Sopravvisse in prigionia, i figli: «Lo aiutò una famiglia, vorremmo incontrarla»

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Montecchia di Crosara

Carbognin venne deportato in un campo di lavoro in Germania e i figli stanno cercando gli Schröder, i tedeschi che lo salvarono

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Il prefetto con i quattro figli di Carbognin e la sindaca di Illasi




Il prefetto con i quattro figli di Carbognin e la sindaca di Illasi



Il prefetto con i quattro figli di Carbognin e la sindaca di Illasi

Sopravvissuto grazie al rispetto che «i padroni» hanno sempre avuto nei suoi riguardi: ottant’anni dopo i fatti i figli di Massimo Carbognin, deportato in un campo di lavoro in Germania, si mettono alla ricerca dei discendenti della famiglia Schröder di Süstedt, in Bassa Sassonia.

 «Nostro padre sopravvisse a 22 mesi di prigionia perché le persone per cui fu costretto a lavorare lo trattarono bene: vorremmo dire loro grazie». È un pensiero a quattro voci quello che unisce Luigina, Giuseppe, Gianfranco e Graziella Carbognin, i quattro figli del sopravvissuto di Montecchia di Crosara che il 27 gennaio hanno ritirato dalle mani del prefetto Demetrio Martino la Medaglia d’onore degli ex deportati richiesta per lui dalla più giovane dei suoi figli. 

C’era, accanto a loro, Emanuela Ruffo, sindaco di Illasi perché la prassi prevede la presenza del sindaco del luogo di residenza di chi avanza la richiesta, in questo caso Graziella Carbognin. A richiedere la benemerenza Graziella è arrivata un paio d’anni fa dopo averne scoperto, casualmente, l’esistenza.

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«Avevo già la documentazione necessaria perché qualche anno prima, all’Archivio di Stato di Verona, avevo chiesto una copia del suo foglio matricolare. Mio padre non raccontò nulla di quel lungo e tribolato periodo della sua vita», racconta Graziella Carbognin. «Si limitò a dirci che si era salvato grazie alla famiglia da cui venne mandato a lavorare». 

La storia

Era nato a Montecchia nel 1922 e l’8 settembre 1943 si trovava a Ugovizza come Guardia alla frontiera (Gaf): solo l’indomani. «Dopo una giornata di accanita resistenza, siamo stati sopraffatti dai tedeschi». Sta scritto nel verbale con cui, l’11 settembre 1945, la Commissione interrogatrice reduci dalla prigionia ascoltò la sua testimonianza. Secondo Graziella forse il padre fu uno dei 95 superstiti della Battaglia di Tarvisio che si consumò alla Caserma Italia dove 300 Guardie alla frontiera fronteggiarono per sei ore un durissimo attacco tedesco. 

Dopo la cattura

Stando alla testimonianza, dopo la cattura Carbognin venne avviato prima al campo di concentramento XI B (quello di Fallingbostel) e poi al campo X/C (Nienburg/Weser ndr) dove rimase fino alla liberazione avvenuta l’8 aprile 1945 ad opera delle truppe americane. Una prigionia lunga in cui, come testimoniò, «venni adibito a lavori di manovalanza vari», con trattamento «duro, frequenti bastonature, vitto insufficiente e pessimo». La data successiva sul foglio matricolare è quella del 23 luglio 1945, quando dal Brennero arriva al Centro alloggio di Pescantina ritrovando la sua libertà. Raggiunta la casa di via Rio Albo, a Montecchia, solo quattro mesi più tardi coronerà il suo sogno d’amore prendendo in sposa la coetanea Rosa Gonzato. 

A Graziella, però, la scelta del padre di condividere con i suoi cari solo ciò che gli aveva fatto mantenere fiducia nell’essere umano, ciò che parlava di vita e non di morte, risuonava come un invito a cercare ancora. «E così ho fatto, rivolgendomi anche se con poche speranze all’Archivio Arolsen». Si chiama così l’archivio internazionale che a Bad Arolsen, in Germania, custodisce circa 30 milioni di documenti sulla persecuzione nazista. 

Dopo qualche mese la risposta. «Ringraziamo infinitamente gli archivisti», dice Graziella, «perché le generalità di nostro padre erano state trascritte male e se non si fosse cercata anche la data di nascita non ne saremmo venuti a capo». Massimo Carbognin era diventato Macino Carbonin, prigioniero italiano di cui è documentato il periodo di lavoro coatto dalla famiglia Schröder fino al 30 giugno del 1945. «Joh. Schröder, Süstedt 9a»: questa l’annotazione che rimanda a Süstedt, frazione di Bruchhausen-Vilsen, nella Bassa Sassonia. Macabra ironia: per il lavoro coatto pagato 18 marchi mensili quando era al campo e 30 da «operaio civile» Carbognin fu assicurato alla cassa malattia statale del Distretto di Hoya.





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