Una trasmissione su Rai Radio2 ci ricorda tutti i giorni nel suo titolo (Non è un paese per giovani) che il nostro Paese è caratterizzato da una demografia che presenta, tra altro, due attributi: una vita media lunga e in continuo aumento, un elevato numero di soggetti che (al di là del valore numerico dell’età che usiamo per identificarli) qualifichiamo con il termine di “anziani”.
Questi due attributi portano naturalmente con sé un importante aumento della domanda di servizi sanitari e sociosanitari di molteplici tipologie, ma l’anzianità si accompagna spesso anche con una ridotta mobilità (che per molti diventa addirittura non autosufficienza) e con la diminuita disponibilità di caregiver familiari, condizioni che pongono qualche domanda sulla reale capacità dei soggetti anziani di accedere ai servizi ed alle prestazioni di cui hanno bisogno.
All’interno di un programma di ricerca sull’invecchiamento denominato “Age-It”, guidato dall’Università di Firenze e finanziato dal PNRR, cui stanno partecipando oltre 20 atenei, è arrivato un primo contributo che, tra altro, cerca di mettere a fuoco dove (a livello territoriale) gli anziani, ed in particolare i più anziani e più bisognosi cioè gli ultraottantenni, sono più a rischio di non ricevere i servizi e le prestazioni di cui hanno bisogno (Cecilia Tomassini, Marco Albertini, Carlo Lallo, Avanzare insieme nella società anziana, il Mulino, 2024).
Gli autori del lavoro sono partiti innanzitutto dalla osservazione che gli anziani sono dislocati eterogeneamente sul territorio del nostro Paese, non solo nelle diverse Regioni (con Liguria, Friuli-Venezia giulia, Toscana e Piemonte che hanno le province con la percentuale più elevata di ultraottantenni) ma anche con forti differenze tra comuni della stessa Regione, e che questa realtà è accompagnata da importanti trasformazioni sociali che possono rendere più difficoltoso l’accesso all’assistenza da parte degli anziani: invecchiamento delle reti sociali individuali (anche per via della riduzione dei tassi di fecondità), emigrazione dei giovani dalle aree interne del Paese, modifica del modello familiare con l’aumento dei soggetti che vanno a lavorare, soprattutto donne (e che porta quindi a una minore disponibilità di tempo per la cura dei familiari), e così via, con la conseguenza che oltre alla consistenza (spesso ridotta) delle risorse di cura formali disponibili si assiste a una progressiva diminuzione delle risorse di cura informali.
Ciò ha portato all’idea di costruire un indice, a partire da dati facilmente disponibili e con una granularità almeno comunale, capace di misurare le potenziali criticità nella domanda di assistenza agli anziani.
Questo indicatore, chiamato Indice comunale di criticità potenziale (ICCP) nella domanda di assistenza agli anziani, è stato predisposto per ogni comune combinando tre informazioni: due di tipo demografico (il peso degli ultraottantenni, il rapporto tra anziani e adulti) e una derivata dalla presenza di servizi essenziali. Il peso degli ultraottantenni dà un’idea quantitativa del bisogno di assistenza ed il rapporto tra anziani ed adulti stima il peso della capacità di cura informale familiare disponibile; mentre per quanto riguarda l’esistenza di servizi essenziali è stato utilizzato il lavoro fatto dall’ex Agenzia per la coesione, che ha portato all’identificazione delle aree interne, cioè quei comuni svantaggiati dall’assenza di servizi considerati essenziali (distanza di più di 20 minuti in auto rispetto ad un comune “polo” che riveste il ruolo di centro di offerta di servizi fondamentali relativi all’istruzione, alla mobilità, ed alla cura sanitaria).
In termini geografici i risultati dell’indice sono riportati in figura.
Figura. Distribuzione geografica dell’Indice comunale di criticità potenziale (ICCP) nella domanda di assistenza agli anziani. Italia, anno 2021. Fonte: Tomassini e al., Avanzare insieme nella società anziana, Il Mulino.
I comuni con criticità potenziale alta (544), media (1.252) o bassa (1.210) sono in totale 3.006 e corrispondono al 38% dei comuni italiani, mentre quelli con criticità potenziale molto bassa (1.883) o senza criticità (3.015) rappresentano il rimanente 62%. A fronte di una media nazionale del 6,9% le Regioni che comprendono più comuni con alta criticità potenziale sono Molise (24,3%), Basilicata (21,4%), Abruzzo (18,7%), Sardegna (13,8%), Toscana (13,6%) e Liguria (10,7%), mentre all’opposto Valle d’Aosta (0%), Veneto (0,5%), Trentino (0,7%), Puglia (2,3%), Lombardia (2,6%) e Lazio (3,7%) presentano le percentuali più basse. La stessa classificazione (in ordine di Regione) risulta se invece di contare il numero di comuni si conta la popolazione interessata da potenziale criticità.
Come tutti gli indici e gli schemi di classificazione (e ce ne sono diversi, benché orientati verso altri specifici obiettivi) anche ICCP presenta dei limiti, il più importante dei quali è la mancata inclusione nella costruzione dell’indice di variabili che rappresentano lo stato di salute delle popolazioni esaminate (anziani e adulti), le disuguaglianze socioeconomiche, le caratteristiche della rete pubblica di assistenza, le caratteristiche delle famiglie, la professione e le condizioni dell’abitazione, tanto per citarne alcune che sicuramente hanno a che fare con la domanda di assistenza agli anziani, ma ha anche il pregio di essere uno strumento semplice, basato su dati di facile accesso, facilmente replicabile ed aggiornabile.
La sua utilizzabilità è evidentemente nell’area della programmazione e della politica sanitaria, dove indica chiaramente che le criticità potenziali riscontrate e la loro eterogeneità territoriale possono trovare risposta solo con interventi che valorizzino le specificità locali, ed in particolare comunali (o di gruppi di comuni), evitando generici interventi regionali che trattino tutti i territori allo stesso modo. Non solo; il fatto che ogni comune sia rappresentato con un unico valore dell’indice dice anche che i risultati riscontrati hanno massima validità per i comuni di dimensione non grande, mentre per i comuni più grandi (e soprattutto per le grandi città) l’indice dovrebbe essere ricalcolato con una granularità decisamente superiore, spezzando il territorio in aree sub-comunali.
Poiché il problema posto sotto la lente di ingrandimento costituita dall’ICCP è quello della accessibilità ai servizi di assistenza ed emerge quindi il tema della prossimità di tali servizi ai luoghi dove si esprime maggiormente il bisogno sanitario e sociosanitario sotto forma di domanda di attività, considerata la difficoltà (o inopportunità: esempio, gli ospedali) che si ha a distribuire i servizi in maniera capillare sul territorio risulta fondamentale il ruolo delle organizzazioni del Terzo settore e del welfare di comunità o territoriale, ed in questa direzione la logica sussidiaria diventa necessariamente l’approccio che meglio può contribuire nella risposta al bisogno (vedi il rapporto Sussidiarietà e … welfare territoriale che sarà presentato il 20 febbraio presso la Banca d’Italia dalla Fondazione per la Sussidiarietà).
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