Nel 2024 la produzione industriale è crollata, ma il lento declino degli ultimi mesi è il risultato di oltre dieci anni di stagnazione. Le criticità sono le solite: esposizione alle tensioni internazionali, costo dell’energia e una generale scarsa competitività delle imprese. Sull’industria, però, si gioca la partita più importante.
La produzione industriale italiana è calata del 3,5 per cento nel 2024. È un dato estremamente preoccupante per lo stato di salute della nostra economia e nasconde alcune delle insidie che aspettano l’industria nei prossimi anni.
A crollare sono stati soprattutto il settore dell’automotive (-11,3 per cento) e del tessile (-10,5 per cento), mentre per l’industria manifatturiera in generale il calo è stato del 3,7 per cento. La crisi delle nostre fabbriche mostra ancora una volta che i settori trainanti della nostra economia sono anche quelli più esposti alle tensioni internazionali e al contesto globale. Da una parte, il settore della “fabbricazione di mezzi di trasporto” coinvolge non solo gli operai delle fabbriche di Stellantis, ma anche tutte le migliaia di aziende che forniscono componentistica all’automotive. La crisi del mercato dell’auto in generale e della produzione tedesca in particolare stanno avendo un impatto devastante su questo comparto, rendendolo quello che ha subito di più il crollo della produzione nell’ultimo anno. Dall’altro lato, viene colpita un’altra industria molto legata all’export: la moda, che perde oltre il 10 per cento della propria produzione rispetto al 2023.
Uno dei primi fattori delle difficoltà della nostra industria, dunque, è l’incertezza sulle esportazioni. In Germania, il primo mercato di sbocco per i nostri prodotti, il Pil non cresce da due anni e per la prima volta il settore dell’auto è davvero in difficoltà. Guardando al secondo maggior mercato per il nostro export, gli Stati Uniti, la situazione non è molto migliore. Da quelle parti, sono in procinto di lanciare sanzioni che andranno inevitabilmente a ridurre le importazioni americane, soprattutto di beni che non sono di prima necessità, come i prodotti tessili di alta moda o l’agroalimentare italiano.
Il calo dell’industria, però, non è solo frutto della chiusura dei mercati internazionali, ma arriva da lontano. Come mostrato nel grafico, il nostro sistema produttivo è rapidamente tornato ai ritmi del pre pandemia, ma da lì si è completamente bloccato. Se si è più o meno riusciti a tenere il passo nel 2021, è dal 2022 che iniziano i veri problemi e l’inesorabile declino: da aprile 2022 a oggi, l’indice è calato del 15 per cento. A questo punto si aggiunge un ulteriore fattore da tenere in considerazione: l’energia.
La nostra industria è molto energivora, non solo per ovvi motivi che riguardano tutte le produzioni industriali, ma anche perché i singoli segmenti produttivi su cui ci siamo specializzati nel tempo richiedono un forte consumo di energia. Un esempio è la metalmeccanica, che infatti è in forte crisi. Il problema è che il costo della nostra energia è legato a doppio filo con il prezzo del gas, che è diventato sempre più caro. Secondo l’Agenzia internazionale per l’energia, il 38,1 per cento dell’offerta di energia in Italia è prodotta tramite gas naturale, un dato che scende al 22,5 per cento in Spagna. Non è un caso che la scelta del mix energetico, molto più sbilanciato verso il petrolio e meno dipendente dal gas russo, sia annoverata tra le ragioni della fortissima crescita spagnola, con un’economia che ha registrato un +3,5 per cento nel 2024, contro lo 0,5 del nostro paese.
I nostri problemi, però, arrivano da lontano: nell’industria manifatturiera, che esclude tutta la parte relativa alla produzione di energia e all’estrazione di minerali, il livello della produzione è ancora fermo al 2008.
Nonostante esistano ancora molte imprese di eccellenza che sono cresciute negli ultimi anni, la tendenza generale è decisamente preoccupante: l’occupazione nella manifattura è calata dell’11 per cento tra il 2008 e la fine del 2024, mentre sono sparite oltre 50 mila aziende del settore tra il 2012 e il 2022 (-12 per cento).
Non parliamo di un settore produttivo qualsiasi, ma del comparto dell’economia che più in assoluto trascina l’innovazione: in tutti i paesi, l’industria tende ad avere un tasso di crescita della produttività più alta, un livello di innovazione superiore e un molto più alto potenziale di scalabilità, ossia di generare maggiori ricavi a parità di costi. L’industria ha trascinato il miracolo economico italiano e ancora oggi è un riferimento per le decisioni di politica economica e per quelle relative ai lavoratori. Basti pensare all’importanza del contratto metalmeccanico nel definire gli standard per gli occupati di molti altri settori produttivi.
I problemi della manifattura sembrano molto simili a quelli che attanagliano anche il resto dell’economia: imprese troppo piccole (l’81 per cento ha meno di 10 dipendenti), bassa innovazione e, di conseguenza, produttività al palo, una forza lavoro specializzata che invecchia e che diventa sempre più difficile sostituire, e una scarsa capacità di rispondere alla concorrenza dall’estero. Il totale rifiuto dell’automotive italiano (ed europeo) di puntare su un prodotto diverso dalle auto a combustione è esemplare della scarsa capacità di pianificazione del nostro sistema produttivo. Troppo spesso l’industria viene protetta dalla potenza distruttiva dell’innovazione (facendo per esempio largo uso degli ammortizzatori sociali), ma non vengono mai imposti o forniti gli strumenti per reggersi sulle proprie gambe.
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