La politica commerciale della seconda amministrazione Trump si preannuncia più aggressiva e imprevedibile rispetto al primo mandato. Le strategie statunitensi non si limiteranno al commercio, ma abbracceranno anche la sicurezza nazionale e la geopolitica, con obiettivi chiari: ridurre le dipendenze dall’estero, proteggere l’industria nazionale e consolidare la leadership nelle tecnologie emergenti. E i tanto temuti dazi? Gli effetti sui settori produttivi italiani ed europei sono difficili da prevedere e dipenderanno da diversi fattori. Lo spiega il Centro Studi di Confindustria (CsC) nello studio “La nuova politica commerciale degli Stati Uniti: scenari e canali di trasmissione. I settori e i prodotti europei e italiani più a rischio” a cura di
Cristina Pensa e Matteo Pignatti.
“Si tratta di uno strumento estremamente distorsivo, che produce artificiosamente vincitori e vinti. Gli effetti si dispiegano a livello disaggregato, tra paesi e tra settori”, si legge nella nota.
Cosa cambia per l’Italia e l’Europa con i dazi di Trump
Il 1° febbraio 2025, il nuovo presidente degli Stati Uniti ha annunciato l’introduzione di nuovi dazi sulle importazioni da Canada, Messico e Cina, oltre alla reintroduzione di tariffe elevate su acciaio e alluminio. In particolare, sono stati imposti dazi addizionali del 25% sulle merci provenienti da Canada e Messico, entrati in vigore il 3 febbraio ma sospesi il giorno successivo per un mese. Contemporaneamente, è stato introdotto un dazio del 10% su tutte le importazioni dalla Cina, applicato con effetto immediato. Infine, sono state ripristinate le tariffe del 25% su acciaio e alluminio, che dal 2021 erano sospese per un gruppo di paesi “amici”, tra cui quelli dell’Unione Europea. In risposta, i paesi colpiti hanno annunciato contromisure tariffarie sulle esportazioni statunitensi.
Per l’Italia e l’Europa, “i nuovi dazi Usa rappresentano sia un rischio che un’opportunità“, stando a Confindustria. Il decoupling tra Stati Uniti e Cina potrebbe aprire nuove opportunità di mercato per le imprese europee e italiane, facilitando l’espansione negli Usa. Tuttavia, la riorganizzazione delle catene di fornitura globali e la riconfigurazione dei flussi commerciali bilaterali pongono sfide complesse, soprattutto per le multinazionali che operano attraverso flussi intra-company. In questo scenario, le aziende dovranno adattare le proprie strategie di approvvigionamento e produzione per mantenere la competitività e ridurre i rischi legati a nuove misure protezionistiche.
L’Italia è più esposta della media Ue al mercato statunitense: il 22,2% delle esportazioni extra-Ue italiane è destinato agli Usa, contro il 19,7% della media Ue. I settori più vulnerabili ai nuovi dazi includono bevande (39% dell’export extra-Ue), autoveicoli (30,7%), mezzi di trasporto (34%) e farmaceutica (30,7%). Al contrario, l’Italia dipende meno della media Ue dalle importazioni statunitensi (9,9% contro 13,8%). Tuttavia, alcuni settori come farmaceutico (38,6%) e bevande (38,3%) presentano una forte interconnessione tra import ed export, aumentando il rischio in caso di escalation tariffaria.
L’impatto dei dazi potrebbe estendersi anche alle connessioni produttive indirette: molti semilavorati italiani vengono incorporati in prodotti destinati al mercato Usa. Secondo Confindustria, il mercato americano attiva direttamente o indirettamente una quota significativa delle vendite totali nei settori farmaceutico (17,4%) e dei mezzi di trasporto (16,5%), con un’incidenza del 7% sul totale della manifattura italiana.
I comparti a rischio
Gli Stati Uniti rappresentano uno sbocco essenziale per una grande varietà di prodotti italiani ed europei, coprendo l’80% delle categorie merceologiche esportate dall’Italia nel mondo e oltre il 90% di quelle Ue. Per individuare i comparti più a rischio di nuove misure protezionistiche, sono stati presi in considerazione tre criteri: esposizione dell’export, livello di surplus bilaterale e strategicità dei prodotti per la sicurezza economica americana. Sulla base di questi parametri, i settori più vulnerabili includono chimica e farmaceutica, oltre a mezzi di trasporto, macchinari e alimentari.
Nonostante il rischio di escalation tariffaria, i profondi legami economici tra Usa e Ue potrebbero rappresentare un deterrente a misure troppo aggressive. Nel settore farmaceutico, ad esempio, oltre il 70% degli investimenti Ue nei paesi extra-Ue è diretto negli Stati Uniti, con percentuali ancora più elevate per le imprese italiane. Tuttavia, la crescente centralità delle politiche economiche in chiave geopolitica potrebbe rendere sempre più complessi i rapporti commerciali transatlantici nei prossimi anni.
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