la Corte dei Conti revoca il sequestro di 250 mila euro a Valeria Grasso

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Non si sarebbe dovuto esprimere il giudice contabile bensì quello ordinario e, dunque, per un “difetto di giurisdizione” il sequestro conservativo è stato revocato. Così la Corte dei Conti ha “scongelato” i rapporti bancari della testimone di giustizia e imprenditrice antiracket Valeria Grasso che, secondo i conteggi fatti dall’Agenzia nazionale dei beni confiscati e dalla guardia di finanza in relazione all’occupazione abusiva di un bene mai assegnatole, avrebbe maturato un debito di circa 307 mila euro con lo Stato. Più di quanto si pensasse in un primo momento, come hanno messo nero su bianco sia il pm Alessandro Sperandeo che poi nella sentenza il giudice contabile Raimondo Nocerino, ci sarebbero anche 11 mila euro che Grasso, nonostante le smentite sue e del presidente di un’associazione sportiva, avrebbe incassato per far utilizzare a degli schermidori i “suoi” locali. Adesso toccherà all’Agenzia dei Beni confiscati procedere per riscuotere la somma con un pignoramento dei beni o dello stipendio dell’imprenditrice che, dopo le sue denunce contro il pizzo, è stata assunta dalla Regione, prima di essere “comandata” al ministero della Salute.

Dossier – Valeria Grasso occupa abusivamente un bene confiscato, l’Agenzia: “Non gliel’abbiamo mai assegnato”

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Il sequestro eseguito a dicembre scorso dalla guardia di finanza è stato frutto degli accertamenti effettuati dalla polizia municipale, chiamata a verificare le presunte opere abusive realizzate nella palestra di via Matteo Dominici, a San Lorenzo, occupata “sine titulo”, ma anche dell’esposto presentato da un imprenditore che non era stato pagato per i lavori di ristrutturazione fatti ma mai autorizzati dall’unico padrone di casa, ovvero l’Anbsc. Dopo le cinque fatture che non gli sono state riconosciute da Grasso, ha chiesto numi all’Agenzia – che aveva risposto di non averlo mai assegnato alla testimone di giustizia – e dopo un decreto ingiuntivo (impugnato all’ultimo giorno utile dall’imprenditrice e tuttora pendente), la vicenda è stata segnalata alla Procura regionale della Corte dei conti “per l’accertamento di eventuali responsabilità amministrativo-contabili, atteso che la Grasso – destinataria di un’ordinanza di sgombero (mai impugnata, ndr) per occupazione abusiva dell’immobile – si era scientemente e dichiaratamente sottratta al pagamento dei canoni di locazione”.

Come chiarito dal pm, Valeria Grasso nel 2001 avrebbe affittato da Maria e Giuseppe Guastella, della cosca di Resuttana, il bene che poi era stato sequestrato e confiscato definitivamente nel 2005. Nonostante ciò la mafia avrebbe continuato a chiederle il pizzo su quell’immobile costringendola a sporgere denuncia ai carabinieri candidandosi come “paladina dell’antimafia”.

Ha occupato abusivamente un bene confiscato: sequestrati 250 mila euro a Valeria Grasso

Così facendo “secondo il requirente – si legge nella sentenza della Corte dei Conti – Valeria Grasso era diventata uno dei simboli della lotta alla prevaricazione mafiosa. Sebbene destinataria di contributi economici e, come detto, assunta dalla Regione, per un verso alimentava un’esposizione mediatica di grande suggestione, per l’altro ometteva di versare all’Agenzia qualsiasi somma a onta delle ripetute richieste e seguitava a occupare in difetto l’immobile” e “lo sfruttava economicamente per finalità di lucro personale e familiare” percependo le quote dagli iscritti in palestra e gli 11 mila euro provenienti da un circolo di scherma del Trapanese. Questa “condotta antigiuridica”, secondo la Procura, avrebbe prodotto un danno erariale così quantificato: 174 mila euro per l’occupazione, 109 mila euro come danno da disservizio patito dall’Agenzia per la retta pagata da chi andava in palestra, e un danno da lesione al valore simbolico del bene per un totale di 13 mila euro. Superata questa fase, ritenendo i magistrati la sussistenza dei presupposti di legge, è stato emesso il decreto che ha autorizzato il sequestro conservativo dei beni per 258 mila euro e fissato l’udienza al 21 gennaio scorso.

I locali confiscati alla mafia occupati da Valeria Grasso durante la ristrutturazione

L’ultimo giorno utile i legali di Valeria Grasso, gli avvocati Roberto Staro e Salvatore Asole, hanno presentato una memoria difensiva concludendo per la revoca del sequestro e spiegando perché l’imprenditrice, secondo loro, non potesse essere considerata un’occupante abusiva, producendo alcune mail e un parere positivo che le avrebbe dato la Commissione centrale del ministero dell’Interno per un progetto di reinserimento socio-economico che avrebbe dovuto passare il vaglio dell’Agenzia, unico ente competente per decidere le sorti dell’immobile. “Per l’effetto – hanno evidenziato gli avvocati di Grasso – non poteva non maturare il legittimo affidamento all’incipiente risoluzione della vicenda burocratica della formalizzazione del suo rapporto con l’immobile”. Inoltre l’Anbsc avrebbe  “esplicitato il proprio favorevole avviso a condizione che lei corrispondesse ‘tutti i canoni e le indennità di occupazione sino a oggi e che l’assegnazione – si legge ancora nella mail da lei prodotta – avvenisse a titolo oneroso’”. Tanto da quantificare la mora, a novembre 2023, in 216 mila euro (relativi all’utilizzo del bene per circa 10 anni) da cui Grasso avrebbe voluto decurtare le spese sostenute per i lavori di ristrutturazione che l’amministratore giudiziario – ma non l’Agenzia – le avrebbe autorizzato.

All’udienza del 21 gennaio in cui il giudice ha messo subito sul piatto il potenziale difetto di giurisdizione, il pm, in posizione diametralmente opposta a quella di Grasso, ha sostenuto che il sequestro andasse confermato. “Quantificando il danno erariale – scrive il giudice Nocerino – il requirente ne prospetta come univoco fatto generatore (ascritto alla Grasso) la mancata restituzione dell’immobile all’autorità di gestione da parte di chi era senz’altro obbligato, specie a fronte dell’ordine di rilascio intimato dall’autorità di gestione del mancato versamento di ogni canone per l’occupazione ‘sine titulo’”.

Nonostante quanto accertato dalla guardia di finanza e dal pm non sia mai stato messo in dubbio nella sentenza, il giudice ha escluso la giurisdizione della Corte dei Conti in favore di quella ordinaria. “Si è esemplificativamente negata la giurisdizione sulla controversia – si legge ancora – per ottenere il risarcimento del danno (certamente) erariale patito dall’amministrazione pubblica di appartenenza”. La partita per far entrare nelle casse dello Stato quanto dovuto dalla paladina dell’antiracket dovrà quindi essere giocata altrove e dovrà essere l’Agenzia dei beni confiscati a procedere, come in parte ha già fatto, per incassare circa 300 mila euro, che però l’imprenditrice non possederebbe.

 

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