le spedizioni sfioravano i 100mila barili/giorno, negli ultimi anni sono calate costantemente: nel 2023 la media era 56mila b/g e nel 2024 è scesa a circa 32.000 b/g, pari a circa un terzo del fabbisogno cubano. Questo calo ha lasciato Cuba a corto di circa 24.000 barili al giorno che prima riceveva, un deficit non facile da colmare. Il governo venezuelano, anch’esso alle prese con sanzioni internazionali e problemi produttivi, fatica a mantenere gli impegni verso Cuba. Per aggirare gli ostacoli (come il sequestro di navi da parte di creditori o restrizioni dovute alle sanzioni USA), PDVSA ha persino usato petroliere “ombra” che navigano a transponder spenti per inviare greggio all’alleato caraibico. Nonostante ciò, le forniture venezuelane nel 2024 sono state le più basse da decenni, segno delle difficoltà di Caracas e al contempo della perdita per Cuba di un partner energetico chiave.
La Russia si è progressivamente riaffacciata come attore energetico per Cuba. Dopo la fine dell’URSS, le forniture russe all’Avana si erano azzerate, ma negli ultimi anni – complice l’isolamento internazionale reciproco di Russia e Cuba – Mosca ha ripreso ad aiutare. Già nel 2022 la Russia ha spedito alcune petroliere di greggio Urals a Cuba, e a marzo 2024 è arrivato al porto di Matanzas un carico di 90.000 tonnellate di petrolio russo (circa 665.000 barili, dal valore stimato di 46 milioni di dollari) per alleviare la penuria di carburante e i blackout. Si tratta della prima fornitura russa in quasi un anno, dopo che nel 2023, nonostante accordi annunciati per 1,64 milioni di tonnellate annue, nessun petrolio era giunto dalla Russia, secondo i dati di tracking navale. Questa spedizione ha segnato la volontà di Mosca di non lasciare Cuba senza aiuto: a fine 2024 la Russia ha promesso ulteriori 80.000 tonnellate di diesel e attrezzature per riparare la rete elettrica cubana, un contributo significativo. Per la Russia, sostenere Cuba ha valenze sia storiche che geopolitiche (mantenere influenza nell’emisfero occidentale), ma va notato che anche Mosca affronta vincoli: con la guerra in Ucraina in corso, le esportazioni russe sono soggette a sanzioni e la priorità va ai clienti che pagano in contanti (Cuba invece fatica a pagare, spesso accumula debiti). Gli aiuti russi finora sono stati in gran parte a titolo gratuito o di credito agevolato, e proprio la mancanza di pagamenti puntuali rende il loro proseguimento incerto. Nonostante ciò, la presenza di petroliere russe nei porti cubani nel 2022-24 (confermata anche da immagini satellitari) segnala un impegno concreto di Mosca ad evitare il tracollo energetico dell’Avana, anche se in misura insufficiente a coprire il vuoto lasciato dal Venezuela.
Il Messico è emerso recentemente come un “salvatore” inatteso per Cuba. Il governo messicano di Andrés Manuel López Obrador (AMLO), in nome della solidarietà latinoamericana e dell’ideologia non interventista, ha deciso di aiutare Cuba fornendo combustibili. Nel 2023 il Messico ha esportato quantità significative di petrolio verso Cuba, specialmente quando le spedizioni venezuelane rallentavano. Tuttavia, all’inizio del 2024 queste spedizioni si erano fermate, probabilmente per le difficoltà di bilancio messicane e pressioni esterne. La svolta è arrivata nell’ottobre 2024, quando l’isola è sprofondata nel blackout totale: nel giro di pochi giorni da fine ottobre 2024 Città del Messico ha inviato quasi 500.000 barili di petrolio greggio e diesel a Cuba. Questo flusso straordinario – confermato dai registri delle spedizioni – ha rappresentato una boccata d’ossigeno immediata per riaccendere centrali e generatori di emergenza. Il Messico si è così imposto come una delle ultime “ancore di salvezza” rimaste per Cuba, mentre le forniture da Venezuela e Russia “si sono in gran parte prosciugate”. La presidente messicana entrante Claudia Sheinbaum ha confermato a novembre la volontà di continuare il supporto, annunciando l’invio di tecnici e ulteriore petrolio per aiutare l’isola a riprendersi. Tuttavia anche l’aiuto messicano ha limiti pratici: il Messico stesso importa carburanti e il suo supporto a Cuba finora è stato in parte donativo. Nei mesi successivi, le spedizioni messicane si sono ridotte, segno che non possono sostituire stabilmente il ruolo che fu del Venezuela.
In aggiunta a questi tre attori principali, va menzionato anche il ruolo crescente della Cina. Pur non essendo tradizionalmente un fornitore di petrolio per Cuba, Pechino sta offrendo cooperazione tecnica: alla fine del 2024 la Cina ha inviato 70 tonnellate di attrezzature elettriche per aiutare a riparare la rete cubana e sta contribuendo a costruire alcuni parchi fotovoltaici sull’isola. Si tratta di segnali importanti di un possibile percorso di maggiore autonomia energetica futura attraverso le energie rinnovabili, sostenuto da investimenti cinesi. Dunque, mentre gli alleati tradizionali mantengono Cuba a galla (ma con assistenza precaria), la Cina si candida come partner strategico a lungo termine, offrendo tecnologia e capitali per diversificare il mix energetico cubano.
Venezuela, Russia e Messico hanno finora scongiurato il collasso totale fornendo petrolio e combustibili a Cuba, anche a costo di sfidare sanzioni e senza essere adeguatamente remunerati. Il loro supporto, però, non è una soluzione definitiva: è incerto e insufficiente, dipende dalle contingenze politiche ed economiche interne di questi paesi, e copre solo in parte il fabbisogno cubano. Servono quindi altre strategie per risolvere la crisi alla radice.

Possibili soluzioni e scenari futuri: riforme e investimenti necessari.
Superare l’attuale crisi energetica di Cuba richiederà cambiamenti profondi, investimenti ingenti e tempo. Non esistono soluzioni facili o immediate, come riconosciuto dalle stesse autorità cubane, dato che i problemi sono di natura strutturale. Il ministro dell’Energia Vicente de la O Levy ha ammesso che non c’è una soluzione a breve termine per i blackout frequenti e che anche eventuali maggiori importazioni di combustibile risolverebbero solo parzialmente il problema. Gli esperti concordano sul fatto che non c’è una soluzione nel breve periodo ai problemi strutturali di generazione elettrica di Cuba. L’unica via è una totale ricapitalizzazione del sistema elettrico, dalle centrali tradizionali alla generazione distribuita fino alle rinnovabili. Si stima che servirebbero dai 8 ai 10 miliardi di dollari di investimenti per ammodernare completamente l’infrastruttura energetica cubana, una cifra enorme per l’economia dell’isola, soprattutto in assenza di finanziatori esterni.
Le possibili soluzioni si possono articolare su più piani: tecnicamente bisognerebbe diversificare il mix energetico e ammodernare gli impianti, economicamente occorre attrarre capitali e migliorare l’efficienza, politicamente sarebbe necessario implementare riforme che rendano il settore più sostenibile. Vediamole in dettaglio:

– Diversificazione delle fonti energetiche: Cuba non può più fare affidamento quasi esclusivamente sul petrolio importato. Una strada obbligata è quella di sviluppare le energie rinnovabili (solare, eolico, biomasse), di cui l’isola ha abbondanza potenziale. Il governo ha fissato obiettivi ambiziosi (puntando a coprire con fonti rinnovabili il 24-37% del fabbisogno elettrico entro il 2030), ma finora i progressi sono lenti. La cooperazione con la Cina per i pannelli solari e quella con altri paesi per l’energia eolica potrebbero accelerare questo percorso. Investire nelle rinnovabili migliorerebbe l’autosufficienza e ridurrebbe anche la dipendenza dai combustibili fossili costosi e inquinanti, in linea con le sfide del cambiamento climatico. Tuttavia, servono finanziamenti e tecnologie: Cuba dovrà probabilmente offrire incentivi a investitori esteri o stipulare accordi di fornitura a lungo termine. Un’opzione potrebbe essere coinvolgere aziende straniere in joint venture per costruire impianti solari ed eolici, garantendo magari una quota dei ricavi o altre facilitazioni, sul modello di quanto fatto da altri paesi emergenti.

– Ammodernamento e manutenzione delle infrastrutture esistenti: Le centrali termoelettiche attuali, pur vecchie, resteranno indispensabili ancora per anni. È urgente quindi ripristinare quanta più capacità possibile tramite interventi di manutenzione straordinaria (sostituzione di turbine, caldaie, componenti critici) e revamping degli impianti più recuperabili. Qui entrano in gioco i partner internazionali: l’arrivo di attrezzature dalla Cina a fine 2024 è un segnale incoraggiante. Anche la Russia ha inviato equipaggiamenti per le riparazioni. Cuba potrebbe cercare ulteriori accordi con paesi disposti a fornire pezzi di ricambio e assistenza tecnica (ad esempio, paesi non allineati alle sanzioni USA, come Turchia, Iran o Algeria, potrebbero contribuire). Inoltre, occorrerebbe aggiornare le raffinerie per renderle capaci di processare petrolio più leggero o produrre più carburanti finiti: investire in una maggiore capacità di raffinazione interna ridurrebbe il collo di bottiglia tra importazione di greggio e distribuzione di benzina/diesel.

– Riforme economiche e di gestione: Un punto critico sottolineato da molti analisti è che Cuba deve rivedere il proprio modello economico nel settore energetico. L’attuale gestione statale e centralizzata, con prezzi calmierati e scarsi incentivi, non è in grado di generare le risorse per investire né di attrarre investimenti privati. Un esperto del settore, Jorge Piñón, ha osservato che il governo cubano “non ha i soldi, né il modello economico capace di attirare investitori stranieri o di permettere ai cittadini di pagare il vero costo di un’elettricità pulita e affidabile”. Questo indica la necessità di riforme di mercato: ad esempio, introdurre tariffe elettriche più realistiche (proteggendo però le fasce deboli con sussidi mirati), consentire a imprese private o cooperative di partecipare alla generazione distribuita e alle rinnovabili, e creare un quadro legale che dia garanzie agli investitori esteri. Alcuni passi in questa direzione sono stati timidamente avviati – come la recente autorizzazione a operatori stranieri per progetti solari ed eolici, o la differenziazione delle tariffe per grandi consumatori – ma si tratta di iniziative isolate. Un modello ispirato al Viet Nam viene spesso citato come esempio: mantenere il controllo pubblico su settori strategici ma aprire spazi all’economia di mercato per far affluire capitali e know-how. Cuba potrebbe “imparare dal modello vietnamita”, come suggerisce Piñón, smettendo di usare l’embargo come alibi per l’inazione e concentrandosi su riforme interne. Ciò non significa minimizzare l’impatto negativo delle sanzioni USA, ma riconoscere che esse sono un dato di fatto nel breve termine (rimuoverle dipende dal Congresso USA, fuori dal controllo cubano) e dunque Cuba deve agire su ciò che può cambiare internamente.

– Ricerca di nuove partnership e finanziamenti: Data la mancanza di risorse interne, Cuba deve necessariamente cercare alleati disposti a investire o prestare capitali per la ricostruzione energetica. Oltre al già citato coinvolgimento della Cina (che potrebbe vedere un interesse strategico nel guadagnare influenza a Cuba tramite investimenti infrastrutturali), l’Avana potrebbe esplorare accordi con istituzioni finanziarie internazionali. Finora Cuba è rimasta fuori dalle orbite di FMI e Banca Mondiale per ragioni politiche, ma potrebbe valutare partnership con banche di sviluppo regionali (ad esempio la Banca Interamericana di Sviluppo, se il contesto politico lo consentisse) o con paesi produttori di petrolio disposti a uno scambio (ad esempio Algeria o paesi del Golfo in cambio di servizi medici o altro). Una strada già percorsa è quella degli accordi di scambio: inviare più medici e personale specializzato cubano all’estero in cambio di forniture energetiche (un meccanismo già attuato con il Venezuela e altri paesi). In futuro si potrebbero stipulare intese simili con nuove nazioni partner. Il rischio debito però è alto: Cuba ha già ristrutturato faticosamente il proprio debito estero negli anni scorsi e prendere nuovi prestiti commerciali è difficile sotto sanzioni. Forse soluzioni creative – come coinvolgere aziende straniere in concessioni a lungo termine (per esempio, permettere a compagnie di gestione energetica di operare parti della rete o di costruire impianti in cambio di una quota dei profitti per X anni) – potrebbero essere necessarie.

Guardando ai possibili scenari futuri, se nulla cambiasse, Cuba rischierebbe di rimanere in una crisi permanente: razionamenti energetici cronici, economia stagnante e pressione migratoria crescente. Il paese potrebbe adattarsi ad uno stato di austerità energetica prolungata (come fece negli anni ’90) ma al costo di un ulteriore impoverimento e scontento popolare. Nel medio termine, molto dipenderà anche dal contesto geopolitico: un allentamento delle sanzioni USA (ad esempio sotto un’amministrazione americana più propensa al dialogo) potrebbe permettere a Cuba di acquistare carburante più liberamente e di accedere a crediti internazionali, migliorando notevolmente lo scenario. Al contrario, un irrigidimento (come minaccia un possibile ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca) potrebbe peggiorare ulteriormente la situazione, tagliando anche le residue possibilità di scambio e scoraggiando partner terzi dal commerciare con l’isola.
Uno scenario ottimistico prevede che Cuba riesca a intraprendere riforme interne e a diversificare le proprie fonti con l’aiuto di nuovi investimenti: in tal caso, nei prossimi 5-10 anni potremmo vedere un lento miglioramento, con meno blackout e maggiore produzione domestica di energia (anche da rinnovabili). La strada, però, è stretta. Serve una trasformazione radicale. Ciò implica scelte difficili anche politicamente, come aprire l’economia e ammettere investitori in settori finora riservati allo Stato.
In definitiva, la crisi energetica cubana funge da cartina di tornasole della situazione del paese: un modello economico in affanno che non riesce più a garantire bisogni fondamentali, aggravato da shock esterni e isolamento internazionale. Il tono realistico impone di riconoscere che non esistono soluzioni miracolose a breve termine. Ma un approccio critico suggerisce che esistono vie d’uscita nel lungo periodo, se Cuba saprà cogliere le opportunità di cambiamento. In assenza di interventi strutturali, il rischio è di restare intrappolati in cicli sempre più frequenti di emergenza energetica e crisi economica. Al contrario, con riforme coraggiose e il sostegno di partner affidabili, l’isola potrebbe gradualmente lasciarsi alle spalle questa stagione di buio e tornare a garantire luce, carburante e sviluppo ai suoi cittadini – come già auspicato dai dirigenti cubani nel parlare di percorrere un cammino verso una maggiore autonomia energetica La sfida è enorme, ma non impossibile: la storia cubana insegna che nei momenti critici il paese ha saputo mostrarsi resiliente e reinventarsi. Oggi, quella resilienza passa attraverso la capacità di adattare il sistema energetico ed economico alle nuove realtà, per assicurare un futuro più luminoso a Cuba.



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