Dazi sulla Liguria, porti e imprese in allarme. Si rischiano danni per 3,5 miliardi

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Genova – Il rischio, anche per le aziende liguri, è enorme. E il danno economico potrebbe sfiorare i 3,5 miliardi di euro, all’incirca poco più di 3.300 milioni di euro all’anno. I dazi annunciati dal nuovo presidente americano Donald Trump sulle esportazioni dirette negli Stati Uniti, in Liguria, rischiano di colpire pesantemente le imprese che operano principalmente nel settore portuale e nel comparto marittimo, che lavorano con i prodotti petroliferi, l’acciaio e l’alluminio e pure il ramo chimico.

La stima arriva da una elaborazione fatta su dati Istat dalla Cgia di Mestre in base a quelle che sono stati i dati dell’export negli anni 2022-2023 dalla Liguria agli Usa. Tra gli ambienti liguri, e non solo, del mondo dello shipping la fibrillazione è già iniziata da qualche settimana visto che quello regionale rappresenta il primo sistema portuale italiano sia per importanza ma anche per merce movimentata via nave all’estero e diretta negli Stati Uniti.

Non sono in pochi, tuttavia, gli operano che pensano che alla fine Trump possa fare un passo indietro e decidere di non applicare i dazi annunciati visto che le imposte potrebbero in alcuni casi rappresentare un problema per lo stesso sistema economico a stelle e strisce e i consumi statunitensi.

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«È innegabile che qualsiasi misura protezionistica, inclusi i dazi, potenzialmente rappresenti una minaccia per il sistema dei porti liguri, non fosse altro perché gli Stati Uniti rappresentano la seconda destinazione dell’export italiano, la prima al di fuori dell’Europa, e questa merce viaggia per la larga parte via mare, transitando anzitutto attraverso il porto di Genova – analizza Stefano Messina, presidente di Assarmatori -. Tuttavia, non abbiamo ancora un quadro chiaro e definito e la situazione mi sembra in costante divenire sotto molteplici punti di vista: prima di lanciare allarmi sull’impatto di queste misure credo sia opportuno attendere e comprenderne appieno la portata, auspicando che i rapporti diplomatici intessuti dal nostro governo possano essere d’aiuto per l’industria e anche per i nostri porti».

Secondo Gianluca Croce, numero uno degli agenti marittimi genovesi, anche «il porto di Genova, come tutti i principali porti europei, si trova nella scomoda posizione fra l’incudine Cina e il martello Usa di una guerra commerciale. Tuttavia – aggiunge il presidente di Assagenti – sarebbe azzardato oggi formulare previsioni sull’impatto che questa guerra commerciale e i dazi Usa potrebbero sortire sull’andamento dei traffici del nostro porto. Personalmente sono convinto, e i fatti lo stanno dimostrando, che l’offensiva dell’amministrazione Usa sia finalizzata a spingere gli altri blocchi commerciali a sedersi a un tavolo di trattative per negoziare un nuovo assetto commerciale globale».

Nello specifico, per l’economia ligure, i danni potrebbero aggirarsi intorno a oltre 2.100 milioni di euro per il comparto portuale, 650 milioni di euro per il mondo dell’acciaio, dell’alluminio e dei prodotti petroliferi e oltre 80 milioni di euro per il settore chimico.

Paolo Pessina, presidente di Federagenti, l’associazione che rappresenta le agenzie marittime italiane, al momento è cauto dicendo che per ora «è prematuro formulare previsioni sugli effetti che eventuali dazi Usa potrebbero sortire sull’economia dei porti liguri.

Solo fra settimane si potrà valutare credibilmente se i volumi di traffico da e per i porti liguri avranno subito variazioni sensibili imputabili ai dazi. Oggi dal mondo dell’industria italiana e degli esportatori non giungono segnali di particolare allarme, anche perché l’impressione dominante è quella di un’applicazione differenziata dei dazi a seconda dei Paesi e delle tipologie di merce».

Tra chi pensa che alla fine il nuovo presidente americano possa fare marcia indietro c’è Augusto Cosulich, presidente e amministratore delegato del gruppo Fratelli Cosulich. «Questa operazione che sta facendo allarmare tutti – dice – rischia di avere ripercussioni negative in primis per i consumi interni degli Stati Uniti visto che se parliamo di alcuni prodotti che vengono esportati dall’Italia, come ad esempio il parmigiano, negli Usa non ci sono valide alternative alle nostre eccellenze e l’apprezzamento per il made in Italy è molto alto. Motivo per cui penso che Trump sarà costretto a tornare sui propri passi». —



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