La sentenza sulla Terra dei Fuochi è una svolta, ecco perché

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Lo Stato avrà l’obbligo di avviare indagini penali. I danni all’ambiente in grado di provocare conseguenze sanitarie gravi accertabili non potranno essere declassati con contravvenzioni ambientali

La sentenza sulla Terra dei fuochi: un punto di svolta per la giustizia ambientale? Nei giorni scorsi ha suscitato molto clamore la notizia della condanna dell’Italia da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo, per non avere protetto il diritto alla vita degli abitanti di novanta Comuni campani che compongono un’area nota come “Terra dei fuochi”.

La sentenza riveste una portata storica fondamentale, trattandosi del primo accertamento sistematico, a livello giudiziario, di una pluridecennale situazione di grave compromissione ambientale e sanitaria causata dallo smaltimento illecito di rifiuti tra le province di Napoli e Caserta. Mentre la giustizia penale italiana era stata finora in grado di portare alla luce soltanto alcune specifiche vicende criminali che, per quanto gravi, rappresentavano soltanto isolati frammenti di un fenomeno complesso e articolato, la sentenza della Corte di Strasburgo ci consegna finalmente una verità storica unitaria e coerente, nella quale si colgono non solo la gravità delle condotte illecite, ma anche l’inerzia e l’insipienza delle autorità statali che non sono state in grado di fronteggiarle e ridurne i devastanti effetti per l’ambiente e le persone.

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La portata della sentenza Cannavacciuolo (dal nome del primo ricorrente) ha però anche un significato che va oltre la vicenda specifica da cui ha avuto origine, e costituisce un importante precedente per il contenzioso in materia ambientale e climatica. Si tratta infatti della prima volta in cui la Corte si è spinta in maniera netta ad affermare che i risultati degli studi epidemiologici condotti su un determinato territorio sono sufficienti a dimostrare la violazione del diritto alla vita delle popolazioni che lo abitano, anche quando, come nel caso di specie, non è possibile o è estremamente difficile dimostrare il nesso di causalità individuale tra l’esposizione al fattore di rischio e la malattia che ha colpito ciascuna singola vittima.

Si tratta di una svolta importante nella giurisprudenza della Corte europea. Vale infatti la pena di ricordare che, nella precedente sentenza sull’Ilva di Taranto, era stata affermata la violazione del diritto alla salute intesa come riduzione della qualità della vita, ma non del diritto alla vita vera e propria. La svolta impressa dalla sentenza Cannavacciuolo è ricca di conseguenze pratiche, poiché ad essa si ricollegano puntuali obblighi di incriminazione: in particolare, quello per lo Stato di avviare indagini penali e sanzionare i responsabili con pene proporzionate alla gravità dei fatti commessi. Ciò significa che i danni all’ambiente che sono in grado di provocare conseguenze sanitarie gravi accertabili, non solo non potranno più essere trascurati, ma nemmeno potranno essere declassati a illeciti bagatellari, come le contravvenzioni ambientali. Al contrario, dovranno essere trattati come reati gravi (delitti), in modo anche da consentire l’attivazione di strumenti di indagine efficaci (ad esempio le intercettazioni) e misure cautelari appropriate (come i sequestri).

Appare peraltro chiaro che un cambiamento di tale portata non può essere affidato soltanto all’iniziativa della magistratura. E infatti la Corte europea si rivolge anche al legislatore nazionale, imponendogli di introdurre norme penali proporzionate alla gravità di fatti che arrecano danno sia all’ambiente che alla vita delle persone che vivono in una particolare area. E’ inoltre fondamentale, secondo la Corte, che vengano garantiti tempi di prescrizione compatibili con la complessità dei procedimenti e che il governo si astenga dall’adottare misure, come gli scudi penali, che garantiscono l’impunità degli inquinatori. In passato, l’assenza di un quadro normativo efficace è stata una delle cause del fallimento di alcune note iniziative giudiziarie, come quella nei confronti dei titolari della Eternit per i morti da amianto.

Oggi il quadro normativo è arricchito dall’introduzione nel codice penale di un titolo specificamente dedicato agli “ecodelitti”, tra i quali figurano i delitti di “morte o lesioni come conseguenza dell’inquinamento ambientale” e di “disastro ambientale”. Queste norme, interpretate alla luce delle indicazioni fornite dalla Corte europea, potrebbero rappresentare la base giuridica per perseguire le più gravi aggressioni all’ambiente provocate da attività industriali, o dal mancato controllo dell’inquinamento atmosferico provocato dal traffico veicolare, ogniqualvolta siano disponibili indagini epidemiologiche in grado di misurare l’impatto dell’inquinamento sulla salute pubblica. La sentenza sulla Terra dei fuochi consegna quindi, tanto alla magistratura quanto al legislatore, una serie di indicazioni preziose. La sfida è ora quella di trasformarle in azioni tangibili, capaci di imprimere un nuovo corso al diritto penale ambientale italiano.

*Professore associato di sanità pubblica, Università del Piemonte Orientale
**Professore associato di diritto penale, Università Statale di Milano



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