Se il contratto di comodato non contiene l’espressa pattuizione di un termine finale al sopraggiungere del quale il comodatario dovrà adempiere all’obbligazione di restituire al comodante la cosa gratuitamente concessagli in godimento, si pone il problema di stabilire se detto termine possa comunque essere desunto dal particolare uso a cui il bene è stato convenzionalmente destinato ovvero se la fattispecie debba essere inquadrata nel diverso schema negoziale del comodato c.d. precario, caratterizzato dall’assenza di un limite di durata. Nel primo caso, il rapporto contrattuale è destinato a restare in piedi fino a quando il comodatario non si sia servito della res in conformità all’uso concordato, mentre il diritto del comodante di ottenere la restituzione anticipata è subordinato, ex art. 1809 c.c., alla sopravvenienza di un bisogno urgente e impreveduto; nel secondo, entra in gioco l’art. 1810 c.c., ove si stabilisce che il comodatario è tenuto a restituire il bene al comodante non appena questi lo richieda.
Il dilemma qualificatorio sopra descritto è stato affrontato dal Tribunale di Lucca, nella sentenza n. 88 del 31 gennaio 2025, con riguardo a una peculiare fattispecie: Tizio e Caia, proprietari di un immobile in pari quote, avevano concesso in comodato al figlio l’unità abitativa con contratto regolarmente registrato, privo dell’apposizione di un termine finale. Di fatto, l’immobile era poi stato abitato dal comodatario insieme alla moglie e ai figli minori della coppia, sicché, sopravvenuta la crisi coniugale, i coniugi, con accordo di separazione consensuale omologato dal Tribunale, avevano previsto l’assegnazione della casa alla moglie affinché continuasse ad abitarvi con i figli.
In seguito, anche i coniugi comodanti addivenivano alla separazione dinanzi all’Ufficiale dello Stato civile e, sul presupposto che tale circostanza integrasse gli estremi del bisogno urgente e impreveduto ex art. 1809 comma 2 c.c., chiedevano all’assegnataria l’immediata restituzione dell’immobile, invocando, in subordine, anche il diritto di recesso ad nutum ex art. 1810 c.c.
Per la tutela di tali diritti veniva avviato un procedimento giudiziale nel quale la nuora resisteva alle pretese avversarie, deducendo, tra l’altro, che gli ex suoceri avevano inscenato la separazione proprio allo scopo di simulare l’urgente bisogno che avrebbe giustificato la restituzione della casa, ma posto che, come si è detto, l’onere di allegazione e prova dei fatti di cui al comma 2 dell’art. 1809 c.c. grava sul comodante solo ove si assuma che il godimento della cosa è stato concesso in funzione della realizzazione di un determinato uso (circostanza, questa, non pacifica in causa), acquisiva priorità logica la risoluzione della questione inerente alla riconducibilità del contratto alla figura del comodato precario.
Il giudice di merito ha deciso la controversia facendo applicazione dell’art. 1810 c.c. Tale conclusione è suffragata dal richiamo all’orientamento della Suprema Corte secondo cui il contratto di comodato di un immobile stipulato dal genitore di uno dei coniugi senza limiti di durata è destinato a protrarsi sino al momento, non prevedibile, in cui cesseranno le esigenze abitative del nucleo familiare, solo se tale vincolo di destinazione sia stato impresso al bene concesso in godimento per effetto della concorde volontà delle parti. In tal caso, il rapporto contrattuale prosegue anche se, nel giudizio di separazione e divorzio instaurato per gestire la sopravvenuta crisi coniugale, sia pronunciato un provvedimento di assegnazione della casa familiare in favore del coniuge (nuora o genero del comodante) affidatario dei figli della coppia. Detto provvedimento non è, infatti, in grado di snaturare né di modificare il titolo di godimento dell’immobile, che continua a essere individuato nel contratto, il quale proseguirà sino alla cessazione delle esigenze abitative familiari, a meno che il comodante non sia in grado di provare la sopravvenienza di un urgente e impreveduto bisogno tale da giustificare la restituzione anticipata ex art. 1809 c.c. (Cass. SS. UU. nn. 20448/2014 e 13603/2004).
Sempre per la Cassazione, l’accertamento dell’esistenza del vincolo di destinazione in favore delle esigenze abitative familiari non può essere desunto sulla base della mera natura immobiliare del bene concesso in godimento dal comodante, ma implica un’indagine sulla comune intenzione delle parti, compiuta con l’analisi del regolamento contrattuale e dell’intero contesto in cui questo si è formato (Cass. n. 24838/2014).
Nel caso di specie, dalla suddetta indagine era emerso che la destinazione dell’immobile ad abitazione familiare era rimasta del tutto estranea all’accordo, che, per il vero, recava una pluralità di indici testuali attestanti la volontà dei comodanti di designare il figlio, singolarmente considerato, quale fruitore del bene concesso in godimento senza limiti di durata.
Il Tribunale di Lucca ha, pertanto, dichiarato l’ammissibilità del recesso ad nutum intimato dai comodanti, ritenendo, però, sussistenti i presupposti per la concessione di un termine, ai sensi dell’art. 1183 comma 1 c.c., in considerazione della presenza di figli minori all’interno dell’unità immobiliare e della palese necessità per l’assegnataria di reperire altra idonea sistemazione abitativa.
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