Urban Myth Dissolution Center – La recensione

Effettua la tua ricerca

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#finsubito

Finanziamo agevolati

Contributi per le imprese

 


Qualche mese fa mi sono imbattuta nella demo di Urban Myth Dissolution Center e ho pensato di raccontarvelo: il gioco, un’avventura narrativa investigativa sui fenomeni paranormali, mi aveva attirato anzitutto per lo stile e poi, approfondendolo, per messa in scena, personaggi e dialoghi. Si era anche concluso sul più bello durante il primo dei sei casi disponibili, ragione in più per gettarmi nell’avventura completa a testa bassa e recensirla nella sua interezza.

Mi sono trovata ad affrontare un’esperienza meno interattiva di quanto avrei voluto, dal lato investigativo, ma una con una serie di indagini interessanti che culminano in un finale assolutamente inaspettato che non solo apre le porte a un possibile seguito (pur essendo la storia conclusa di per sé) ma risulta talmente ben costruito e in grado di unire bene i singoli pezzi da farmi quasi scordare del suo gameplay mai davvero coraggioso, o quantomeno orientato a un maggior coinvolgimento da parte nostra.

Dilazioni debiti fiscali

Assistenza fiscale

 

Problemi psicometrici

La protagonista di quest’avventura che, in crescendo, assume toni sempre più da thriller, è Azami Fukurai: una studentessa universitaria che fin da che ha memoria riesce a vedere quelli che lei chiama fantasmi. Rivoltasi al Centro di Dissezione Leggende Metropolitane scopre, grazie al direttore Ayumi Meguriya, di possedere il dono della psicometria: la capacità di vedere le tracce lasciate nel tempo da qualcuno o qualcosa in un luogo. Ombre, se così vogliamo inquadrarle, che tuttavia agli occhi della sfortunata ragazza hanno comunque l’aspetto di creature da incubo e in quanto tali la terrorizzano. Integrata nella squadra del Centro, non senza l’inganno, verrà incaricata di risolvere una serie di casi a quanto pare legati tra loro.

Il direttore Meguriya a volte si fa prendere la mano.

Non è un dettaglio che emergerà subito ma, piano piano, un elemento nello specifico sembra accomunarli e starà a lei scoprire dove condurranno – una direzione pericolosa, quando non apocalittica nel vero senso della parola. In compagnia di Jasmine, la svogliata autista del Centro e se possibile ancor più svogliata partner di Azami durante le indagini, saremo chiamati a risolvere misteri in apparenza legati a fenomeni paranormali: nello specifico, a leggende metropolitane di svariato genere, dunque non per forza legate al folclore giapponese, e dalle quali i nostri clienti vogliono comprensibilmente sbarazzarsi. Almeno un paio di queste vi saranno note, le altre invece risultano più di nicchia a chiunque non mastichi creepypasta a colazione; in aggiunta, però, ne abbiamo tantissime che emergono durante le conversazioni o le indagini e saranno elencate nel quaderno degli appunti che Azami porta con sé.

Ho apprezzato che il gioco, pur “limitandosi” a sei casi dove siamo direttamente coinvolti, metta sul piatto differenti leggende con cui pizzicare le corde della nostra curiosità. L’avventura è suddivisa in capitoli, una per ciascun caso, è localizzata in italiano e non è doppiata: i dialoghi sono tanti, più o meno articolati, così come le informazioni che andremo a raccogliere indagine per indagine, ma al netto di qualche punto un po’ noioso è un intreccio che scorre molto bene fino a raggiungere il culmine nell’ultima ora, o giù di lì. Senza rovinarvi la sorpresa, come ho scritto, Urban Myth Dissolution Center parte dall’essere un horror, o potenziale tale, ma sfocia in un vero e proprio thriller dove queste leggende metropolitane rappresentano l’elemento fondamentale di un racconto ben più elaborato.

Indagare con il freno a mano

Se preso come un investigativo “entry level”, il gioco può essere considerato valido e, anzi, caldamente suggerito. Se però si cerca, in esso, un gameplay più coinvolgente al di fuori della mera lettura e di qualche deduzione allora se ne potrebbe restare delusi: il motivo principale è che non esiste il concetto del fallimento. Non importa quanti errori possiamo compiere, non ci sarà mai una conseguenza in tal senso (fosse anche solo un game over) e, anzi, durante alcune deduzioni a furia di sbagliare sarà il sistema a “chiudere” fuori opzioni errate in modo da guidarci verso quella corretta. Potrebbe esserci un parallelismo con No Case Should Remain Unsolved ma non vige per un paio di ragioni: anzitutto, quest’ultimo si propone come una visual novel fin da subito per cui già sappiamo che avremo tanto da leggere e un po’ meno di interazione; in secondo luogo, pur mancando a sua volta del concetto di game over, il gioco chiedeva di usare un po’ di più la testa navigando in lungo e in largo tra le informazioni ottenute senza darci alcun aiuto in tal senso. Non era ingestibile, questo no, né punitivo, ma spingeva di più a interagire con i suoi mezzi.

I social sono una miniera d’oro di informazioni… e cattiveria.

Urban Myth Dissolution Center tira il freno a mano in tal senso. Il quaderno degli appunti di Azami si consulta più per curiosità di sapere cosa c’è scritto che per vera utilità, perché le deduzioni possono essere risolte anche attraverso la logica in base alle opzioni a disposizione. Le poche volte in cui avrebbe potuto servire, invece, non viene preso in considerazione dal gioco. Vediamo un esempio pratico: a un certo punto, durante un’indagine, dobbiamo trovare il codice di sblocco di un armadietto. Abbiamo gli indizi per capire quale sia, confrontando gli appunti, il gioco tuttavia ci obbliga a interpellare un personaggio per saperlo, quando in realtà avevamo la risposta sottomano. A questo mi riferisco quando parlo di interazione carente con i mezzi che il gioco stesso offre. Avrei preferito che, almeno per certi elementi, la soluzione risiedesse nell’uso pratico del poco che abbiamo a disposizione. Invece, il quaderno degli appunti è un semplice strumento per ricordarsi qualche passaggio, ma non diventa mai davvero interattivo come avrebbe potuto essere in alcuni casi.

Nel corso del gioco ci sono diversi passaggi da seguire: anzitutto potrebbe capitarci di dover seguire cosa si dice sull’indagine in questione tramite i social media. Si passa dunque a una convincente schermata lungo cui navigare per individuare, tra i post degli utenti, le informazioni utili. Non tutte sono immediatamente riconoscibili come tali perciò, anche qui, alla lunga potremmo trovarci a cliccare su ogni commento senza una vera logica oppure per la curiosità di sapere come Jasmine e Azami commentano il messaggio (in tal senso la scrittura regge perché sono sempre reazioni diverse). Ci sono però parole chiave nello specifico da individuare, questo grazie agli occhiali che Meguriya ha donato ad Azami, i quali permettono di focalizzare meglio la sua psicometria: una volta capito che c’è una potenziale parola chiave, dovremo indossare gli occhiali per isolarla e poi utilizzarla nelle chiavi di ricerca, da sola o in coppia con un’altra, per generare nuovi risultati in modo da trovare tutti gli indizi del caso e proseguire col gioco.

Pronti per la dissezione?

Raccogliere tutti gli indizi in uno scenario è la condizione necessaria per andare avanti sempre e comunque, almeno finché non dovremo confrontarci con le deduzioni – in quel caso, com’è ovvio, va data la risposta corretta. Gli indizi si raccolgono, al di fuori dello scenario social, analizzando la cosiddetta scena del crimine, parlando con i personaggi presenti e utilizzando la psicometria per trovare le tracce di chiunque sia passato per quel luogo. Mettendo assieme questi passaggi, spesso da ripetere più volte, arriveremo a due punti chiave del gameplay: l’individuazione, nelle fasi iniziali, della leggenda metropolitana coinvolta e poi, alla fine, la dissezione della stessa per capire quale verità si celi dietro di essa. Entrambi i casi prevedono un dialogo mentale con il direttore Meguriya, che ci sottoporrà diversi quesiti a cui rispondere per sbloccare la leggenda e il segreto a essa associato (ossia la soluzione dell’indagine di per sé).

Carta di credito con fido

Procedura celere

 

Come ho scritto, sono tutte fasi in cui si potrebbe andare a tentoni e nulla cambierebbe, perché al di là di dirci che stiamo prendendo un granchio il gioco non fa nulla per trasmettere il senso di urgenza in indagini che per diversi motivi potrebbero avere esiti negativi. Anche solamente introdurre un game over avrebbe avuto un altro peso sulla gestione dell’investigazione, spingendoci a fare del nostro meglio, mentre così il senso di sfida è del tutto personale. Non essendoci conseguenze possiamo mettere alla prova noi stessi per capire quanto siamo intuitivi, o lasciarci guidare dal gioco premendo casualmente tasti e opzioni.

Cosa succede quando le leggende prendono vita?

Il gioco prosegue così per tutti e sei i casi, la cui durata è variabile e tendenzialmente in crescendo. A un gameplay un po’ debole, che si abbandona a un’interazione passiva o quantomeno meccanica nel suo svolgimento, si affiancano però casi ben strutturati ed elaborati che poi vanno a convergere in un finale inaspettato nei confronti del quale non si può che annuire e dire “OK, mi hai fregato”. Impreziosito da una pixel art minimalista durante le fasi esplorative e invece più elaborata nei dialoghi, così come nei filmati, accompagnata da una colonna sonora che strizza l’occhio all’elettronica giapponese attuale, Urban Myth Dissolution Center è senza dubbio un centro dal punto di vista narrativo ma risulta poco coraggioso sotto il profilo ludico – per cui avrei voluto osasse di più.

Urban Myth Dissolution Center è più storia che gioco, il che andrebbe bene se stessimo parlando di una visual novel: nel caso in questione, presentandosi come un’esperienza più dinamica, sarebbe stato apprezzabile se l’interazione fosse stata valorizzata meglio. Invece dal punto investigativo si tira molto il freno a mano, non punendo il giocatore per i suoi errori e, anzi, guidandolo verso una risoluzione che può essere gestita senza timore di alcuna conseguenza. Un peccato, perché la storia è ottima e si impenna molto sul finale, così come il gioco si dimostra valido dal punto di vista artistico e musicale. Sarebbe bastato un po’ più di coraggio a livello ludico per renderlo memorabile.



Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Contributi e agevolazioni

per le imprese

 

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link