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Nel 2024 l’industria italiana ha visto diminuire la produzione industriale su base annua del 3,5%. Il calo è stato costante durante l’anno, con l’indice corretto per gli effetti di calendario (anno bisestile) che ha mostrato una dinamica negativa per tutti i mesi, secondo i dati pubblicati dall’Istat.
Dal rapporto dell’Istituto di Statistica, solamente il settore energetico ha registrato una crescita complessiva nel 2024. All’interno del settore manifatturiero, solo le industrie alimentari, delle bevande e del tabacco hanno visto un incremento rispetto all’anno precedente.

Nel 2024 l’industria italiana ha visto diminuire la produzione industriale su base annua del 3,5%. Il calo è stato costante durante l’anno, con l’indice corretto per gli effetti di calendario (anno bisestile) che ha mostrato una dinamica negativa per tutti i mesi, secondo i dati pubblicati dall’Istat.
Dal rapporto dell’Istituto di Statistica, solamente il settore energetico ha registrato una crescita complessiva nel 2024. All’interno del settore manifatturiero, solo le industrie alimentari, delle bevande e del tabacco hanno visto un incremento rispetto all’anno precedente.
Le flessioni più significative sono state osservate nei settori tessile, abbigliamento, pelli e accessori, nonché nella fabbricazione di mezzi di trasporto. L’analisi dettagliata dei dati evidenzia le sfide affrontate da questi comparti nel contesto economico attuale.
Rispetto al 2023, nel dettaglio, a dicembre 2024 il dato ha segnato una diminuzione del 3,1% rispetto a novembre, mentre in termini tendenziali, al netto degli effetti di calendario, l’indice complessivo è in calo del 7,1% (i giorni lavorativi di calendario sono stati 20 contro i 18 di dicembre 2023), con cali congiunturali in tutti i trimestri.
Nella media del quarto trimestre il livello della produzione si riduce dell’1,2% rispetto ai tre mesi precedenti. L’indice destagionalizzato mensile cresce su base congiunturale solo per l’energia (+0,9%); mentre cala per i beni strumentali, i beni di consumo (-3,3% per entrambi i settori) e i beni intermedi (-3,6%).
Esclusivamente per l’energia si registra una crescita del +5,5%. Al contrario, marcate diminuzioni riguardano i beni strumentali (-10,7%), i beni intermedi (-9,5%) e i beni di consumo (-7,3%).
Gli unici settori di attività economica che registrano a dicembre incrementi tendenziali sono l’attività estrattiva (+17,4%) e la fornitura di energia elettrica, gas, vapore ed aria (+5,0%). Flessioni particolarmente marcate si rilevano, invece, nella fabbricazione di mezzi di trasporto (-23,6%), nelle industrie tessili, abbigliamento, pelli e accessori (-18,3%) e nella metallurgia e fabbricazione di prodotti in metallo (-14,6%).
Nonostante questi dati preoccupanti elaborate dall’Istat, nel 2025 il Pil crescerà dello 0,7% per poi salire allo 0,9% nel 2026, ma resta l’incognita legata alle politiche commerciali di Trump, in particolare all’impatto dei dazi. Dopo la forte espansione degli anni passati, il rallentamento dei consumi frena la crescita del Mezzogiorno, permettendo al Nord di riconquistare la leadership economica. Queste valutazioni emergono dallo studio Svimez – Ref Ricerche: “Dove vanno le regioni italiane. Le previsioni regionali 2024-2026”.
Secondo quanto è indicato nel rapporto Svimez, l’economia italiana ha seguito le dinamiche dei principali Paesi europei, con alcune differenze dovute all’orientamento della politica di bilancio. Fino al 2023, infatti, l’approccio è stato più espansivo, sostenuto da misure straordinarie di sostegno, mentre dal 2024 si è adottata una linea più restrittiva, in contrasto con gli interventi eccezionali del periodo 2020-2023.
Il rallentamento della crescita è influenzato da fattori comuni a tutta l’area euro, tra cui il ripristino dal 2024 dei vincoli del Patto di Stabilità, la recessione industriale causata dal calo della domanda di beni durevoli, la crisi di settori strategici come l’automotive, la debolezza del commercio internazionale e l’aumento dei costi energetici.
A pesare, però, sono anche dinamiche specifiche del contesto italiano: la necessità di ridurre il deficit pubblico concentrata nel biennio 2024-2025, l’elevata incidenza del settore automotive sull’economia nazionale e la forte dipendenza dalla domanda estera, con un legame particolarmente stretto con l’industria tedesca. Ma queste previsioni non tengono conto della grande incognita legata a Trump, ovvero l’eventuale inasprimento dei dazi sulle esportazioni verso gli Stati Uniti, un fattore che potrebbe incidere ulteriormente sul quadro economico.
Nel 2025, secondo lo studio Svimez-Ref, il Veneto dovrebbe registrare una crescita dell’1,2%, seguito dalla Lombardia (+1,1%) e dall’Emilia-Romagna (+1%). Queste regioni, grazie a una struttura economica più solida, riescono a compensare la debolezza dell’export con la tenuta della domanda interna. Al contrario, mostrano performance più deboli l’Umbria (+0,2%), la Liguria (+0,4%), la Puglia e il Molise (+0,5%). Queste regioni, pur essendo meno esposte al rallentamento del commercio estero, dispongono di minori fattori di crescita endogena.
A livello macroeconomico, le previsioni indicano  dal 2025 la fine del biennio di crescita sostenuta (2023-2024) sperimentato dal Sud. Il divario tra Nord e Sud dovrebbe infatti rimanere più contenuto rispetto al periodo pre-Covid. Nel 2025 il Centro-Nord crescerebbe dello 0,8% contro lo +0,5% del Mezzogiorno, mentre nel 2026 le due aree si attesterebbero rispettivamente a +1% e +0,7%, proseguendo una dinamica di sviluppo relativamente allineata, simile a quella osservata nella ripresa post-pandemica.
Nel report si legge: “Gran parte dell’inversione nel differenziale di crescita del Pil che dovrebbe avvenire nel 2025 tra le due ripartizioni, con il Centro-Nord che sopravanza il Sud, è attribuibile alla spesa delle famiglie. Il motivo è un maggiore potere d’acquisto, favorito da politiche fiscali a sostegno dei redditi da lavoro dipendente, più diffusi nelle regioni del Centro-Nord. Un ruolo chiave è inoltre giocato dall’indebolimento delle misure di supporto alle famiglie, dall’intervento sul cuneo fiscale e dalla riforma dell’Irpef, che hanno contribuito a ridefinire l’impatto della politica economica sui diversi territori”.
Il presidente di Svimez, Adriano Giannola, avverte: “Si riapre il divario tra Nord e Sud e anche la ripresa del Nord, trainata dall’export, rischia di essere minata dall’incognita Trump. Per il Meridione, la strada da seguire resta quella di una maggiore integrazione con il Mediterraneo”.
Il direttore di Svimez, Luca Bianchi, spiega: “Dopo un 2024 in cui il Sud è cresciuto, per il secondo anno consecutivo, più del Nord, il rallentamento dell’economia insieme all’avvio di un percorso restrittivo di politica fiscale europeo rischiano di indebolire gli importanti segnali di ripresa dell’economia meridionale. Accelerare l’attuazione del Pnrr, da cui dipende il 60% della crescita, e sostenere con politiche industriali attive le imprese innovative sono le chiavi per non rassegnarsi al ritorno alla normalità di un Paese a due velocità”.
Per Fedele De Novellis di Ref Ricerche: “La crisi europea è una crisi dell’industria europea. Ha necessariamente impatti territoriali differenziati, e in Italia colpisce maggiormente le regioni manifatturiere del Nord. Tuttavia, la resilienza del Mezzogiorno deve molto al contesto di politiche più favorevoli. L’avvio della fase di consolidamento fiscale secondo la traiettoria indicata nel Piano Struttural di Bilancio di Medio Termine sottrae spazi alle politiche di bilancio. Anche la ripresa dell’occupazione potrebbe arrestarsi a breve”.
I dati dell’Istat e dello Svimez, danno un quadro preoccupante dal quale emergono i limiti della politica economica del governo Meloni anche rispetto al quadro della congiuntura internazionale. L’attuale governo di centrodestra si è preoccupato di varare provvedimenti per ottenere effetti propagandistici di breve periodo, senza fare investimenti necessari per migliorare l’efficienza strutturale della Pubblica amministrazione e del Paese.
Sanità, scuola, ricerca e comunicazioni sono centrali per liberare risorse, facilitare il risparmio delle famiglie e formare le nuove generazioni con competenze necessarie a migliore la competitività del made in Italy sia per le produzioni tradizionali che per le nuove tecnologie. In realtà, ai cittadini viene presentata una politica fatta da finzioni e propaganda che nel medio e lungo periodo finiranno per impoverire gli italiani ed il Paese. Nessun provvedimento di politica di distribuzione della ricchezza è stato presentato dal governo Meloni e nemmeno un piano per sostenere l’occupazione attraverso un dialogo costruttivo con le parti sociali (Sindacati e Confindustria).

Salvatore Rondello

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