Sicurezza, l’asse dei sindaci democratici in Veneto: «Tema essenziale, non lasciamo il campo alla destra»

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di
Silvia Madiotto

I primi cittadini dem a Schlein: «Non bisogna avere timore a discuterne, miglioriamo la comunicazione»

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La linea securitaria del Partito Democratico parte dai sindaci: sono il front office dei cittadini, i primi a cui si chiede conto dei problemi. Che sia reale, temuta o percepita, la sicurezza è comunque uno dei primi temi sui quali si accendono i riflettori e si chiedono risposte. Baby gang, furti, rapine, aggressioni nei centri urbani. 

L’approccio solidaristico

«Serve un approccio diverso dalla propaganda del centrodestra» hanno detto i primi cittadini dem durante una riunione, nei giorni scorsi, alla segretaria Elly Schlein, «la sinistra non abbia timore di parlare di presidi e di sicurezza» hanno incalzato. La risposta della leader è stata che serve una «politica integrata che parli di conoscenza e controllo del territorio, rafforzamento dei presidi di sicurezza» in abbinata a servizi «sociali, di cultura, politiche abitative, di inclusione e integrazione, di rigenerazione urbana e di contrasto alla criminalità». Per la prima volta, hanno evidenziato i sindaci dei capoluoghi, il rafforzamento dei presidi territoriali è entrato nel vocabolario di Schlein e del partito, seppure sempre in abbinata con l’intervento sociale. Ed è già così una svolta. Quando si parla di sicurezza, l’immagine collettiva è quella dei partiti di centrodestra, che usano la parola come bandiera del proprio operato, mentre la sinistra viene associata prevalentemente all’approccio solidaristico (per tradizione e per valori), ma sul territorio bisogna cambiare. La discussione non è più rinviabile.




















































Migliorare la comunicazione

Alla riunione, condotta dal sindaco di Torino Lo Russo, era collegato anche Giacomo Possamai, sindaco di Vicenza: «Sicurezza è una parola di buonsenso, uno dei pilastri per vivere bene in una città. Nelle attribuzioni di geografia politica è una parola che la sinistra deve avere bene in testa, se manca i primi a farne le spese sono i più fragili». E sottolinea: «Dobbiamo abbandonare alcune timidezze e migliorare la comunicazione, usando parole nette e mandando messaggi chiari, per rassicurare i cittadini che sappiamo come mantenere le città sicure. Per questo è una parola che il centrosinistra deve avere come priorità nell’agenda. La necessità di una maggiore presenza di forze dell’ordine riguarda tutte le città, a prescindere da chi le governa. Se tutti noi sindaci, da Treviso a Verona, da Vicenza a Venezia, diciamo la stessa cosa, è evidente che il problema c’è. Bisogna essere duri con chi delinque, serve una presenza forte di agenti – premette Possamai -, ma senza un intervento sociale e sanitario che intercetti le difficoltà e recuperi una parte di queste persone il problema si allarga». E quindi la sua Vicenza, continuando a lavorare sui fronti sanitario e sociale, ha rafforzato la presenza dei vigili, delle pattuglie antidegrado e quelle operative sul micro-spaccio, aumentando le ore dell’unità di strada: «Operatori che escono insieme alla polizia locale per accompagnare nelle strutture chi è senza un tetto o ha problemi di tossicodipendenza».

È una lotta contro la sicurezza interpretata solo come parola di destra, come se fosse garantita da una sola parte politica, che oggi è la maggioranza di governo: per tutti i sindaci è prioritaria e va gestita, implementata. Non con il gergo semplicistico dei «manganelli», delle «ruspe» e del «buttare via la chiave», ma con risposte concrete che i sindaci sono tenuti a dare. I cittadini scelgono, alle urne, anche chi sa garantire loro una città, una via, un condominio più sicuro. Alle elezioni, i cittadini chiedono anche questo, bisogna ricordarlo.

«Non dobbiamo aver paura a parlare»

Possamai è l’unico sindaco «di partito» in Veneto, nei tre capoluoghi guidati dal centrosinistra. E in ogni città viene declinata in modo preciso, concreto, su misura. A Verona la giunta è in parte civica, a cominciare dal sindaco Damiano Tommasi e dall’assessore alla sicurezza Stefania Zivelonghi. «Non dobbiamo avere paura di parlare di presidi e forze dell’ordine, che valgono soprattutto per la repressione e l’intervento immediati – spiega Zivelonghi -. Dobbiamo sfatare i falsi miti che vedono nella sicurezza il terreno solo di una parte politica, quella che ne parla con un linguaggio di un certo tipo. Invece presidi sul territorio e inclusione possono convivere, la sicurezza è un bene trasversale». Due piani collegati, evidenzia l’assessore: «Nessuna sicurezza è stabile se non si stabilizzano i rapporti civili, se c’è degrado, se non si riqualificano i luoghi. Ma ci sono tre modalità importanti di sicurezza: il presidio fisso, il monitoraggio elettronico, e lo stiamo facendo con telecamere più numerose e più efficienti, e la partecipazione di tutti gli assetti della comunità, il controllo di vicinato. Anche il sociale è sicurezza, ma il ritorno è in tempi più lunghi».

«Sicurezza sociale diffusa»

Padova è il capoluogo veneto in cui è stata attivata la prima zona rossa (una spinta venuta più dal comitato interforze che dal Comune). «Il lavoro delle forze dell’ordine è indispensabile – dice il sindaco Sergio Giordani – la repressione è uno degli elementi della sicurezza. Ma come sindaco ho capito in questi otto anni l’importanza del ruolo della prevenzione, che passa per l’inclusione sociale, la vita dei quartieri, l’attenzione e la cura degli ultimi, la non paura del diverso. A Padova abbiamo ottenuto così risultati di cui sono molto soddisfatto». Il Pd cittadino ha scritto una lettera-proposta all’amministrazione, in cui declina interventi e soluzioni per una «sicurezza sociale diffusa», in cui si intersecano «ordine pubblico, benessere sociale, rigenerazione urbana, partecipazione». Gli esempi sono dislocati in diversi punti della città, «zone sottratte all’abbandono, come i giardini dell’Arena, l’ex area Valli, piazza De Gasperi, piazza Mazzini, piazza del Volontariato», insieme al lavoro delle associazioni per rendere «più vivibili i quartieri». Ma c’è un altro pacchetto di interventi e luoghi: un progetto sugli anziani soli; le scuole trasformate in centri civici; e viene richiesta maggiore presenza della polizia locale nei quartieri, a piedi e in bici. Il presidio della divisa serve, ma il grosso del lavoro è ritenuto quello della prevenzione (in linea con la segretaria).

Un palliativo

La capogruppo Pd in Regione Vanessa Camani era stata fra i primi a «rompere il ghiaccio» chiedendo di parlare con nettezza di sicurezza: «Le forze dell’ordine chiedono strumenti, risorse e agenti, i sindaci vengono lasciati soli. E la destra al governo che fa? Non dà risposte adeguate ai territori. Indicare il problema e usarlo in campagna elettorale, come fa la destra, e trovare soluzioni sono cose diverse. Senza coesione sociale non c’è sicurezza: si vive bene dove ci sono qualità della vita e comunità unite, dove ricchi e poveri si sentono sicuri allo stesso modo». Chiude il segretario regionale Andrea Martella: «La sicurezza è il terzo pilastro accanto a sanità e lavoro, non un tema secondario, ma cruciale per garantire una società vivibile. Il governo continua a proporre solo soluzioni securitarie ma non basta, come non basta aumentare il numero dei reati o inasprire le pene, come fanno i decreti Rave, Caivano, Sicurezza. Anche la zona rossa così come concepita rischia di essere un palliativo. Forse intercetta un’aspettativa, concentra l’attenzione in un luogo ma offre una risposta debole».

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