Agenzia Entrate: : lavoratori impatriati – periodo di pregressa permanenza all’estero

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L’Agenzia delle Entrate, con la risposta n. 22/E del 7 febbraio 2025, fornisce alcuni chiarimenti in merito al beneficio del regime agevolativo di cui all’articolo 5 del decreto legislativo 27 dicembre 2023, n. 209, a decorrere dall’anno d’imposta 2024 e, in particolare, «se l’emissione delle fatture ad un unico cliente estero che, negli anni precedenti è stato il datore di lavoro, sia un ostacolo alla fruizione del regime degli impatriati». Inoltre, se «la mancata iscrizione all’AIRE sostituita dalla residenza in nazioni estere con le quali l’Italia intrattiene una convenzione in materia di doppia imposizione sia sufficiente per fruire delle agevolazioni».

 

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La risposta dell’Agenzia delle Entrate

L’articolo 5 del decreto legislativo 27 dicembre 2023, n. 209 (in vigore dal       29 dicembre 2023), disciplina il ”nuovo regime agevolativo a favore dei lavoratori impatriati” (di seguito nuovo regime), che si applica ai contribuenti che trasferiscono, dal periodo d’imposta 2024, la residenza in Italia ai sensi dell’articolo 2 del testo unico delle imposte sui redditi di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR).

Il comma 1 del citato articolo 5 dispone che «i redditi di lavoro dipendente, i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, i redditi di lavoro autonomo derivanti dall’esercizio di arti e professioni prodotti in Italia da lavoratori che trasferiscono la residenza nel territorio dello Stato ai sensi dell’articolo 2 del testo unico delle imposte sui redditi di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, entro il limite annuo di 600.000 euro concorrono alla formazione del reddito complessivo limitatamente al 50 per cento del loro ammontare al ricorrere delle seguenti condizioni:

  • i lavoratori si impegnano a risiedere fiscalmente in Italia per un periodo di tempo corrispondente a quello di cui al comma 3, secondo periodo;
  • i lavoratori non sono stati fiscalmente residenti in Italia nei tre periodi d’imposta precedenti il loro Se il lavoratore presta l’attività lavorativa nel territorio dello Stato in favore dello stesso soggetto presso il quale è stato impiegato all’estero prima del trasferimento oppure in favore di un soggetto appartenente al suo stesso gruppo, il requisito minimo di permanenza all’estero è di:
    • sei periodi d’imposta, se il lavoratore non è stato in precedenza impiegato in Italia in favore dello stesso soggetto oppure di un soggetto appartenente al suo stesso gruppo;
    • sette periodi d’imposta, se il lavoratore, prima del suo trasferimento all’estero, è stato impiegato in Italia in favore dello stesso soggetto oppure di un soggetto appartenente al suo stesso gruppo;
  • l’attività lavorativa è prestata per la maggior parte del periodo d’imposta nel territorio dello Stato;
  • i lavoratori sono in possesso dei requisiti di elevata qualificazione o specializzazione come definiti dal decreto legislativo 28 giugno 2012, n. 108 e dal decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206».

La norma agevolativa riguarda esclusivamente i redditi ivi indicati che, «entro  il limite annuo di 600.000 euro», concorrono alla formazione del reddito complessivo, limitatamente al 50 per cento del loro ammontare, senza che sia necessario il ragguaglio ad anno, anche nel caso in cui il trasferimento della residenza fiscale sia avvenuto nel corso del periodo d’imposta.

La base imponibile «è ridotta al 40 per cento nei seguenti casi: 

  • il lavoratore si trasferisce in Italia con un figlio minore;
  • in caso di nascita di un figlio ovvero di adozione di un minore di età durante il periodo di fruizione del regime di cui al presente In tale caso il beneficio di cui al presente comma è fruito a partire dal periodo d’imposta in corso al momento della nascita o dell’adozione e per il tempo residuo di fruibilità dell’agevolazione […]».

La riduzione al 40 per cento della base imponibile è subordinata alla condizione che «durante il periodo di fruizione del regime da parte del lavoratore, il figlio minore di età, ovvero il minore adottato, sia residente nel territorio dello Stato».

La circostanza che, successivamente al rientro, i figli diventino maggiorenni non determina la perdita del maggiore beneficio fiscale fino al termine di detto periodo agevolato.

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Con riferimento al primo quesito posto dall’Istante, ovvero «se l’emissione delle fatture ad un unico cliente estero che, negli anni precedenti è stato il datore di lavoro, sia un ostacolo alla fruizione del regime degli impatriati», si osserva quanto segue.

Il nuovo regime può essere applicato, nel rispetto delle condizioni richieste, anche nell’ipotesi in cui il lavoratore si trasferisca in Italia per prestare l’attività lavorativa nel territorio dello Stato in favore del medesimo soggetto (residente o non residente in Italia), presso il quale è stato impiegato all’estero prima del predetto trasferimento oppure in favore di un soggetto «appartenente al suo stesso gruppo».

Nella predetta ipotesi in cui il lavoratore svolga in Italia l’attività lavorativa a favore dello stesso soggetto (datore/gruppo) per il quale lavorava all’estero, la norma prevede l’allungamento del periodo minimo di pregressa permanenza all’estero che, da tre, aumenta a sei o sette anni, a seconda che si tratti o meno del medesimo soggetto (datore/gruppo) presso cui era svolta l’attività lavorativa in Italia prima del trasferimento all’estero.

La norma non specifica la tipologia di rapporto contrattuale che deve intercorrere tra i soggetti; dunque, il periodo minimo di pregressa permanenza all’estero è aumentato a sei o sette anni in tutte le ipotesi in cui il contribuente (lavoratore dipendente, assimilato o lavoratore autonomo) al rientro in Italia presti l’attività lavorativa per il medesimo soggetto (datore/gruppo) per il quale ha lavorato all’estero. Pertanto, ad esempio, per il contribuente che al rientro in Italia intraprende un’attività professionale e rende le proprie prestazioni professionali anche nei confronti del suo precedente datore di lavoro estero, il periodo minimo di permanenza all’estero è di sei periodi d’imposta (ovvero di sette periodi d’imposta qualora sia stato impiegato in Italia, prima del trasferimento, per lo stesso datore di lavoro).

Ciò premesso, nel caso in esame, l’Istante che al rientro in Italia presterà l’attività professionale con la stessa società per la quale aveva già lavorato all’estero, al ricorrere di tutti i requisiti previsti dalla norma, potrà beneficiare del nuovo regime agevolativo, a partire dal periodo d’imposta di rientro in Italia e per i quattro successivi considerato che dichiara di essere stata residente all’estero per almeno 6 anni.

Con riferimento al secondo quesito, «se la mancata iscrizione all’AIRE sostituita dalla residenza in nazioni estere con le quali l’Italia intrattiene una convenzione in materia di doppia imposizione (3 anni in Belgio 2018­2020 e 4 anni in Svizzera 2020­2024) sia sufficiente per fruire delle agevolazioni», l’Istante non pone un dubbio in merito alla corretta interpretazione della disposizione contenuta nel sopracitato articolo 5 del decreto legislativo 27 dicembre 2023, n. 209 (in vigore dal 29 dicembre 2023), che disciplina il nuovo regime agevolativo a favore dei lavoratori impatriati, bensì chiede la sussistenza dei presupposti per stabilire l’effettiva residenza fiscale.

Al riguardo, si fa presente che l’articolo 11,  comma 1, lettera a), della legge    27 luglio 2000, n. 212, come sostituito prima dall’articolo 1, del decreto legislativo

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24 settembre 2015, n. 156, e poi dall’articolo 1, comma 1, lettera n), del decreto legislativo 30 dicembre 2023, n. 219, dispone che «il contribuente può interpellare l’Amministrazione finanziaria per ottenere una risposta riguardante fattispecie concrete e personali relativamente alla: 

  • applicazione delle disposizioni tributarie, quando vi sono condizioni di obiettiva incertezza sulla loro corretta interpretazione».

Avvalendosi dell’istituto dell’interpello, disciplinato dal predetto articolo 11 e dal provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate del 4 gennaio 2016, nonché dalla circolare 1° aprile 2016, n. 9/E, il contribuente può a tal fine presentare un’apposita istanza che, a pena di inammissibilità, deve illustrare, in modo circostanziato e specifico, il caso concreto e personale da trattare ai fini tributari sul quale sussistono concrete condizioni di incertezza.

L’obiettiva incertezza della fattispecie oggetto di interpello è un requisito immanente dell’istituto in esame.

Sul punto, si rileva inoltre che, come chiarito con la citata circolare n. 33/E     del 2020 (cfr. paragrafo 1.1 Requisiti soggettivi ed oggettivi), «l’accesso al regime agevolato non è subordinato alla presentazione, da parte del contribuente, di istanza di interpello ai sensi dello Statuto dei diritti del contribuente. Si rileva, in merito, che è parimenti preclusa la possibilità di presentare istanza di interpello, laddove le questioni poste riguardino la sussistenza dei presupposti per stabilire l’effettiva residenza fiscale, nonché la verifica dei requisiti necessari ai fini dell’accesso al regime speciale in esame, posto che tali verifiche implicano valutazioni di fatto non esperibili in sede di interpello.».

Al riguardo, occorre considerare che esula dall’istituto dell’interpello di cui all’articolo 11 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente) la verifica dei requisiti necessari ai fini dell’accesso al nuovo regime nonché la sussistenza dei presupposti per stabilire l’effettiva residenza fiscale, atteso che comportano verifiche fattuali non rientranti nell’ambito applicativo dell’istituto dell’interpello di cui al citato articolo 11 dello Statuto.

Come precisato nella circolare n. 9/E del 1° aprile 2016, infatti, il legislatore ha inteso escludere dall’area dell’interpello tutte quelle ipotesi caratterizzate: «a)”da una spiccata ed ineliminabile rilevanza dei profili fattuali riscontrabili dall’amministrazione finanziaria ma solo in sede di accertamento; si tratta, in altre parole, di tutte quelle fattispecie in cui rileva il mero appuramento del fatto (cd. accertamenti di fatto)”.

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Per quanto concerne le ipotesi sub a), si pensi anche ai problemi collegati   alla residenza delle persone fisiche (art. 2 TUIR) e dei soggetti diversi (art. 73) rispetto ai quali operano nel sistema sia disposizioni che stabiliscono i requisiti per la qualificazione del soggetto come residente nel territorio dello Stato (art. 2, comma 2, TUIR e articolo 73, comma 3, primo periodo, TUIR), sia disposizioni che introducono specifiche presunzioni di residenza, suscettibili di prova contraria (art. 2, comma 2 bis, e  art. 73, comma 3, secondo periodo e comma 5 bis).

Data la stretta connessione delle une con le altre e la rilevanza che assumono ­ ai fini della determinazione della residenza ­ elementi meramente fattuali di cui è essenziale verificare la veridicità e completezza (possibili solo in sede di accertamento) si ritiene che entrambe le ipotesi siano escluse dall’area degli interpelli in esame». Per i suesposti motivi, il secondo quesito è inammissibile.

 

Fonte: Agenzia Entrate



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