SPY UCRAINA/ Le conseguenze economiche per un’Ue esclusa dalle trattative Trump-Putin

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Mentre proseguono le trattative tra Putin e Trump per la fine del conflitto in Ucraina, gli investitori spingono le valutazioni del settore della difesa europeo ai massimi di sempre. Secondo Bloomberg, i piani di Trump per l’Ucraina comportano un conto da 3.100 miliardi di euro per gli europei. Non si tratta, come si potrebbe forse immaginare, dei “costi della pace” e cioè degli investimenti necessari per ricostruire le infrastrutture di Kiev al termine del conflitto. Il disimpegno americano, invece, lascerebbe l’Europa da sola di fronte a un conflitto di lungo periodo con la Russia.



La premessa, forse non completamente esplicitata, è che le trattative bilaterali tra Russia e Stati Uniti porteranno a una pace tra Russia e Stati Uniti che però non cambierà le relazioni tra l’Unione Europea e Mosca; queste rimarrebbero quelle degli ultimi tre anni. In realtà, ci sarebbe una grande differenza, perché in questo conflitto l’Europa sarebbe da sola senza l’aiuto finanziario o militare americano e messa a nudo nella sua impreparazione militare.

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Secondo Bloomberg, ricostruire l’esercito ucraino costerebbe 175 miliardi di dollari nei prossimi dieci anni e altri 30 sarebbero necessari per mantenere un contingente di pace di 40mila uomini. 2.700 miliardi sarebbero necessari per ammodernare l’esercito europeo e portarlo a un livello adeguato alla portata del conflitto. I costi della ricostruzione civile ammonterebbero a “soli” 230 miliardi. Sono cifre che rappresentano una minaccia esistenziale per l’Ue.

Questo sforzo finanziario ha più di un’implicazione per l’Europa. La prima è che sarebbe complicato senza qualche forma di debito comune, su cui però alcuni Stati membri non vogliono fare concessioni. La seconda è che queste risorse dovrebbero farsi spazio nei bilanci pubblici a discapito di sanità, educazione e welfare. Le difficili decisioni dei Governi, secondo Bloomberg, “verrebbero prese in uno scenario di tensioni popolari” esacerbate dal Cremlino.



La terza implicazione è che l’industria della difesa europea non è pronta per far fronte a una tale richiesta di mezzi e armamenti e quindi l’Europa, sicuramente sul breve, dovrebbe bussare alla porta degli americani. L’ultima implicazione è che tutto questo avverrebbe mentre gli europei subiscono la guerra commerciale americana.

Fino a qualche settimana fa era lecito attendersi tutt’altra prospettiva. L’arrivo di Trump e le trattative con Putin avrebbero portato a una pace di cui avrebbe beneficiato in qualche modo anche l’Europa. Oggi emerge un altro scenario, validato dalle scommesse degli investitori, che in questi giorni continuano a comprare azioni della difesa europea.

L’Europa è fuori dalle trattative tra Stati Uniti e Russia non perché condannata ad andare a traino, ma perché il suo destino, sicuramente riguardo i rapporti con Mosca, non è più quello degli americani. Trump è stato chiaro a questo riguardo: tra noi e l’Ucraina c’è un oceano. Giustamente gli organi di informazione americani, dalla CNN in giù, si chiedono se dopo questa fase le relazioni tra America ed Europa saranno mai più le stesse.

L’Europa intanto continua a comportarsi e a immaginare il suo futuro economico come se il suo benessere fosse un dato acquisito per sempre. È da questa convinzione che nascono gli eccessi di regolamentazione, la mole di adempimenti burocratici imposta a imprese e cittadini e anche il sogno green che Cina e Stati Uniti, in condizioni economiche infinitamente migliori, hanno deciso di mettere da parte. Come se non bastasse, la presa di coscienza di quello che è accaduto in Europa e in Italia sembra ancora lontana.

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Ieri la presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha dichiarato che proporrà di attivare la clausola di salvaguardia per gli investimenti nella difesa che non conterebbero ai fini dei limiti al deficit europei. È inevitabile una piccola precisazione. L’acciaio, la componentistica, la forza lavoro che alimenteranno lo sforzo bellico non si trovano sotto terra nel campo dei miracoli. Si fanno spazio non nel “budget pubblico”, ma nei mercati fisici con il supporto di un cliente, lo Stato, che non ha limiti di prezzo o di profittabilità.

Per tirare una conclusione non servono né un master, né una laurea. Più acciaio o elettricità per produrre cannoni e carri armati significa meno macchine e meno frigoriferi. Almeno l’Europa e questa Commissione dicano che ognuno è libero di trovare l’energia più conveniente che vuole. Sarebbe il minimo sindacale. Il colmo sarebbe affrontare questa sfida a colpi di pale eoliche e pannelli solari, magari nel mezzo della soleggiata e ventosa Pianura padana.

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