Oltre 270 vetture vandalizzate ai quattro angoli della Germania. In un primo momento si è puntato il dito sugli ambientalisti. In realtà – rivela lo Spiegel – si è trattata di un’operazione partita dalla Russia per sabotare le chances elettorali dei Verdi. Ma dietro a questa vicenda c’è anche il corto-circuito del connubio politica & ecologia
Nelle scorse settimane più di 270 macchine sono state danneggiate in quattro regioni tedesche. I veicoli, resi inutilizzabili, avevano sopra degli adesivi con slogan come «sii più verde» o con il volto del ministro Robert Habeck, candidato cancelliere dei Verdi nelle imminenti elezioni. La responsabilità è stata così attribuita agli ambientalisti. Qualche giorno fa, però, è uscito un report sullo Spiegel che sostiene che a danneggiare le macchine non siano stati degli attivisti, ma degli uomini pagati dalla Russia.
Cento euro a veicolo
Secondo l’autorevole settimanale amburghese, i responsabili sono stati assoldati a 100 euro per veicolo da agenti russi tramite app come Viber. Gli investigatori hanno detto al giornale che questi atti di vandalismo sarebbero parte di una campagna di sabotaggio orchestrata dai russi con l’obiettivo di fomentare l’indignazione contro il partito verde e favorire quelli più vicini a Mosca, i neonazisti di AfD e i “rossobruni” del BSW.
I Verdi tedeschi avevano ottenuto oltre il 20% alle europee del 2019, l’anno in cui è nata la più recente mobilitazione climatica, e un buon risultato alle elezioni nazionali del 2021, che li aveva portati a far parte del cosiddetto governo semaforo. In questi anni i Verdi tedeschi non hanno però soddisfatto le aspettative nell’ambito della transizione ambientale, energetica e sociale. Sono stati molto contestati dai movimenti perché non sono riusciti a interrompere la devastazione dei tre luoghi su cui più si è concentrata l’attenzione dell’ambientalismo tedesco – Dannenröder, Hambach e Lützerath – pur essendo al governo nelle tre rispettive Regioni. Nel libro Per molti anni da domani – Ventisette attivisti europei scrivono di clima, pace e diritti, Annika Kruse, una delle portavoce di Fridays For Future (FFF), ha scritto che «in pochi luoghi è stato evidente come a Lützerath».
Le proteste
Lützerath era una cittadina che nel 2023 è stata spazzata via per espandere la più grande miniera europea di lignite, peggior specie di carbone. A difesa di Lützerath si è formata un’inedita coalizione che andava da FFF a Ende Gelände passando per Extinction Rebellion, i cattolici per il clima, i gruppi anarchici oltre ai semplici cittadini. Per piegare la loro disobbedienza civile nonviolenta, coniugata con la costruzione di un’ampia rete di case sugli alberi, è servito un dispiegamento di diverse migliaia di agenti di polizia.
Una convergenza simile si è vista lo stesso anno al Venice Climate Camp, durante il quale i partecipanti hanno bloccato la centrale a carbone di Fusina raggiungendola “via mare” con tante barchette prestate dagli abitanti della Laguna. Nonostante la dimensione e la simbolicità di questi eventi, i grandi media italiani hanno preferito ignorarli dando invece ampio spazio ai lanci delle vernici sulle opere d’arte.
Non per una questione di forza mediatica, dal momento che Lützerath e Fusina offrivano immagini altrettanto potenti per i social, ma per interessi: raccontare proteste partecipate e pacifiche contro l’industria fossile, soprattutto in un Paese dove Eni fa il bello e il cattivo tempo, è molto più difficile di mostrare attivisti che imbrattano opere d’arte che non fanno pensare alla crisi climatica.
Che è proprio uno dei tre problemi delle azioni di Ultima Generazione, che in Germania non ha rapporti con FFF, e dell’ambientalismo contemporaneo in senso più ampio: non concentrarsi spesso su attori direttamente responsabili della crisi climatica (non i quadri di Van Gogh o gli automobilisti sul grande raccordo anulare), disincentivare la partecipazione e non far convergere le lotte.
Lotta o giardinaggio
Pesano meno gli arresti e le kefiah di Greta Thunberg, evidenziate da Gianfranco Pellegrino e Federico Zuolo su questo giornale, che in realtà sono gli unici motivi per cui Lützerath è arrivata sulle pagine dei giornali italiani. Esse ricordano che la lotta ambientale senza lotta sociale è solo giardinaggio. In Germania, che ha scelto di abbandonare il nucleare molto prima del carbone, le aziende automobilistiche stanno licenziando migliaia di operai, che le istituzioni non sono state capaci di accompagnare in un percorso di conversione. Pellegrino scriveva che «le condizioni del Pianeta non possono diventare un interesse di parte».
Il punto è che non si tratta delle condizioni del Pianeta, ma delle persone più povere che lo abitano. Se i movimenti climatici, che oggi scenderanno in piazza in Germania, non riusciranno a stare dalla loro parte – occupandosi più di politica e meno di orsi polari – falliranno nell’inedita sfida a cui sono chiamati.
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