Sono mesi ormai che su web e giornali si rincorrono gli allarmi sulla siccità in Sicilia, con politici ed esperti che parlano come se l’isola non avesse mai vissuto una stagione arida come quella dello scorso anno. Niente di più falso. La terra di trinacria è sempre stata soggetta a fenomeni di questo tipo. E a ricordarcelo sono gli annali della storia che raccontano di episodi di siccità molto gravi dove la mancanza di pioggia provocava vere e proprie carestie ed era vissuta come punizione divina alla quale porre rimedio con penitenze e preghiere. Ma andiamo per ordine.
A dimostrazione del fatto che gli eventi dello scorso anno sono tutt’altro che eccezionali possiamo iniziare col dire che le estati più siccitose di cui abbiamo memoria risalgono addirittura al XVI secolo. A quei tempi la Sicilia sperimentò alcune delle sue stagioni più asciutte a memoria d’uomo nonostante ci trovassimo in piena PEG (Piccola Era Glaciale). E anche se allora non esistevano termometri, il caldo e la mancanza d’acqua dovettero raggiungere davvero picchi notevoli viste le conseguenze raccontate dai cronisti dell’epoca. Sappiamo in particolare che dal tardo 400 l’isola visse una quindicina di estati aridissime tanto che la mancanza di raccolti ebbe come conseguenza la terribile crisi economica del 1511. Gli storici dell’epoca testimoniano che gli animali morivano di sete, le colture non crescevano e la gente affamata prendeva le armi per assicurarsi le poche fonti d’acqua ancora disponibili. Si racconta anche che il poco frumento raccolto non potesse essere trasformato in farina dal momento che i fiumi in secca non permettevano il funzionamento dei mulini. Un copione destinato a ripetersi nel 1522 quando non piovve per tutto l’inverno e con la bella stagione il sole a picco inaridì i campi. E mentre le sementi morivano, i contadini disperati si dettero a veri e propri colpi di mano pur di procurarsi un pezzo di pane da mettere sotto i denti. Tanto che a Messina la folla arrivò a sequestrare una nave carica di grano per impossessarsi del prezioso carico. Ma il XVI secolo aveva ancora delle sorprese in serbo. Nel 1540 la siccità raggiunse livelli eccezionali. E questa volta non solo in Sicilia. Basti pensare che nel nord Italia fiumi e pozzi seccarono, “De anno 1539, a principio mensis Novembris usque ad diem 5 Aprilis anni 1540, non pluit” scrisse Giovanni Maria De Ferrari raccontando di 6 terribili mesi nei quali non cadde una singola goccia d’acqua dal cielo.
Il XVII secolo non andò meglio. E anche in questo caso la siccità portò con se morte e carestia. Si pensi che a Enna tra il 1646 e il 1648, anni in cui la mancanza di piogge aveva ridotto al minimo i raccolti, furono addirittura 6mila i cittadini a perdere la vita per la fame. È il cronista Giovanni Di Blasi nella sua “Storia cronologia dei viceré luogotenenti e presidenti del regno di Sicilia” del 1842 a ricordarci come la mancanza d’acqua nel 1647 colpì la stessa Palermo. “Dopo questo secondo seminamento si serrò per modo il cielo, e fu così avaro delle sue acque, che cessò ogni aspettazione di una copiosa messe” racconta Di Blasi. “Si sentì allora tutto l’orrore della vicina micidiale fame, e questo crebbe dal vedersi recisa ogni speme di essere soccorsi dalla vicina Calabria, che sofferti avea gli stessi disastri”. E ascoltando le sue parole sembra di rivivere quei momenti di disperazione nei quali nobili e contadini guardavano il cielo allo tesso modo, raccomandandosi a Dio affinché donasse un po’ d’acqua alla terra arida di Sicilia.
E poi venne il terribile 1893, considerato da molti l’annata più siccitosa della storia. La Sicilia sperimentò da aprile in poi mesi nei quali la gente letteralmente impazzì per la mancanza d’acqua. Nelle chiese di tutta l’isola le candele rimanevano accese giorno e notte e la gente pregava incessantemente perché finalmente arrivasse la pioggia.
A Nicosia si racconta che durante una processione i penitenti cominciarono a colpirsi con fruste di ferro, facendo rivivere gli stessi momenti di fanatismo che avevano caratterizzato l’Europa durante la peste nera del trecento. Ma nonostante incenso e digiuni il clielo continuava a non donare una singola goccia d’acqua. Sembra di vederle quelle persone strette l’un l’altra nelle chiese a pregare, alla luce fioca dei ceri a ripetere incessantemente rosari uno dopo l’altro. Ma nonostante tutto il miracolo non avvenne e fu così che in tutta l’isola si cominciarono a minacciare quelle stesse statue di santi davanti alle quali ci si era genuflessi per secoli. A Palermo la statua di San Giuseppe venne scaricata in un giardino perché vedesse con i propri occhi quanto fosse arida la terra e provvedesse. A Licata invece la statua del santo patrono sant’Angelo venne minacciata al grido di “O fai chioviri o t’affucamu!”.
Per quanto riguarda tempi più recenti potremmo raccontare di altre stagioni eccezionalmente secche come quelle degli anni 1954, 1970, 1977, 1989 e 2002. E tutto ciò a sostegno della tesi che quello dello scorso anno non è affatto stato un evento estremo ma semplicemente un episodio di siccità vissuto già molte volte dalla Sicilia. E questo in momenti in cui l’uomo non aveva nessun potere di modificare il clima con le sue azioni.
La verità è che come i ‘corsi e ricorsi storici’ di Gianbattista Vico, anche il clima ha le sue fasi che si alternano nel tempo da milioni di anni senza che l’uomo possa minimamente intervenire. Ed è proprio di fronte a questa evidenza che nasce il dubbio. Forse – si potrebbe pensare – le cassandre del catastrofismo climatico ormai alzano la voce non solo a sproposito ma anche con secondi fini. Tanto che si potrebbe sospettare perfino l’utilizzo dei capricci del meteo come capro espiatorio per coprire le inefficienze della politica.
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