Confermato il principio secondo cui “la misura standard del risarcimento prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato negli uffici giudiziari di merito (nella specie, le tabelle milanesi) può essere incrementata dal Giudice, con motivazione analitica e non stereotipata, solo in presenza di conseguenze anomale o del tutto peculiari” (Corte di Cassazione, III civile, ordinanza 7 febbraio 2025, n. 3114).
Il caso
La singolare vicenda riguarda lo scontro tra una ambulanza e un autoveicolo. L’ambulanza giunta a tutta velocità ad una intersezione stradale, non ha rispettato il rosso semaforico e ha investito violentemente una Fiat Seicento.
La trasportata cita in giudizio la Groupama Assicurazioni SpA per sentirne pronunciare la condanna al risarcimento dei danni, detratto l’acconto già versato prima della causa. Il Tribunale di Bologna accoglie la domanda condannando la compagnia al risarcimento del danno. La danneggiata propone appello sul quantum, chiedendo una misura maggiore di personalizzazione del risarcimento.
La Corte di Bologna (sent. n. 1926 del 6/7/2020) ha ritenuto che la maggiorazione del risarcimento, riconosciuta dal Tribunale nel 5%, fosse inadeguata in ragione della non scarsa incidenza dei pregiudizi conseguenti alle lesioni e alla permanenza di mezzi di sintesi comportanti maggiore affaticamento e penosità nello svolgimento dell’attività lavorativa. Per l’effetto ha riconosciuto la personalizzazione nella misura del 10%, mentre ha escluso ulteriori pregiudizi diversi dal danno da cenestesi lavorativa.
L’aumento della personalizzazione del risarcimento
La donna si rivolge alla Corte di Cassazione e lamenta che la Corte avrebbe “contenuto” l’aumento della personalizzazione del risarcimento, sostanzialmente valutando che il decorso delle conseguenze mediche delle lesioni rientrasse nell’id quod plerumque accidit e non ha accordato alcun peso, pur in presenza di specifiche allegazioni, presunzioni e prove specifiche […] sia a quella sofferenza interiore o patema d’animo o perturbamento psichico transeunte, sia alla lesione della dignità o integrità morale, intese queste ultime, quali massime espressione della personalità subite dall’attrice a seguito del sinistro stradale.
Tuttavia, la censura è posta su un piano meramente generico perché non specifica quali sarebbero le allegazioni, presunzioni e prove fatte valere in sede di merito, che avrebbero dovuto condurre il secondo Giudice ad una liquidazione maggiore.
La misura standard del risarcimento
La ricorrente nel ricorso asserisce di avere prospettato “profili pregiudizievoli ulteriori e diversi da quelli insiti nel danno biologico”, ma, in realtà fa riferimento all’intervento chirurgico subito in data 8 gennaio 2008 ed al decorso riabilitativo con obbligo di portare il busto dal 12 gennaio 2008 e fino alla fine di marzo dello stesso anno, nonché all’avere prospettato che sarebbe stato astrattamente configurabile il reato di lesioni con conseguente riconoscimento della componente relativa alla sofferenza già nota come danno morale, ma tuttavia senza argomentare perché tali deduzioni sarebbero state idonee a giustificare di più di quello che ha riconosciuto la Corte di merito a titolo di liquidazione del danno e personalizzazione del 10%.
Ad ogni modo, la pronuncia della Corte di Bologna è conforme al consolidato indirizzo secondo cui “In tema di danno non patrimoniale da lesione della salute, la misura standard del risarcimento prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato negli uffici giudiziari di merito (nella specie, le tabelle milanesi) può essere incrementata dal Giudice, con motivazione analitica e non stereotipata, solo in presenza di conseguenze anomale o del tutto peculiari (tempestivamente allegate e provate dal danneggiato), mentre le conseguenze ordinariamente derivanti da pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone
In conclusione, il ricorso viene dichiarato inammissibile.
Avv. Emanuela Foligno
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