Nell’ambito di appalti di servizi di ingegneria e
architettura, se il Codice dei contratti pubblici si
preoccupa di determinare la “base d’asta”, naturalmente soggetta a
ribassi, esposta a criteri valutativi incentrati sul meccanismo del
miglior rapporto “qualità/prezzo”, la legge sull’equo
compenso mira a stabilire un importo minimo non
derogabile.
In tale contesto, è dunque condivisibile l’assunto, confermato
nella relazione allo Schema del correttivo al Codice dei contratti
secondo cui “nella materia dei contratti pubblici non si
applica la disciplina in materia di ‘equo compenso delle
prestazioni professionali’ di cui alla legge 21 aprile 2023, n.
49, vigendo la suesposta disciplina speciale”.
Attenzione però: sebbene la legge n. 49 del 2023 non trovi
diretta applicazione nell’ambito delle procedure di affidamento dei
contratti pubblici, nulla vieta che la stazione appaltante possa,
nell’esercizio della propria discrezionalità ed entro termini
ragionevoli, prevedere clausole di non
ribassabilità del corrispettivo a fini di tutela dell’equo
compenso professionale.
Equo compenso: il Consiglio di Stato sulla non ribassabilità
dei corrispettivi professionali
Ad affermarlo è il Consiglio di Stato,
nell’ormai dibattuta questione dei rapporti tra disciplina
sull’equo compenso e codice dei contratti poubblici, questa volta
respingendo, con la sentenza
del 3 febbraio 2025, n. 844, l’appello proposto da una
società di ingegneria, prima aggiudicataria e poi invece esclusa da
una procedura per l’affidamento di servizi tecnici per anomalia
dell’offerta.
Nel caso in esame, per la Stazione Appaltante, l’OE aveva
operato, di fatto, un ribasso anche sui compensi determinati sulla
base del D.M. 17 giugno 2016, in violazione
della lex specialis di gara che li
aveva qualificati come ‘inderogabili e non ribassabili’, ai
sensi delle disposizioni in tema di equo compenso di cui al citato
art. 41, comma 15 e dell’all. I.13, del D.Lgs. 36/2023, e della l.
49/2023, in linea con la Delibera dell’ANAC n. 343 del
20/07/2023.
Preliminarmente il Consiglio ha evidenziato come il disciplinare
di gara prevedeva espressamente che:
- l’importo a base di gara è stato calcolato ai sensi del decreto
del Ministro della giustizia 17 giugno 2016, ai sensi dell’art. 41,
comma 15 del D.Lgs. 36/2023 e dell’allegato I.13; - i compensi stabiliti per le prestazioni d’opera intellettuale
attinenti ai servizi di ingegneria e architettura sono stati
considerati inderogabili e non ribassabili, riportati nella voce
‘compensi non soggetti a ribasso; - nell’offerta economica andava indicato il “ribasso
percentuale unico, riferito all’importo a base di gara, al netto
dell’IVA, della parte di corrispettivo relativa ai compensi da
ritenere non ribassabili ai sensi delle disposizioni di cui
all’art. 41, comma 15, del D.Lgs. 36/2023 e dell’all. I.13, e della
l. 49/2023, e degli oneri della sicurezza non soggetti a
ribasso”.
Su quest’ultima voce, il ricorrente aveva proposto un
ribasso del 99,90%, ma nei giustificativi di spesa emergeva un
costo pari all’importo ribassato, finendo così per intaccare di
fatto la quota di compensi professionali non ribassabili. Una volta
stabilita infatti dal disciplinare la non ribassabilità dei
compensi professionali determinati a norma del d.m. 17 giugno 2016,
ma emergente al contempo un costo tale da erodere in misura
consistente la corrispondente voce, di fatto lo scrutinio
sostanziale di sostenibilità dell’offerta non
poteva che restituire un esito negativo, come coerentemente
ritenuto dalla stazione appaltante.
Decreto Parametri: le tabelle per individuare importo a
base di gara
In tale quadro, spiega il Consiglio, le tabelle
ministeriali per la determinazione dei corrispettivi
fungono dunque da strumento per la «individuazione dell’importo
da porre a base di gara dell’affidamento», a carattere
vincolante per le stazioni appaltanti, a differenza peraltro da
quanto accadeva nella vigenza del precedente art. 24, comma 8,
d.lgs. n. 50 del 2016, che considerava le tabelle ministeriali
quale mero «criterio o base di riferimento ai fini
dell’individuazione dell’importo da porre a base di gara
dell’affidamento».
Nella disciplina delineata dal Codice non è invece assegnata
autonoma rilevanza alla voce del compenso professionale: lo stesso,
a fronte del rimando dell’art. 41, comma 15, all’all. I.13, e da
quest’ultimo al d.m. 17 giugno 2016, configura una componente
del corrispettivo per le prestazioni di
progettazione; a norma dell’art. 1, comma 2, d.m. 17 giugno 2016,
infatti, «Il corrispettivo è costituito dal compenso e dalle
spese ed oneri accessori di cui ai successivi articoli».
Emerge come il Codice dei contratti pubblici presenti una
disciplina in sé compiuta e autosufficiente in materia di
corrispettivi, ivi inclusa la componente del compenso
professionale:
- l’art. 41, comma 15, d.lgs. n. 36 del 2023 considera le tabelle
ministeriali (ai sensi dell’all. I.13, che rimanda al d.m. 17
giugno 2016) quale strumento per determinare la base d’asta (come
tale ribassabile), non già per fissare minimi inderogabili di
compenso; - al contempo, il Codice prevede dei minimi inderogabili (art.
110, comma 4, lett. a) e comma 5,
lett. d)) o delle voci non ribassabili (art. 41,
comma 14 e 13) solo per gli elementi del salario o costo della
manodopera.
Equo compenso e Codice Appalti: due discipline differenti
In termini generali, le regole sull’equo compenso di cui alla
legge n. 49 del 2023 non trovano diretta applicazione
nell’ambito di procedure di affidamenti pubblici di
servizi, e ciò anche a fronte dei diversi parametri a tal
fine presi in considerazione dai due corpi normativi:
- il Codice dei contratti pubblici si preoccupa di determinare la
“base d’asta”, naturalmente soggetta a ribassi, esposta a criteri
valutativi incentrati sul meccanismo del miglior rapporto
“qualità/prezzo”, al di fuori di logiche intese alla limitazione
verso il basso; - la legge sull’equo compenso mira a stabilire un importo minimo
non derogabile, la cui contraria pattuizione negoziale è colpita
addirittura con sanzione di nullità, pur se
relativa.
Anche i parametri di riferimento ai fini della
determinazione dei valori presi in considerazione sono diversi nei
due sistemi normativi:
- da una parte l’all. I.13, richiamato dall’art. 41, comma 15,
d.lgs. n. 36 del 2023, rimanda al d.m. 17 giugno 2016 prevedendo
l’attualizzazione del relativo quadro tariffario; - dall’altra parte, l’art. 1, comma 1, l. n. 49 del 2023
definisce in generale «equo compenso» quello «conforme
ai compensi previsti rispettivamente: […] b) per
i professionisti iscritti agli ordini e collegi, dai decreti
ministeriali adottati ai sensi dell’articolo 9 del decreto-legge 24
gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24
marzo 2012, n. 27», e successivamente commina all’art. 3,
comma 1, la nullità delle clausole che non prevedono un compenso
equo e proporzionato all’opera prestata, come tali definendo le
pattuizioni di un compenso «inferiore agli importi stabiliti
dai parametri per la liquidazione dei compensi dei professionisti
iscritti agli ordini o ai collegi professionali, fissati con
decreto ministeriale […]», e cioè dal d.m. Giustizia n.
140 del 2012.
A tale riguardo, va osservato peraltro che, il d.m. n. 140 del
2012 stabilisce espressamente per le professioni dell’area tecnica,
ai fini della liquidazione dei compensi,
un range di flessibilità in ragione della
complessità della prestazione (espressa dal parametro sub
G)) che tenga conto della natura dell’opera, pregio della
prestazione, dei risultati e dei vantaggi, anche non economici,
conseguiti dal cliente, dell’eventuale urgenza della prestazione,
di talché l’organo giurisdizionale può aumentare o diminuire il
compenso di regola fino al 60 per cento rispetto a quello
altrimenti liquidabile.
Tale meccanismo rientra a pieno titolo nei «parametri per la
liquidazione dei compensi» richiamati dall’art. 3 della legge
n. 49 del 2023 e definisce una soglia minima (e massima) del
compenso del professionista, al di sotto della quale si ha la
qualificazione normativa di “compenso non equo” passibile di
nullità. Di contro, il d.m. 17 giugno 2016 non contempla alcun
meccanismo di flessibilità, limitandosi a recepire la formula
moltiplicatoria generale del d.m. n. 140 del 2012.
In tale prospettiva, i due meccanismi divisati dal d.m. n. 140
del 2012 e dal d.m. 17 giugno 2016, pur recando un nucleo comune
(la formula moltiplicatoria per il compenso) differiscono per:
- natura della fonte normativa (si tratta di due regolamenti
ministeriali ben distinti, l’uno ministeriale, l’altro adottato di
concerto da due Ministri); - scopi (l’uno mira a disciplinare la liquidazione dei compensi
equi, l’altro è volto alla determinazione dei corrispettivi da
porre a base di gara); - struttura (l’uno si contraddistingue per
un range di flessibilità, mentre l’altro
definisce un importo fisso) legittimando una ricostruzione
dicotomica nel senso che la prima fonte individua
il minimum corrispettivo inderogabile (il
compenso equo ribassabile sino al 60%), mentre la seconda individua
il corrispettivo equo da porre a base di gara.
In questo contesto, si ricorda quanto affermato dallo stesso
Consiglio di Stato in relazione allo Schema del correttivo al
Codice dei contratti secondo cui “nella materia dei contratti
pubblici non si applica la disciplina in materia di ‘equo
compenso delle prestazioni professionali’ di cui alla legge 21
aprile 2023, n. 49, vigendo la suesposta disciplina
speciale”.
La legge n. 49 del 2023 non trova dunque diretta e
generale applicazione al settore degli appalti pubblici;
le sue previsioni inerenti al rapporto con la pubblica
amministrazione vanno lette quali specificamente concernenti le
fattispecie dei «rapporti professionali aventi ad oggetto la
prestazione d’opera intellettuale di cui all’articolo 2230 del
codice civile» (art. 2, comma 1), e cioè i contratti d’opera
professionale ex art. 2230 Cod. civ. veri e
propri.
Corrispettivi non ribassabili: la scelta è legittima
Occorre a questo punto domandarsi se, nel contesto che si è
sopra delineato in ordine ai rapporti fra il Codice dei contratti
pubblici e la legge n. 49 del 2023 in materia di “equo compenso”,
sia possibile ammettere clausole di gara che
incidano sulla ribassabilità del corrispettivo, e
in specie sulla quota dello stesso rappresentata appunto dal
“compenso professionale” riconosciuto in relazione a prestazioni
d’opera intellettuale.
Ferma infatti, in termini generali, la non diretta applicabilità
della legge n. 49 del 2023 alle procedure per l’affidamento di
contratti pubblici, può accadere che sia l’amministrazione, per il
tramite della lex specialis, a fissare delle regole
al riguardo, limitando in tutto o in parte la
ribassabilità del corrispettivo in relazione alla componente del
compenso professionale.
Il che è avvenuto proprio nel caso di specie: è stato infatti il
disciplinare di gara a statuire positivamente che “i compensi
stabiliti per le prestazioni d’opera intellettuale attinenti ai
servizi di ingegneria e architettura, determinati in base agli
artt. 2 e ss. del suddetto D.M. [i.e., d.m. 17
giugno 2016, cit.], sono stati considerati inderogabili e non
ribassabili, riportati nella voce ‘compensi non soggetti a
ribasso’.
Una previsione del genere è legittima in quanto, seppure la
legge n. 49 del 2023 non trovi diretta applicazione
nell’ambito delle procedure di affidamento dei contratti pubblici,
nulla vieta che la stazione appaltante possa, nell’esercizio
della propria discrezionalità ed entro termini ragionevoli,
prevedere clausole di non ribassabilità del corrispettivo a fini di
tutela dell’equo compenso professionale.
Le conclusioni del Consiglio di Stato
Nel caso in esame, il disciplinare di gara ha scomposto
l’importo a base di gara in quattro distinte frazioni, di cui tre
non ribassabili (il compenso professionale, i costi di
manodopera e gli oneri di sicurezza), e l’ultima, corrispondente
alla quota del corrispettivo prevista dal d.m. 17 giugno 2016
diversa dal “compenso professionale” vero e proprio, suscettibile
di ribasso.
Il meccanismo così concepito costituisce nient’altro che una
modulazione del rapporto qualità/prezzo declinata in favore della
prima, prevedendo parziale non ribassabilità del secondo – sulla
scia di quanto ammesso, in misura totale, dall’art. 108, comma 5,
d.lgs. n. 36 del 2023 – per il perseguimento di finalità di equo
compenso (art. 8, comma 2, d.lgs. n. 36 del 2023).
Il modello così strutturato è pienamente legittimo, previsto
anche quale cd. “opzione 2” dal Bando tipo n. 2/2023 posto in
consultazione dall’Anac corrisponde sostanzialmente a quello
accolto dallo Schema di correttivo al comma
15-bis (oltreché 15-quater) dell’art.
41 d.lgs. n. 36 del 2023, confluito nell’art. 14, comma 1,
lett. i), d.lgs. n. 209 del 2024.
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