Ha attraversato le problematiche della tossicodipendenza e dell’antiproibizionismo, della salute mentale e del bio-potere, dello stato di diritto e della reclusione. Il tutto filtrato dallo sguardo della differenza femminile, fedele alla ribelle matrice del suo impegno personale
Quando una persona muore si dice, pudicamente, che è scomparsa. È vero, ma non è del tutto esatto perché le persone che sono state generose di sé, congedandosi dalla vita, non scompaiono. Lasciano, semmai, orme profonde del loro cammino che molti compagni di strada continueranno a percorrere e che tanti altri, prima o poi, incroceranno saltando di carreggiata. Vale certamente per Grazia Zuffa, che in una manciata di giorni terribili – tra giovedì e domenica scorsa – è stata strappata alla vita, tradita da un cuore crepatosi all’improvviso. Il suo cammino racconta molto di Lei, perché la biografia di ciascuno si rispecchia nelle cose di cui ci occupiamo e nelle persone di cui ci preoccupiamo.
La biografia di Grazia è stata ritmata dallo studio sul campo, dall’insegnamento universitario, dall’attività pubblicistica, dall’impegno istituzionale e, soprattutto, da una rara capacità di azione politica trasformativa. Ha scelto di attraversare le problematiche della tossicodipendenza e dell’antiproibizionismo, della salute mentale e del bio-potere, dello stato di diritto e della reclusione (negli istituti di pena, negli ospedali psichiatrici giudiziari, nella prigione di un corpo malato): il tutto filtrato dallo sguardo della differenza femminile, fedele alla ribelle matrice del suo impegno personale. Sono trincee per lo più abbandonate da chi, istituzionalmente, avrebbe invece il dovere di presidiarle. Tocca, allora, all’energia generatrice e alla tenace resistenza di persone come Grazia prendersene cura, facendone terreno privilegiato di battaglia politica.
È ciò che Lei ha fatto sempre. Dai banchi dell’opposizione parlamentare (è stata senatrice per due legislature, la X e la XI, nelle fila del PCI prima, del PDS poi). Scrivendo sulle colonne di Fuoriluogo (a lungo inserto mensile del quotidiano il manifesto, da lei creato e diretto per oltre un decennio). Attraverso l’associazione antiproibizionista Forum Droghe (di cui è stata per molti anni presidente). Mediante l’insegnamento universitario, nell’Ateneo di Firenze, di una disciplina ad hoc, Psicologia delle tossicodipendenze. Pubblicando libri preziosi e dallo sguardo originale (sul materno, sulla riduzione del danno correlato alle droghe, sul loro consumo controllato, sulla reclusione femminile), preferibilmente pensati e scritti a quattro mani (con Maria Luisa Boccia, Patrizia Meringolo, Susanna Ronconi), in una rinnovata e feconda alleanza femminile. Arricchendo, con i suoi saperi e le sue esperienze, la non facile dialettica interna al Comitato Nazionale per la Bioetica (di cui era componente fin dal 2007) e, prima ancora, del Comitato Scientifico Nazionale sulle Droghe e le Dipendenze (istituito, nel 2007-2008, dal Ministero della Solidarietà Sociale). Fino a guidare l’ultima e – probabilmente – più preziosa creatura, concepita insieme a Franco Corleone: La Società della Ragione, associazione di advocacy nel campo della giustizia, del carcere, dei diritti (di cui è stata presidente dal 2018 al gennaio scorso).
Chi ha camminato con Grazia lungo questi territori accidentati – in queste ore di sgomento e incredulità , precipitate in un grande lutto collettivo – la trattiene in vita attraverso vividi ricordi. Scorrendoli, rivelano una cifra comune: una profonda e autentica gratitudine verso quella che è stata «un’amica, una maestra, una guida, una compagna di lotte». Ho avuto anch’io il privilegio intellettuale di conoscere Grazia attraverso uno dei miei fratelli maggiori, Franco Corleone: tra le tante altre cose, anche di questa gli sono debitore. «Liberale perché ho studiato, radicale perché ho capito», il mio percorso – se posso dire – è più simile a quello di Franco che a quello di Grazia. Per di più appartengo a una leva diversa dalla loro. Condizioni, entrambe, che – in politica, ma non solo – preludono a relazioni asimmetriche e competitive. E invece, in tutte le battaglie di scopo in cui sono stato coinvolto da La Società della Ragione, anch’io ho felicemente sperimentato la capacità che aveva Grazia di creare ponti, anche generazionali. E ho potuto così avvalermi generosamente delle sue analisi, capaci di approdi inattesi.
Ricordo solo il più recente, a mo’ di esemplificazione. Nel riflettere sulla vulnerabilità delle persone, Grazia osservava le cose con uno sguardo laterale. Guardava così anche alla giurisprudenza costituzionale in tema di fine vita (sentt. nn.242/2019, 50/2022, 135/2024) dove prevale un riflesso automatico: proteggere le persone malate da scelte individuali ritenute contrarie al loro bene e guidarle nel loro stesso interesse, anche al prezzo di limitarne l’autonoma volontà . In questa forma di paternalismo giuridico, Grazia ha avuto l’acutezza di segnalare un’eterogenei dei fini, che sfugge colpevolmente ai giudici costituzionali. Limitare o negare l’autonomia del soggetto perché fragile – scriveva su l’Unità del 6 luglio 2024 – si traduce in un’«inaccettabile sofferenza aggiuntiva per il paziente» che «al dolore del corpo, al dolore psicologico, alla difficoltà di elaborare la morte» vede aggiungersi anche «una diminuzione di sé, una minore considerazione e uno scarso rispetto della propria autonomia di scelta (che rimane spesso come unica capacità residua in un corpo afflitto)». Rigorosi. Affilati. Spiazzanti. Di questo materiale erano fatti i pensieri di Grazia.
Nella giornata odierna, dalle ore 10.00 alle ore 18.00, sarà possibile portarle un ultimo saluto alla camera ardente allestita in suo onore, alla Sala Caduti di Nassiriya del Senato (Piazza Madama, 2). Sarà un congedo alla presenza di tante e di tanti, come Grazia merita per quanto ha saputo pensare, scrivere, insegnare, incarnare.
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