Il 13 febbraio 1995 Giuseppa Nicoloso, 70 anni, fu uccisa nella sua casa di via Cola di Rienzo. Un nuovo testimone: «Il movente forse nella vendita di un appartamento al Trionfale. Diceva di sentirsi tradita da chi aveva aiutato»
Giuseppa Nicoloso detta Giusi, 70 anni, parrucchiera volitiva e piacente, conosciuta nel quartiere Prati per i suoi due saloni da coiffeur in via Cola di Rienzo e via dei Gracchi, capace di improvvisi slanci di generosità ma al tempo stesso guardinga, sospettosa, talvolta brusca con le dipendenti, andò incontro a una morte orrenda nella Roma nera degli anni ’90, quando ogni fatto di sangue diventava un giallo indecifrabile: Giusi fu assassinata nell’appartamento in cui viveva da sola, il 12 febbraio 1995, e da quel momento la sua fine si aggiunse ai misteri già esistenti, via Poma, l’Olgiata, il detective ammazzato al binario 10 della stazione Ostiense…
Il nuovo testimone
Crimine irrisolto, quello di Prati, che oggi a sorpresa esce dal cono d’ombra. Un testimone ben informato, infatti, è disposto a rompere il silenzio. Il Corriere l’ha incontrato. È un uomo di una certa età, dotato di cultura elevata e una bella dose di ironia, che racconta verità inedite, apprese da ambienti molto vicini alla vittima, forse utili a una riapertura delle indagini.
«Vede – premette il nuovo testimone – io sono vecchio ma alla pellaccia tengo, ci sono affezionato. Ragion per cui il mio nome lo dimentichi. Il contesto e alcuni retroscena che mi sono trovato ad apprendere all’epoca, però, potrebbero in qualche modo essere connessi all’omicidio. E li racconto volentieri. Lo ritengo giusto. Sarà l’autorità giudiziaria a valutare se procedere o no…» Grazie. Ci arriveremo.
Un lavoro frenetico
Prima di inoltrarsi nella disamina del giallo, è utile tratteggiare la personalità dell’uccisa. Dopo la morte del marito, Peppino Zurlo, pugliese all’antica trapiantato a Roma dopo la guerra, fumatore incallito ucciso da un cancro ai polmoni una quindicina d’anni prima, Giusi Nicoloso s’era rifugiata in un attivismo frenetico, che l’aveva aiutata a colmare i vuoti della vedovanza e della mancanza di figli.
La parrucchiera amava il suo lavoro, si divideva tra i due negozi senza risparmiarsi. Tutte le mattine stava alla cassa, chiamava i fornitori, dava consigli alle ragazze sui segreti delle messe in piega. La «signora», come la chiamavano con reverenza le shampiste, «ai soldi teneva, eccome». Perché l’essere benestante le garantiva agi non disprezzati, ma soprattutto identità sociale e relazioni. Doveva essere anche per questo – sentirsi benvoluta, rispettata – che aveva iniziato a prestare danaro ad amici e conoscenti.
«Fumava 80-100 sigarette al giorno»
È anche vero, però, che negli ultimi tempi Giusi appariva strana, nervosa. «La signora era arrivata a fumare 80-100 sigarette al giorno, ne accendeva una con il mozzicone dell’altra». Ed era più riservata del solito. Altro antefatto: spendeva «almeno 200 mila lire a settimana» per giocare al lotto e al totocalcio.
Nei botteghini passava ore, chiedeva consigli sulle partite, senza volerlo aveva finito per frequentare anche personaggi equivoci. Qual era il non detto nella sua vita? Eccolo, il contesto nel quale, 30 anni fa, maturò il delitto di Giusi Nicoloso…
La scena del crimine
Il ritrovamento del cadavere avvenne nella tarda mattinata del 13 febbraio 1995, un lunedì. Sul marciapiede di via Cola di Rienzo, dopo l’allarme lanciato da una nipote che non era riuscita a sentirla al telefono, giornalisti e fotoreporter premevano contro il portone del civico 52. La saracinesca con l’insegna «Giusi parrucchiera» era abbassata. Chiuso per lutto. Al primo piano, nell’appartamento esattamente sopra il locale, i poliziotti della Scientifica e il medico legale stavano svolgendo i rilievi.
Scena criminis durissima: Giusi giaceva sul pavimento del salotto, a testa sotto. Era stata colpita da un pugno talmente violento da staccarle la dentiera, rotolata lontano, e da farle ingoiare due capsule dentarie, poi trovate nell’esofago.
La ferocia del killer
Killer animato da un’ira furente, indubbiamente. Ma il destro da k.o. non era bastato. La poveretta era crollata a terra sanguinante, ancora viva, e l’assassino aveva concluso il lavoro infilandole in bocca un sacchetto di nylon, premendo fino al rantolo finale. Morta per soffocamento. Sul tavolo, vicino a due bicchieri, furono recuperate ricevute bancarie, estratti conto e matrici di assegni, tutte risalenti a qualche anno addietro.
Stranamente, mancavano blocchetti recenti. Nella borsetta dell’uccisa, inoltre, con gran sorpresa dell’agente che per primo ci mise le mani, c’erano un diamante e due orologi d’oro. Il movente, dunque, non poteva essere la rapina. Un assassino tanto carico d’odio aveva voluta zittirla per altre ragioni.
Giusi conosceva il suo assassino
La seconda tessera del puzzle fu collocata facilmente. Porta d’ingresso e finestre non risultavano forzate e da ciò si poteva concludere, secondo la Squadra Mobile, che Giusi conosceva il killer e gli aveva aperto la porta, prima della lite fatale.
Non andava scartata, tuttavia, una seconda possibilità: che l’assassino fosse in possesso di una seconda chiave, in quanto persona ritenuta fidata, o per averla sottratta, magari al lavoro, in un momento di distrazione della titolare, per farne un duplicato. Tale ipotesi era avvalorata da un precedente: nel giugno dell’anno precedente la vittima aveva subito un furto in casa (anche in questo caso senza scasso) di numerosi gioielli.
La pista dei soldi
«Il movente è facile, se siamo fortunati in 48 ore chiudiamo», si lasciò sfuggire un ispettore di polizia parlando al capannello di cronisti appostato in via Cola di Rienzo. «Sono cinque lettere e la parola comincia con la “u”, fate voi», aggiunse usando lo slang carico di sottintesi tipico dei rapporti tra i giornalisti e le loro fonti.
La pista dell’usura era lanciata. Tanto più che, dall’esame dei movimenti bancari e dall’ascolto di alcuni informatori del quartiere, erano emersi i nomi di 4-5 debitori di Giusi, tra i quali un commerciante che le doveva 20 milioni di lire. Era stato il rifiuto di pagare interessi esosi a scatenare l’omicidio? Scenario credibile, ma non suffragato da riscontri. Tutti i possibili sospettati, messi sotto torchio o intercettati, si dimostrarono estranei.
L’anchorman televisivo
Una divagazione investigativa aprì un nuovo fronte: la frequentazione della parrucchiera con un personaggio pubblico. Giusi, da anni, era amica di Ivano Selli, volto noto di tv locali ruspanti e molto seguite, come Tele Tuscolo. Secondo un appunto trovato in casa, lei gli aveva prestato 100 milioni di lire.
Ma era stato lo stesso Selli a giocare d’anticipo, per zittire le voci malevole, con un’intervista al Messaggero. «Io indagato per il delitto Nicoloso? No, ci mancherebbe. Anziché farmi i fatti miei, mi recai subito in questura per dare una mano, visto che la conoscevo. È vero che Giusi mi aveva fatto dei prestiti, ma ho restituito tutto». Nuovo buco nell’acqua: l’anchorman dimostrò di avere un alibi e la faccenda si chiuse lì.
Il «donnone» sguaiato
Fu poi la volta delle sorprendenti rivelazioni di una cliente di via dei Gracchi. «Qualche settimana fa ero da Giusi a farmi i colpi di sole – raccontò la testimone, commerciante sulla stessa strada – e restai interdetta. In negozio piombò una donna sulla cinquantina, molto grassa, sudata, con un gran vocione e due braccia enormi. Era greve, scurrile. Si comportava come a casa sua…». Cosa fece di preciso? «Si sbracò in poltrona per farsi tagliare i capelli e parlava ad alta voce in modo sguaiato, diceva parolacce».
Delitto al femminile? L’indizio era questo: «Ho avuto la sensazione che Giusi ne fosse psicologicamente assoggettata. Ricordo una battuta: la tipa disse di preferire le donne agli uomini…» I giornali si fiondarono sul racconto piccante, ma la pista lesbica rientrò presto: il «donnone» sospettato di aver sferrato il pugno da k.o. uscì di scena in un paio di giorni, grazie a un alibi inattaccabile e alla mancanza di altri indizi.
Il sottosegretario democristiano
Avanti. Come sempre accade in un’indagine che si avvita su se stessa, man mano che le piste più plausibili si rivelavano infondate gli inquirenti presero a esplorare altre ipotesi. Il movente si annidava forse in un amore clandestino cementato da comuni interessi? L’indiscrezione circolò a Piazzale Clodio tra le altre, ma era priva di nessi con l’accaduto. Anche dando per buono che Giusi la parrucchiera avesse avuto una relazione con un esponente politico della Democrazia cristiana, sottosegretario in uno dei governi Andreotti, e che la tresca fosse stata scoperta dal marito nel peggiore dei modi, trovandoli in piena notte in intimità, cosa aveva a che fare tutto ciò con il delitto? Assolutamente nulla.
La liaison risaliva ad almeno vent’anni prima. Avevano smesso di frequentarsi. Lui era da tempo rientrato nel Sud Italia, nel suo collegio. Restano – e siamo arrivati al punto – le rivelazioni «per sentito dire, relata refero», ci tiene a precisare il nuovo testimone, ma provenienti da fonti «che considero attendibili»…
Gli affari di famiglia
«Caro amico, tutta la verità non tocca a me riscriverla– mette le mani avanti l’uomo- ma, semmai, alla magistratura, una volta acquisite le prove. D’altronde ho notizia che ancora oggi la Procura di Roma stia lavorando su vicende addirittura più remote, il delitto di via Poma, il sequestro Orlandi, con ben altre implicazioni…» Esatto, sono i cold case romani…
«Ecco, appunto, allora che ci provino a risolvere questo! Si è mai saputo che la defunta aveva venduto un appartamento con terrazzo di sua proprietà per centinaia di milioni in via Trionfale? E che la poveretta forse aveva anche altri immobili?» Non se ne è mai parlato, si sapeva solo di una crisi di liquidità. Il testimone incalza: «Non è mai stata chiarita, aggiungo, l’esatta entità e la dinamica proprietaria degli immobili che facevano capo alla vittima».
Il «tradimento» di una persona vicina
E spunta anche un secondo indizio: Giusi, secondo quanto riferito da una sua amica d’infanzia, a proposito del furto subito l’anno prima aveva detto che a farle male non era stata tanto la perdita delle sue cose, ma di essere stata tradita proprio da chi aveva tanto aiutato… Morale? «Mi pare evidente. Un ladro entra in casa e porta via i gioielli. Un ladro con le chiavi. La vittima parla di un tradimento di fiducia che l’ha fatta soffrire.
Poi arriva l’omicidio con le modalità che sappiamo. Mi chiedo: su questa pista sono stati sentiti tutti i possibili testimoni? Sono stati interrogati coloro che le erano più vicini?» Quante domande, 30 anni dopo. Il testimone si alza, sistema le carte sul tavolo e allunga la mano con un sorriso scettico. «Tanti auguri per la sua investigazione, ma ho il timore che tutto finisca nelle solite nebbie. La saluto…» (fperonaci@rcs.it)
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