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Davide Romano – Ogni anno, da ormai molti decenni, il mese di febbraio ci offre l’opportunità di dedicare una riflessione particolare al grande tema della libertà religiosa e di culto.
Com’è noto, la data nasce da un preciso fatto storico: il 17 febbraio del lontano 1848, Carlo Alberto re di Sardegna (Piemonte e Liguria) si decise, non senza titubanze e ritrosie, a emanare delle lettere patenti con le quali si riconoscevano i diritti civili, – prima negati – a coloro che professavano la fede evangelica (valdesi) e in seguito agli ebrei. Nulla si diceva sulla liceità della diversa professione di fede, ma di fatto se ne rivelava una sostanziale “tolleranza”.
Lo Statuto albertino, promulgato poi il 4 marzo 1848, una specie di Carta costituzionale moderna, recepiva ovviamente le prescrizioni delle lettere patenti concedendo agli altri culti la formale qualifica di tollerati e al tempo stesso ribadiva che la religione cattolica apostolica romana era la sola religione dello Stato.
Questo doppio regime di trattamento tra culti “tollerati” e religione dello Stato fu in seguito ripristinato, dopo la lunga stagione dei governi liberali, anche nel corso del regime fascista, sia pure con lievi migliorie che resero la pratica dei culti tollerati, nel frattempo definiti “ammessi” (legge 24 giugno 1929 n. 1159), più legittima e meno vessatoria, ma con garanzie comunque largamente insufficienti.
La libertà religiosa tutelata oggi in Italia è figlia della Costituzione democratica promulgata nel 1948 ma, per ragioni che adesso non richiamo in dettaglio, non è del tutto svincolata dalle prescrizioni contenute nelle leggi fasciste del 1929.
L’Italia e l’Europa hanno progressivamente conosciuto la libertà religiosa come sviluppo dei diritti individuali e di coscienza e nel quadro della secolarizzazione della politica e del diritto. Questa è, molto stringatamente, la ragione per cui il richiamo polemico ai danni della secolarizzazione e alla disgrazia dell’individualismo occidentale moderno, dovrebbero essere come minimo temperati da un certo grado di consapevolezza di ciò che questi due fenomeni hanno storicamente significato.
Promuovere e difendere la libertà di religione e di culto non significa soltanto difendere particolari diritti di coloro che magari praticano culti minoritari in una nazione, ma vuol anche dire difendere il tessuto connettivo della democrazia liberale. Infatti, essendo la libertà religiosa espressione peculiarissima della intima libertà di coscienza, essa prepara il terreno all’affermarsi dei diritti civili e politici, così importanti per la vita delle nazioni democratiche.
Dunque, la libertà religiosa è un “diritto sentinella”: è il primo a dare l’allarme quando viene minacciato al fine di poter avvisare che l’intero sistema dello stato di diritto è sotto attacco. Non è un caso che nei regimi autoritari il primo diritto ad essere compresso è generalmente il diritto di professare liberamente il proprio culto.
Come avventisti del settimo giorno abbiamo il privilegio di veder riconosciute le nostre esigenze religiose anche da una legge della Repubblica italiana (legge 516 del 1988), esclusivamente pensata e scritta per noi. Questo diritto particolare che riconosce e tutela, ad esempio, la fruizione del riposo sabatico a scuola o a lavoro, per coloro che ne fanno richiesta, così come la possibilità di convolare a nozze attraverso un rito avventista, e diverse altre cose, è il prodotto dell’estrinsecarsi delle premesse contenute negli articoli 8, 19 e 20 della Costituzione della Repubblica italiana. Questa legge di intesa fra la Repubblica italiana e la Chiesa avventista fu però anche il frutto maturo di molte preghiere, di molti dialoghi e di molte sofferte interlocuzioni portate avanti con le rappresentanze istituzionali e con le altre confessioni cristiane, nei decenni tra il 1955 e il 1986.
Non dobbiamo dimenticare quanto preziosa fu la nostra capacità di rendere testimonianza e di articolare un discorso pubblico attento a far percepire nel modo corretto le nostre buone ragioni di principio. Se avessimo avuto un atteggiamento settario, retrivo, ripiegato esclusivamente sui nostri interessi confessionali, saremmo stati percepiti come estranei alla comunità nazionale.
Oggi le sfide rimangono davanti a noi intatte. Non basta ammantarsi di un riferimento legislativo, per quanto prezioso, ma occorre attrezzarsi per promuovere costantemente il valore della libertà religiosa e il profitto che l’esercizio di tale libertà genera al novero dei diritti individuali e sociali.
Molti membri avventisti subiscono ancora oggi varie forme di ostracismo in ambito lavorativo in ragione della richiesta del riposo sabatico, e non di rado si è costretti a giungere fin nelle aule di tribunale per difendere il nostro proposito di rispettare e onorare i comandamenti di Dio.
Al tempo stesso, saremo assai più credibili e incisivi se sapremo essere, come lo fummo in molti momenti della nostra storia, interlocutori attenti alle esigenze religiose e di libertà di altre chiese e di altri gruppi che non hanno ancora completato la loro traversata del deserto. Anche in vista di questo obiettivo esiste dal 1948 un’Associazione internazionale per la difesa della libertà religiosa (AIDLR) che promuove la rivista Coscienza e Libertà, organo di stampa prezioso nella promozione della libertà religiosa e di coscienza.
Sin dal 1978 la rivista raccoglie ed edita contributi di docenti e cultori delle discipline giuridiche, politiche e religiose, che promuovono e tematizzano la libertà religiosa, il valore della laicità delle istituzioni pubbliche, il valore del pluralismo religioso, senza i quali nessun futuro ci sarà promesso, se non quello della tirannia e del dispotismo.
(Davide Romano è direttore del Dipartimento Affari Pubblici e Libertà Religiosa della Chiesa avventista in Italia, dirige anche l’Istituto “Villa Aurora” di Firenze)
[Fonte: mensile Il Messaggero Avventista, febbraio 2025]
Leggi anche l’intervista a Davide Romano in occasione dei 35 anni della legge 516 del 1988.
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