Bimba morta a Desenzano, chi è il medico che si è tolto la vita

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Non ha lasciato biglietti. Nessun messaggio per spiegare ai familiari perché, la mattina del 3 febbraio, si è tolto la vita a soli 38 anni, lanciandosi da un ponte a Cles, in Trentino. Ma dal cellulare del medico Giuseppe Perticone emergerebbero nuovi indizi: prima di compiere il tragico gesto protrebbe aver cercato su internet informazioni sul luogo dove, nel marzo del 2021, era scomparsa la collega Sara Pedri, togliendosi la vita proprio a una manciata di chilometri di distanza.

La morte della neonata

“Mio marito sta passando un momento di grave sconforto” aveva detto la moglie di Perticone ai carabinieri di Manerba, ai quali si era rivolta per denunciare la scomparsa del compagno. Pochi giorni prima, il 31 gennaio, il ginecologo aveva assistito al parto, avvenuto all’ospedale di Desenzano, di una neonata, poi morta poche ore dopo essere venuta al mondo. La piccola, in seguito a una grave ipossia (carenza di ossigeno) post-partum, era stata trasferita al Civile di Brescia, dov’è spirata. I genitori della bimba hanno sporto denuncia per fare luce su eventuali errori commessi durante il parto, in particolare sull’uso definito “improprio” di una ventosa.

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Una querela che ha portato la procura di Brescia ad avviare un’inchiesta per omicidio colposo. Come da prassi, la cartella della neonata è stata sequestrata e tutti i medici e le ostetriche presenti al momento del parto sono stati iscritti nel registro degli indagati. Dieci camici bianchi in tutto, tutti dipendenti dell’ospedale di Desenzano: tre ginecologi e altrettanti anestesisti, due medici pediatri e due ostetriche.

Le ricerche su Sara Pedri

Tra loro anche Giuseppe Perticone, che tre giorni più tardi verrà trovato senza vita a Cles, dopo l’allarme lanciato dalla moglie, anche lei medico a Desenzano (faceva parte della stessa equipe del ginecologo).

Il corpo del medico è stato trovato ai piedi del ponte di Castellaz, tra le pietre emerse dal lago di Santa Giustina, nello stesso punto dove quattro anni fa era stata rinvenuta la macchina di Sara Pedri. Un nome, quello della ginecologa trentina, che ricorrerebbe più volte nella cronologia delle ricerche fatte sul web da Perticone proprio il 31 gennaio, il giorno del decesso della bimba.

Il gesto estremo e le indagini

Anche sulla morte del medico che proprio ieri, martedì 11 febbraio, avrebbe compiuto 39 anni, è stato aperto un fascicolo, iscritto però nel registro degli atti non costituenti notizia di reato: servirà a capire cosa sia successo nei giorni che hanno preceduto la morte del ginecologo e ad accertare eventuali collegamenti con il decesso della neonata. La procura di Trento, guidata dall’ex procuratore aggiunto di Brescia Sandro Raimondi, ascolterà i colleghi e i conoscenti del 39enne.

Chi era Giuseppe Perticone

Un curriculum di tutto rispetto quello di Perticone: originario di Niscemi, in provincia di Caltanissetta, lavorava all’ospedale di Desenzano da pochi mesi: aveva timbrato il cartellino, per la prima volta, il primo settembre del 2024. Dopo la laurea, conseguita all’Università degli Studi di Perugia, si era specializzato in ostetricia e ginecologia all’ospedale Santa Maria della Misericordia della città umbra. Poi le esperienze a Bruxelles e in un ospedale dell’isola francese di Mayotte, al largo del Mozambico. Infine, il trasferimento al Nord: prima di approdare a Desenzano, aveva ricoperto il ruolo di dirigente medico all’ospedale di Silandro, in Trentino-Alto Adige.

Lo sconcerto dei colleghi

“Non mi capacito. Tu con la tua esperienza breve ma intensa, maturata all’estero e anche in un ospedale africano dove ne hai viste di tutti i colori”, scrive un ex collega di Perticone in un lungo e toccante post affidato ai social. “Penso a quanto siamo fragili. A come il nostro mestiere ci possa mettere emotivamente a durissima prova, specie in quelle circostanze imprevedibili dove ginecologo e neonatologo corrono la staffetta della vita, uno appresso all’altro, che ha come obiettivo finale il benessere del nascituro. Ma dove qualcosa può andare storto. Ora qualcuno che mai è entrato in una sala parto e che nulla sa di cosa significhi gestire quelle situazioni al limite tra la vita e la morte, dovrà decidere se tu e gli altri professionisti presenti abbiate o meno delle colpe. E disquisiranno a posteriori di cesarei negati e di ventose non indicate. A tavolino. Manco fosse la moviola di una inutile partita di calcio”, chiosa il medico, augurandosi che “questa tragedia accenda una buona volta i riflettori su un mestiere, quello di medico, in Italia bistrattato, sottopagato ed esposto a qualunque tipo di rivalsa da parte dei pazienti, a torto e a ragione”.

Un dramma che ha scosso profondamente anche chi non ha lavorato gomito a gomito con il 39enne.”Se la morte della neonata e il suicidio del collega fossero collegati – ha detto Filippo Anelli, presidente della Federazione italiana degli Ordini dei medici – saremmo oltre il burnout, a un conflitto di coscienza che avrebbe portato il collega a compiere l’estremo gesto nello sconforto di non essere riuscito a salvare una vita”.

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